Del mio riflesso in te

Mi sono sempre visto

innanzi al mio cospetto,

riflesso,

un amorfo quadro puntiforme,

in bianco, in nero,

che colore non ha

senso non tiene.

Ma colpa era dello sguardo

nella quale mi specchiavo,

e fù incrociare gli occhi tuoi

a dare colore

alla mia anima riflessa.


Cantano le Altalene

Era Febbraio e il freddo gelava,

negli alberi tutti il forte vento parlava.

Fu poi metà Agosto, ormai l’estate finiva,

il sogno di un Freddo pian piano appariva.

 

Lei andò in quel Febbraio pungente

a portare il suo dolce sorriso fra la gente.

Io mi persi così, in quella chioma lucente,

e si piantò, fissa, nella mia mente.

 

Non era il riflesso, del sole d’Agosto,

a rendere divino il suo tenero Volto.

Fù quel tuo bacio, poi così diedi ascolto,

ad ogni singolo battito del mio cuore morto.

 

Ogni stagione con te voglio vivere sognando

nei prati, nei parchi e nelle città visitando,

sul letto, la sabbia o nel mare giocando,

Io e Te, mia bambina, in queste altalene cantando.


Natura Umana

<< Alex, dove sei? >>

<< Ahaha, cucù! Ti ho scoperto, furfante!! >> – risa copiose – << Vai da Papà, forza! >>

<< Mostriciattolo! Eccoti! Hai fatto spaventare la mamma? Forza, preparati che andiamo. >>

<< Alex, che ti prende perchè non parli? parla.. parla.. parla.. >>

Perchè questo viso crucciato? Non sei felice?

<< Corri, Alex!! Noooo! >> – urla in lontananza – << Dove speri di andare? >>

<< Lontano forse, ma al mio sguardo non potrai sfuggire! >>

Sto facendo la cosa giusta? Quanto in basso devo andare?

<< Sai figlio mio, alle volte un uomo può essere solo sfortunato, non sempre deve meritarsi tutto il male che ha. >>

<< Alex, sei andato via senza dir niente! Ti odio, ti odio.. ti odio! >>

<< Enzo, lascialo stare! Non si merita il nostro amore! Maledetto lui e chi lo amerà! >>

 

 

Non c’è modo migliore di finire la propria vita iniziandone un altra. Questa è la reincarnazione.

Il corpo apparentemente è lo stesso ma l’anima a governarlo muta.

E non si è più e mai si sarà la stessa persona.

Chi ero Io, solo il più profondo eco di un battito morente può ricordarmelo.

Poichè in fondo siamo il frutto delle epoche che ci hanno lasciato.

Abbiamo dinanzi a noi un immensa distesa, calma e irrequieta.

Eppure scegliamo sempre di essere, piuttosto che non.

Scegliamo una strada solo perchè l’abbiamo davanti. Quasi obbligo.

Piuttosto Io rimango dietro. E mi siedo qui.

Proprio dove nessuno vuole rimanere. Su di uno spuntone scomodo, apparentemente inutile.

Che se guardi meglio sorregge questo paesaggio.

E’ quindi avanti la folla, ormai tutta. Di tanto in tanto guardandosi indietro perchè non sanno e mai sapranno se la scelta giusta hanno fatto. E arriva la Morte, povera angusta.

Che fino anche Lei si scomodi per venire ad ammirare il panorama. Da qui.

Che non devo correrLe Io incontro.

Cosicchè se mi brama mi reclami, si sieda qui con me e ammiri ciò che ho creato.

Mille e più Io all’inizio ho lasciato andare per strade avverse e tutti eppure si sono realizzati, e poi appassiti.

Ma la mia Origine qui è rimasta a guardarli, fiera di non averli seguiti.

La Morte in questo Governo mentale non fà da padrona.

E quell’eco profondo ancora risuona.

 

<< Alex devi svegliarti! Non puoi essere sempre cosi pensieroso! Cosi serio, cosi serio.. >>

<< Gioisci ora che sei vivo! Ora che sei morto, morto.. >>

E’ tempo di andare, di nuovo. Abbandonare la culla che per troppo tempo m’ha fatto da balia.

Abbandonare tutto per trovare chissà cosa. E’ tempo di andare.

Lasciare qui ciò che sono per trovare ciò che sarò. Ciò che dovrei essere.

<< Per quanto continuerai a lottare? >>

Forse a questo sono destinato. Una lotta infinita contro me stesso.

Un rifiuto morboso che mi dice: << Non puoi essere altro! >>

Ho lasciato tutto perchè non avevo niente, ora che sono niente vorrei avere tutto.

La dimora della mia anima sta bruciando.

E’ ora di lasciare che l’inferno divampi:

E’ mattino presto stamani. Cosi presto che il Bar Altrove deve ancora aprire; alla sua porta solo una piccola banconista alle prime armi, che aspetta, solo però d’iniziare il primo giorno di lavoro, tutt’agitata ed eccitata come una scolaretta; come me.

Penso a quanto sia bello alzarsi insieme al Sole; in un certo senso mi fà sentire utile. Lavoro ormai da qualche mese per la Torrefazione Nocita, questa Domenica libera è il premio per notti passate a macinare e non degustare.

