SOLIDARITUDINE (a Bernard Lavilliers)

Avvezzo gli acclivi versanti

del secondo tempo di mia vita,

riprendo l’erta via

avvolto dalle brume del tedio,

in dialogo con il rumore rosa

dei miei pensieri,

e raduno il parco involto

di sogni e mete,

Il mio kit di sopravvivenza

di sherpa di me stesso.

Intanto la stratosfera virtuale

Impazza sopra la mia testa

e intercetta miei assensi e messaggi,

asetticamente avviati

al buco nero della solidarietà,

ove contabili in tempo reale

snocciolano statistiche rassicuranti,

quorum felicemente raggiunti

per far fronte

alle più varie necessità.

E parvenze di comunità

scoagulano sul nascere

grumi di affinità

con diritto di esistere.


 

MATERNITÀ

Eri già madre

quando ventri pulsanti aderivano

al ritmo incalzante dettato

delle forze primigenie della natura

e il desiderio potente materiava un’attesa di futuro.

Eri già madre

quando morule blastule gastrule

aggregavano cellule nel tepore delle tue viscere

(mai apparente assenza fu più pregna di presenza!).

Eri madre

quando tentavi di prefigurare nelle fattezze

della tua creatura il gioco capriccioso delle eliche

di Watson e Crick.

Sei sempre madre,

anche quando insondabili alchimie della natura

svellono dal tuo seno il corpicino

della tua creatura e l’algida asettica medicina

tenterà di convincerti della saggezza nascosta in una crudeltà.

Sei sempre madre,

anche quando Cronos insanisce

e insensibile ti vede china sul corpo esanime

della tua creatura,

rappresa in un abisso di angoscia,

maledicendo la cieca Atropo

con ogni fibra viva del tuo corpo.

Sarai ancora splendidamente madre

quando il ricordo dei ventri

sincronicamente impegnati in gioiose danze

Irrompono inattesi nel tempo delle ricordanze,

e maramaldi distendono la tua labbra e il tuo viso

In un segreto timido splendido sorriso.


 

PLENILUNIO

Si staglia la luna cuprea

nel cielo terso d’estate,

che offre il suo palcoscenico sontuoso

alla mensile sizigia

e serba il suo prezioso manto

scevro di soverchie stelle.

Graffia Luna

l’immensa distesa mugghiante del mare,

frattali di luce cavalcano le vaghe onde

e compongono il viale glorioso

che slarga verso la linea d’orizzonte,

dove Luce resiste all’insulto dell’ignoto.

Io guardo tutto questo in silenzio.

Figlio della luna piena,

contemplo il mistero dei luminari maggiori,

la loro danza celeste,

il loro essere lontani per compenetrarsi meglio,

la luce del sole che perfora la notte

e veste Selenia del suo manto dimidiato.

Le mie mani percorrono la tastiera della chitarra,

le corde vibrano in simpatia coi moti dell’animo,

e io assaporo le mie contraddizioni,

le mie dissonanze di mente e cuore,

non più macigni nel sentiero della vita

ma oggi, al cospetto di una natura

aperta e ansiosa di donarsi,

sparuti brandelli d’umana entropia

accarezzati dai lumi del cielo.