MELTIN’ POT IDENTITARIO

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“Sono il filo sottile, così sottile che Si infila e si tende, prolungandosi è che non si spezza. E il groviglio mostra chiari e ben stretti, i nodi che si sciolgono.

Sono una traccia in quel groviglio e il mio principio appartiene a quel multiplo”.

(Cristina Ali Farah, “ Madre piccola”)

 

La letteratura europea deve riconoscersi attraverso scrittori migranti che hanno caratterizzato una nuova cultura europea divenuta mondiale.

L’universalità della letteratura europea che caratterizza il XIX secolo, ha avviato la sua demolizione canonica dalla seconda metà del 900 compiuta dalle correnti postcoloniali, che negli anni ‘80 si sono affacciate nella teoria letteraria.

L’Italia, a quest’operazione oppositiva e intransigente della cultura eurocentrica, si apre in netto ritardo rispetto ai paesi francofoni e anglosassoni.

La decolonizzazione della mente e la revisione dei canoni letterari e culturali preesistenti, hanno permesso alla letteratura della migrazione di emergere, mettendo in risalto le caratteristiche storico-sociali dei singoli paesi e formando dei modelli con un nuovo punto di vista creolizzato.

La letteratura mondiale nasce dalle culture transnazionali, postcoloniali e spesso translingue; da scrittori nati e costituitisi a cavallo di più lingue e culture, in situazioni postcoloniali o appartenenti alle letterature della migrazione.

 

Flussi di persone varcano le soglie delle frontiere, disintegrandole nei margini fisici, impattando con energia dinamica sulle società di partenza e al contempo su quelle di arrivo o semplicemente di passaggio.

 

I testi attraversano i confini e la scrittura si fa portatrice etimologica di globalizzazione, di coralità identitaria, rendendo comprensibile la transnazionalità attraverso la fedele realizzazione letteraria.

 

Mondializzare la nostra mente vuol dire innanzitutto decolonizzarci dal nostro passato di coloni del mondo, così come per gli ex colonizzati consiste nel decolonizzarsi da noi.  

Comprendere gli aspetti legati alla personalità e all’identità del migrante, rivelando gli arcani dell’intimità e della sofferenza attraverso la narrazione, perché solo la poesia, solo la finzione letteraria può essere in grado di dire e di far vedere e capire un uomo che soffre nel cuore, nel corpo e nell’esistenza.

Ci si muove su un confine non confine, che attraversa le lingue, le culture, le tradizioni, i miti, ma anche i generi letterari, gli spazi, i tempi narrativi e le voci narranti.

 

Il margine frattale è  qui realizzato.

 

Questi testi letterari, con il loro carattere testimoniale e saggistico, con la loro capacità di introdurre elementi di novità e di decostruire alcuni concetti egemoni del discorso culturale occidentale, sono laboratori di sperimentazione interculturale e di rinnovamento culturale e linguistico, letteratura portatrice di nuove identità, che rompendo gli stereotipi e affrancandosi dalle costrizioni etniche e geografiche, si pongono come direttrici ibride e libere in una situazione dove la norma diviene creolizzazione non eccezione.

Il migrante, emigrato o immigrato, lo straniero, il soggetto postcoloniale, la génération issue de l’immigration, sono tutti agenti portatori di una profonda crisi identitaria che non riguarda soltanto la soggettività e l’interiorità del singolo, ma anche l’identità della società accogliente, in cui s’innestano le diversità culturali, linguistiche, religiose, sia di coloro che emigrano per migliorare le loro condizioni di vita, sia di chi è nato da genitori stranieri e rivendicano i propri diritti di appartenenza.

Fare quindi della diversità una fonte di ricchezza vicendevole e dunque, tuffandoci in questo calderone ibrido, conquistando e saturando “ gli spazi di mezzo”, in simultanea e viva reciprocità, restituendoci dialoghi e pensieri.

Cogliere e rimandare parole, catturate negli occhi, in una

“ lingua” neutra che possa unire ciò che la storia ha separato, facendo in modo che le identità in gioco non siano solo quelle di chi migra ma che gli individui appartengano e sentano di esserlo in un tutto.

L’equilibrio, non sempre facile da conseguire, sta nella mescolanza e nell’incontro di questi sguardi dal mondo, ma soprattutto leggerli dentro ed esserne compartecipi attivi, come parte di un tutto.

“ Narrare una storia è spesso seguire il procedere dello spirito di un popolo”.

