Fiaba per bambini

Il Puzzle

Papà puoi venire?, non riesco a sistemare l’altalena.
Papaaà, papaaaaaaà perchè non mi rispondi?”…
Tutti i giorni la stessa storia…

 

Federica, una bimba di circa 5 anni vuole compagnia, il papà è tutto il giorno curvo sulle sue carte, la mamma è andata a fare un lungo viaggio e ancora non torna.

Federica si annoia, vorrebbe un compagno di giochi, è disposta a tutto pur di non sentirsi sola, anche a condividere il noioso lavoro del papà.
“Papà… posso aiutarti?”..
Michele ha tanto lavoro da fare, le sue carte geografiche deve consegnarle al più presto.. come fare..?.. poi l’idea.

“Federica vieni qui e riportami la vecchia cartina che ti avevo regalato, oggi faremo un gioco nuovo”…
A Federica non pare vero, il suo papà che lascia il lavoro e gioca con lei??
Di corsa va nella sua cameretta e prende la famosa cartina, è lì, sulla sua scrivania.
Da quando suo papà gliene fece dono, lei ha apportato qualche modifica…

Michele prende la cartina, un paio di forbici e ne fa tanti pezzetti… “ecco, ora hai un bel puzzle da costruire.. appena avrai finito metteremo a posto la tua altalena”..
così avrò tutto il tempo di terminare il mio lavoro, pensa Michele.

Federica si mette all’opera, è felice, fra un po’ avrà il papà tutto per lei.
Passa poco meno di mezz’ora…”papà.. ho terminato… ecco la tua cartina…possiamo andare?”..
Egli è incredulo, eppure la cartina è li ricostruita in tutti i particolari, si chiede come sia possibile, in così poco tempo, neanche lui sarebbe stato capace…
“Ma.. Federica.. come sei riuscita in poco tempo… è incredibile”..
Federica prende la cartina, è quasi più grande di lei… i pezzi di scotch svolazzano un po’, ma è tutta intera… gira la cartina, c’è il suo disegno, il viso del suo papà…..

Anche le cose apparentemente impossibili possono essere affrontate e risolte, basta guardarle dal giusto verso.

Michele e Federica ora sono sul prato, insieme a dondolarsi sull’altalena


fiabe per adulti:

Andrea e il buio

Andrea gioca tutto il giorno da solo, mamma e papà sono fuori per lavoro. Il pomeriggio, dopo aver fatto i compiti gli piace correre per il prato vicino casa sua.

Sono un paio di giorni che vede un uomo, poco lontano, seduto su una panchina che sbriciola il pane agli uccellini.

Andrea lo ha osservato bene, ed ha notato che anche l’uomo lo guarda. Un giorno lo vede con un grosso pappagallo tutto colorato poggiato su una mano. Andrea guarda incuriosito, poi, vincendo la timidezza, si avvicina. L’uomo gli sorride.

“Ti piace il mio pappagallo?”
“molto, ha dei colori bellissimi”
“vorresti averne uno anche tu?”
“si, certo, mi farebbe piacere”
“vieni con me, conosco un posto dove si possono prendere i pappagalli più belli del mondo”
“ma, io non so, devo dirlo ai miei genitori”

Andrea, senza aspettare risposta corre verso casa, ma mamma e papà non sono ancora tornati.

Mangia un panino, si addormenta.

Si addormenta e sogna, sogna di trovarsi su un’isola bellissima, con i fiori più grandi e colorati del mondo, sogna il suo amico che gli fa vedere milioni di uccelli dai colori più disparati.

All’improvviso uno più grosso degli altri sembra cadergli addosso. Andrea si sveglia di soprassalto, è l’alba, sente mamma e papà che fanno colazione in cucina

Velocemente si veste e scende giù

“ciao mamma, ciao papà”

Loro sono assonnati e sembrano più stanchi della sera precedente

“buongiorno figliolo”

La mamma sta già preparando la borsa del lavoro, il papà ascolta il Tg e da una sbirciatina al giornale.

“Buongiorno mamma, buongiorno papà, sapete, oggi vado a vedere i pappagalli più belli del mondo, posso andare?”
“cosa, cosa, si, si, gli uccelli, al parco, certo figliolo vai pure”

Il papà non ha neanche sentito. Andrea è felice, ha il permesso dei suoi genitori di andare. Va a scuola tutto allegro, non vede l’ora che venga il pomeriggio. E’ felice, oggi non sarà solo, avrà un amico con cui parlare e giocare.
Ormai è l’ora, corre sui prati, lui è li.

“andiamo Andrea, andiamo?”
“si, si, andiamo, ma dove?”
“lassù, oltre il boschetto, li ci sono tanti pappagalli”

Si incamminano, mano nella mano. Poco dopo arrivano nel boschetto, si inoltrano, Andrea guarda ma non vede pappagalli

“ma dove sono?”
“vedi Andrea, i pappagalli temono gli uomini, hanno paura di essere catturati, ma se tu ti togli la maglia e i pantaloni, loro non capiscono più che tu sei un essere umano e vengono tutti qui”
“ma sei sicuro?”
“certo Andrea, come credi che io abbia preso il mio?, guarda, anch’io li tolgo”

Andrea un po’ titubante si spoglia, poi sente la mano dell’uomo che lo stringe forte, sempre più forte, un dolore orrendo sembra squarciarlo in due, nel bosco non si ode più nulla, il silenzio viene interrotto da un urlo angosciato, poi il buio. Il corpo di Andrea viene ritrovato dopo due giorni, ora non sarà più solo.