(“ L’infinito sotto casa”, Nora Moll)


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L’eleganza degli anni ‘30 riflette l’immagine di una donna sexy, chic e raffinata, non sfacciata, non più!

Una moderna diva hollywoodiana urbana, falsa e timida, vestita di “sottovesti” impalpabili, abituata tutto il giorno su tacco tredici.

Un 2017 questo, che si prospetta alla ricerca del “calore”, nelle cromie, nei tessuti e nell’anima.

Uno chic intellettuale, ricercato, compiuto attraverso scelte di stile d’ispirazione vintage, in cui trionfano la femminilità, trasparenza e delicatezza ritrovata oggi che abbandonano tagli e donne androgine; così come gli anni ’30 segnano una decisa inversione di rotta, l’uso delle linee marcate e geometriche; oggi allo stesso modo la donna si veste di sobrio, spogliandosi dalle impalcature rigide e dalle armature protettive.

Prugna, rosso, nocciola, biscotto sono i colori che tingono i tessuti (come il cashmere e la seta), gli abiti diventano lunghi e fascianti per la sera che si aprono in vertiginose scollature sulla schiena; di giorno è il minidress a imperare, aderente e molto corto, anche la pelle diventa elemento centrale nell’uso di leather pants aderenti e a vita alta, abbinati a camicette impalpabili.

I tailleur in nappa e camoscio traforato con taglio sotto il ginocchio per la gonna abbinato a t-shirt dissacrante, ad alleggerire e non inficiare l’eleganza e il bon-ton (image: brand Almagores, model: PattyD).

A evocare l’anima strong di questa moderna donna anni ’30, sono gli accessori in pelle (cavallino) per le borse, che da pochette diventano eleganti tracolle, nell’uso di stringhe e  applicazioni di inserti metallici sugli abiti e sulle cinture che segnano il punto vita e infine nei cappelli a visiera ampia.

Le maison, stanno mostrando questa rivoluzione riattualizzandola come Bottega Veneta, Armani, Cavalli, ma la vera rivoluzione e interpretazione è sempre quella letta, tradotta dalla donna “comune” che esalta e personalizza questa ispirazione declinata alla propria contemporaneità: una moderna Marlene Dietrich, la quale forse sarebbe stata molto più a suo agio nel 2016.

A cura di Patrizia Diomaiuto


 CONFINI  SFUMATI

 

La globalizzazione, l’avanzamento tecnologico, stanno causando una dissoluzione dei confini e dei margini fisici. La rivoluzione digitale che avanza a tappe forzate a una velocità impressionante ci pongono in una condizione in cui individui e imprese stanno perdendo i punti di riferimento.

Utilizzando un’iperbole del matematico Franco Gori potremmo affermare che ci stiamo trovando di fronte a una “deregulation cosmica.”

 

Rubando una metafora al mondo scientifico, potremmo dire che il confine si disintegra in espansioni libere dai margini-non-margini, secondo una dinamica “frattale.”

 

Nello scenario contemporaneo, le democrazie sono sempre più condizionate sia in termini quantitativi che qualitativi dalla pervasività della Rete.

 

Il nostro mondo è segnato dai processi della globalizzazione: ai confini si sovrappongono le nuove Reti e lo Stato, come istituzione politica, vede di volta in volta ridursi le proprie prerogative.

 

Il concetto di globalizzazione, anche sotto il profilo aziendale assume una valenza nuova: le imprese che producono su scala nazionale si trasformano operando su scala internazionale e in alcuni casi globale.

 

L’internazionalizzazione e l’ingresso in un sistema globale fanno si che le multinazionali si trovino a competere in un ambiente complesso, caratterizzato da una forte competitività e in cui il fenomeno a maggior incidenza è quello della delocalizzazione, promosso dalla crescente apertura verso i mercati esteri che danno la possibilità di sfruttare vantaggi in termini di costi di produzione e imposizione fiscale.

 

La mercantilizzazione globale aspirerebbe a ridurre il ruolo dello Stato-nazione, svuotando la sfera della sovranità.

La mondializzazione ha messo le élite globali in condizione di influire sulla politica dei Paesi in cui approdano e operano, diversamente dalle multinazionali che agivano innestandosi e adattandosi ai sistemi dei Paesi ospitanti. Le élite globali invece sovrastano con la propria “trama,” sovrapponendosi alle precedenti istituzioni.

 

Herman Heller nel 1927, ardiva un’ipotesi:

 

«E’ poco probabile, ma non impossibile, che l’Europa in futuro sperimenti la soppressione della sovranità statale in seguito ad una specie di capitalismo feudale, che dissolverà di nuovo il potere politico in un insieme di diritti di rendita di tipo giusprivatistico».

 

Nuovi paradigmi del potere sono le informazioni e i flussi finanziari che stanno sempre più soppiantando la dimensione territoriale e a volte anche quella fisica dei beni.

Le global companies, nel nostro caso gli OTT sono in grado di esercitare una forte influenza su tutti i livelli delle governance, (organi di controllo, istituzioni) alternando azioni di deregulation che vanno dal lobbismo fino a vere e proprie minacce. Infatti sono sempre in grado di trasferire le produzioni nei Paesi in cui trovano condizioni più vantaggiose.

Gli Stati nazionali dunque perdono una parte consistente della propria sovranità, la tendenza in atto è un progressivo superamento di questa organizzazione politica.

 

Il mercato globale vorrebbe annullare i confini nazionali e in molti casi gli Stati, che hanno ceduto alla pressione dei grandi gruppi finanziari, concedendo libertà sempre più ampie a scapito anche dei diritti dei propri cittadini. In questo senso il neoliberismo sarebbe diverso da quello classico, perché mette al centro la libertà del mercato; diversamente il liberalismo politico classico punta a esaltare le libertà degli individui, in quanto cittadini.

 

La famosa espressione del sociologo Zygmunt Bauman afferma che la nostra epoca sarebbe una  “modernità liquida” perché la società e la sua struttura sarebbero sottoposte a un processo di “fluidificazione,” cioè per effetto dei fenomeni globali diverse entità cambiano di “stato,” perdendo i propri contorni chiari e definiti comportandosi sempre più come dei fluidi e che non avendo forma propria assumono quella del contenitore; così come i concetti di luogo, di confine e d’identità in un processo in continua trasformazione.

 

Il percorso di lettura e analisi dei fenomeni globali vuole mettere in luce il carattere mutevole e i significati molteplici di questi valori, rivelando inoltre l’importanza che essi rivestono nel processo di formazione della propria persona e di conoscenza della realtà.

 

Partendo dai luoghi, passando per i confini, fino a giungere all’identità: ci troviamo di fronte a un percorso che ci mostra come questi concetti non siano immutabili, ma nell’era della globalizzazione possiedono dei contorni fluidi che si adattano alla realtà in cui sono immersi, presentando un carattere sempre più ambiguo.

 

In questa fase di accentuata e accelerata globalizzazione, fattori come l’economia e il capitale hanno raggiunto un’incredibile capacità di movimento e una velocità senza precedenti; questa libertà si traduce, per chi resta fermo e vincolato al proprio territorio, nell’incapacità di leggere e controllare questi fenomeni, che non rientrano più nel loro ambito territoriale, ma fanno riferimento a una realtà ben più grande e inaccessibile; questi fenomeni di difficile interpretazione tendono a sfuggire sempre più al controllo degli Stati-nazione.

 

La loro capacità di agire, la sovranità, è violentemente intaccata dalle forze transnazionali.

 

La situazione dello Stato nazionale è mutata; importanti funzioni che prima erano di sua competenza, ora si sottraggono dal proprio ambito d’azione, innanzitutto per la scarsa capacità di intervenire nell’economia.

La stessa distinzione tra mercato interno e mercato globale, o più in generale tra ciò che è “interno” e “esterno” allo Stato, è estremamente difficile da mantenere, se non nel senso più stretto di controllo di polizia del territorio e della popolazione.

 

Venendo meno alcuni principi fondamentali della sovranità statale, emerge il bisogno di sicurezza, di “recinzioni,” di sistemi di sorveglianza, aumenta il senso di insicurezza generalizzata (la preoccupazione generale diventa la sicurezza della propria persona e del proprio spazio personale, delle proprie identità).

 

«Stiamo governando la globalizzazione o la globalizzazione governa noi?»

 

Questo interrogativo del presidente dell’Uruguay José Mujica, estratto da un discorso sul tema, sintetizza l’essenza del clima che oggi si respira: non la voglia di scendere da questa “onda” globale, né tantomeno quella di mitizzare il pregresso, ma quella certezza per cui non si può più perseguire indefinitamente l’essere governati dal mercato, ma cercare di governare noi il mercato.

 

I fenomeni economici e i movimenti finanziari non si lasciano governare dai singoli Stati.