Camilla e la bianca neve 

In un paese sperduto fra le montagne, una famiglia formata da poco, viveva felicemente. La mamma ed il papà, entrambi insegnanti, si prendevano molta cura della crescita della loro figliola.

Pur essendo molto impegnati con il lavoro, trovavano sempre il tempo per giocare con Camilla.
Un giorno il papà ricevette una lettera raccomandata, era stato nominato direttore di una scuola in una grande città.
Pieni di entusiasmo, prepararono i bagagli e si misero in viaggio. Camilla non aveva mai visto una grande città. Quante vetrine colorate, quante macchine, ed i palazzi, quelli addirittura erano più grandi degli alberi della sua foresta.

Piano piano si inserirono nella struttura e nella vita pubblica della città. Tutto andava per il meglio, Camilla ora aveva degli amici.
Mamma e papà, sempre più presi dal lavoro, poco a poco, dedicavano meno tempo alla loro bimba e molto di più ad intrattenere relazioni sociali.
Però avevano trovato il modo di parlare con la loro piccola dei grandi pericoli che potevano celarsi in quella enorme città.
Camilla era orgogliosa del suo papà, ed i suoi compagni di scuola la trattavano con molto rispetto, lei era la figlia del nuovo direttore.

Un giorno Camilla notò che il suo papà aveva perso l’abituale sorriso che adornava il suo viso. Provò a parlargli, ma trovò davanti a se un muro invalicabile.
Lei non riusciva a capire cosa potesse essergli accaduto. Provò a chiedere alla mamma, ma anche lei era cambiata molto.

Era arrivato finalmente il giorno degli esami, un ultimo sforzo e poi in vacanze. Per l’occasione era stata organizzata una festa. Camilla mise il suo vestito più bello.
Era così felice, alla festa ci sarebbero stati anche gli alunni delle classi superiori e fra questi, uno in particolare faceva palpitare il suo cuore. Arrivato il gran momento, Camilla un po’ timida si guardava intorno, quando all’improvviso vide venire verso di lei, lui, si proprio lui.
Stefano le sorrideva, era più bello che mai, e lei sentiva il suo cuore batterle all’impazzata. “Vuoi fumare anche tu”, le chiese Stefano. Camilla restò un pò male, credeva che lui volesse invitarla a ballare.
“Stefano, io non ho mai fumato”. “Si, lo so, ed è per questo che te l’ho chiesto, è ora che provi anche tu”. Camilla, per sentirsi altrettanto grande come Stefano, prese la sigaretta. Ma che sapore brutto, pensava, intanto continuava ad aspirare. La testa non era più al suo posto, le girava tutto intorno. Ma poi divenne tutto normale. Tanto normale che volle provare ancora, e poi ancora.
Camilla, inconsapevolmente, aveva scoperto il sapore della polverina bianca. Ben presto diventò un’abitudine. Un giorno non le bastò più fumare, e provò ad andare oltre. Tutto ciò le piacque molto.
Mamma e papà, tutti presi dalla nuova vita, non si erano accorti nulla.
Un giorno trovarono Camilla riversa sul letto, sembrava che dormisse, ma il colore del suo viso fece capire loro che era successo ben altro. Camilla era partita per un lungo viaggio. Un anno dopo il capo di polizia della città, da tempo sulle tracce di spacciatori, arrestò il nuovo direttore della scuola quale responsabile ed organizzatore del losco traffico.


 

 

 

Senza nome

E’ passato tanto tempo ed ancora non riesco a ricordare, eppure mi sembra che i miei genitori mi avessero chiamato “senza nome”

 

Vi potete immaginare quale confusione regnava nella mia casa quando decidevano di chiamarmi!

Ricordo te mamma sempre molto attenta affinchè io non mi facessi male. Sento ancora la tua voce, molto dolce e calda che mi cantava la ninnananna.

Il tuo tono caldo e rassicurante mi dava molta serenità e la vita procedeva piacevolmente.

Alla sera, dopo una lunga giornata di lavoro, rientravi a casa e benchè tu fossi stanca, non mancavano mai le coccole per me.

Mi raccontavi i fatti della giornata e l’entusiasmo era tale da creare ogni volta una vera, anche se piacevole, baraonda, io iniziavo a fare salti di gioia, sentivo tutto il tuo amore e l’unico modo che avevo per esprimerlo era quello di saltellare di quà e di là. Poi un giorno, sentii un’altra voce che si sovrapponeva alla tua, mamma e non so perchè ma quella voce mi fece tremare, non era come la tua dolce e suadente, ma una voce stridula ed irata!
Ho sentito la tua di voce, cara mamma. rotta dal pianto, ho percepito le tue lacrime scendere dal tuo viso, ho sentito le tue proteste. Ma non sono valse a nulla

 

Un giorno ti hanno portata in uno studio, tu piangevi, supplicavi, ma invano, nessuno ha ascoltato il tuo dolore. Poi il buio, mi hanno fatto tanto male, mamma, ma anche a te ne hanno fatto molto, l’ho sentito dentro il mio cuore.
Ora però sono felice, vivo in un posto magnifico e spero che tu possa raggiungermi un giorno. Avrei voluto conoscerti meglio, vedere il tuo viso, gli occhi illuminarsi mentre mi cantavi una canzone. Ma loro non hanno voluto, ci hanno separati. Cara mamma, anche se mi hai tenuto con te solo pochi mesi, so che il mio ricordo non ti abbandonerà mai ed il rimpianto di non avermi conosciuto, di non avermi potuto prendere tra le braccia, ti farà ancora soffrire per molto, ma non temere, io sono qui ad aspettarti e un giorno potremmo guardarci negli occhi e sorriderci. E quel giorno finalmente potrò nascere.