 

Sono il mercato e l’economia globale ad autogestirsi e a dettare le proprie regole; grazie alla diffusione indiscriminata e inarrestabile di regole a favore della libertà commerciale e soprattutto della libertà di movimento dei capitali.

L’economia sfugge progressivamente al controllo politico.

«L’economia planetaria sgretola i fondamenti degli Stati e determina un immane fenomeno di ‘subpoliticizzazione’»

Questi mutamenti coinvolgono anche lo spazio e i luoghi: i confini diventano “permeabili,” il potere e il capitale non hanno più una sede fissa e non sono vincolati a un luogo fisico.

 

Internet oggi ci consente di superare distanze di tempo e di spazio a una velocità impressionante; nello spazio virtuale della rete si abbattono liberamente le barriere.

 

Al mercato si sostituisce un ecosistema digitale multi-versante, caratterizzato da estrema fluidità, non solo nelle transazioni ma anche nel

ruolo assunto dai diversi soggetti all’interno di esse.

Si affermano nuovi player con strutture e modelli di business leggeri e innovativi, capaci di muoversi trasversalmente in aree del sistema mediale, indifferenti a caratteristiche di natura sia economica che normativa disciplinare: gli OTT. Uno scenario che necessita una ridefinizione e una concreta azione disciplinare, definendo nuovi ed evolutivi modelli di governance dei servizi e dei mercati digitali.

 

La sfida è riscrivere norme e principi, al fine di dare ai cittadini e alle organizzazioni politiche di definire un nuovo equilibrio dinamico tra posizioni anche molto distanti, continuando a garantire la crescita economica ma al contempo introducendo strumenti e politiche di tutela per i cittadini e per la comunità.

Bisogna quindi affrontare i nodi cruciali che attengono al diritto:  quali sono le regole in grado di governare la Rete conciliando le dinamiche universalistiche di internet e dei mercati globali con la sovranità declinante degli Stati nazionali?

 

«Non senza gli Stati, ma solo attraverso gli Stati, e dunque con la mediazione del volere politico, sono perseguibili gli obbiettivi di carattere internazionale. [..] il tramonto della sovranità statale farebbe esplodere tutte le passioni dei luoghi; e le potenze terrestri si troverebbero, l’una contro l’altra.»

 

Si sente sempre più forte la necessità di equilibrare la forza dei giganti del web e di tutelare  le libertà fondamentali, per evitare una potenziale manipolazione  delle nostre identità.

 

I primi passi per la  costruzione di un nuovo assetto globale, coincidono con il superamento dei due “blocchi” contrapposti nel contesto della

guerra fredda.

Il crollo del muro di Berlino e il collasso dell’Unione Sovietica, avevano segnato il punto di svolta al superamento di un sistema bipolare.

Gli Stati Uniti, vincitori, avevano svolto un ruolo unico come reale potenza mondiale accrescendone il proprio carisma internazionale.

L’aspettativa agli inizi degli anni 90’ era quella di una costruzione e consolidamento di un ordine multipolare, in realtà questi ultimi erano tendenze ancora impreparate a mostrare la loro forza e si palesava dunque più che un multipolarismo una tendenza centripeta, con al centro gli Stati Uniti quindi un multipolarismo asimmetrico.

Le regole del sistema internazionale si stavano reimpostando ed è in questo contesto che i rapporti transatlantici e l’Unione europea, come

“attore” strategico a tutti gli effetti, si stavano ridefinendo.

L’Europa ha cercato di accrescere il proprio peso nel contesto globale, questione questa ancora irrisolta, il cui problema risiede probabilmente nell’incapacità di rendere l’Unione europea una coesa e forte struttura; questa debolezza coesiva potrebbe avere anche radici lontane.

I confini d’Europa sono flessibili, impalpabili, si sono costituiti nel corso dei secoli includendo ed escludendo porzioni territoriali, le identità stesse dell’Europa, dunque, risultano provenire dall’aggregazione di culture, da annessioni migratorie e dall’incrocio di popoli a costruzione di fatto di un’identità multipla.

 

«Si spiega così il decisivo problema del ‘ravvicinamento delle legislazioni: che non è come a taluni ‘appare,’ costruzione di un diritto europeo, ma progressivamente omogeneità di diritti degli Stati europei. ‘Diritto europeo’ è formula riassuntiva ed ellittica, che scambia per unità la crescente omogeneità dei diritti statali. Questi, ancorché ravvicinati o identici, rimangono separati,  propri dei singoli Stati. Una molteplicità omogenea non è un’unità.»