C’è sempre qualcosa di speciale nella Domenica. Una carica Mistica.

La mattina d’estate tutti al mare con un sorriso in faccia. Il pomeriggio d’Inverno tutti a temere il Lunedi e la paura e l’ansia  che mangia gli animi per un giorno come gli altri che volge al termine.

Perchè odiare l’Inverno?

E’ necessario come le altre di stagioni, eppure nessuno gioisce all’idea della pioggia.

La pioggia che ci bagna e travolge. Forse diffonde in noi un senso di irrequietezza, siamo là fuori costretti a bagnarci, inermi. E cosi tutti fracidi tremolanti, affrontiamo un’altra giornata costretti ad un lavoro che non vogliamo.

Non vogliamo, nè vogliamo lasciare. Perchè ci sentiamo sicuri, diciamo.

Perchè dove lo troviamo un posto migliore ci dicono gli amici, i parenti.

Cosi arrivi ad ascoltare più le parole degli altri che i consigli di te stesso.

Incateniamo la nostra vita ad un cappio metallico e ci caliamo in un pozzo vuoto guardando, mentre scendiamo in esso, continuamente il cielo.

Anzichè puntare verso l’alto come i Vichinghi o gli Egizi bramando le stelle,

sprofondiamo in un abisso cosi buio che neanchè il Diavolo contemplerebbe.

Da un abisso nè guardiamo un altro.

E mattino presto stamani. Ho messo un paio di scarpe rinforzate, per evitare di bagnarmi i piedi, e sono uscito.

Gli uomini ricercano troppo la loro estetica, basta aspettare che aprano bocca per rivelarne la natura.

Neppure mi sono lavato, aspettavo la pioggia – in un giorno invernale stranamente “estivo” – a lavar via le ansie e sguardi inquisitori, sui quali ridere di buoncuore. Non sapevo dove sarei finito uscendo di casa, nè cosa o chi avrei incontrato. Speravo di realizzare la prima ed evitare la seconda. Cosi armandomi di calma inquieta, con una grossa nuvolaccia ad accennar pioggia, aprii la porta; vidi sull’uscio un cane randagio che leccava le ferite ad un povero gattino ferito.

Pensavo di proseguire. Che motivo avrei avuto per farlo?

Avevo il mondo davanti. Anche oggi mi aveva donato un altra follia.

Rientrai in casa e portai con me quel cagnolino. (Il gatto era della vicina di casa.)

*Scrivendo*

A volte la natura ci dona spettacoli inconsueti, quasi onirici, forse per compensare l’assenza di ciò nella sfera umana.

Come un cane che lecca le ferite ad un gatto; lo stesso che lo ha graffiato per paura, sfregiandogli il viso.

Quante volte nella nostra vita vedremo un simile gesto tra esseri umani?

A prescindere da chi ha il torto e chi la ragione, dal credere di dover porgere l’altra guancia, perdonando, o da istinti di vendetta motivatori.

Umanamente quanto siamo disposti a cedere un pò della nostra emozionalità mostrandola al prossimo?

La cattiverai inonda il nostro Paese.

I nostri animi sono mossi da avidità incosciente e mancanza d’umiltà.

Ma tutti ci chiamiamo Fedeli a chissà quale Signore liberatore; tutti siamo uniti quando toccano le nostre proprietà.

Per il bene comune non combatte nessuno. E il paradosso sta proprio in questo.

Tutti spesso dimentichiamo, o meglio omettiamo volutamente, e c’è chi non ne ha di capire, che il bene comune è una nostra proprietà. Di ognuno di noi. Invece ci chiudiamo gli occhi a vicenda e tiriamo avanti come cavalli, guidati da un fantino immaginario, presi a frusta da un fantoccio dietro l’altro.

Il burattinaio tesse la tela del suo impero a scapito dei suoi pupi, il burattino lo sà ma gli sta bene.

Poichè crediamo, poichè ci fanno credere, di non poter essere di meglio.

Perchè mettiamo i piedi fuori dalla porta se sappiamo già che al ritorno saremo infelici e arrabbiati?

Siamo arrivati su questa Terra per farci scavare la fossa da altri. Noi ci comportiamo come se fossimo noi stessi a darci l’estrema unzione. Questo paese non merita cervelli ma solo malvagità. Bisogna sempre fuggire dalle prigioni che impone.

Altrimenti si diventa schiavi prima ancora d’essere stati liberi.

Libertà è anche scegliere di essere schiavi, ma delle proprie scelte.

[*]


 

Cade la Morte

 

Sento nell’aria,

un rombo di tuono,

conosco benissimo

questo orribile suono.

Corro di fretta,

alla sbarrata finestra,

scorgendo con l’unico occhio

una scia bianca sospetta.

Un attimo solo,

rimasi a guardare,

e questo bastò

per tutto cambiare.

Cade la Morte,

rimbomba il suolo,

mi si ferma il respiro,

sto tornando da loro.

Come i miei figli

sto per morire di fretta

per la stessa voglia malata

di fare la guerra.

E cosi me ne andai,

scordando pure il mio nome,

diventando più Niente,

se non sangue e fetore.



Lo Spiazzo

 

Vasto.

E’ lo spiazzo nel quale

si riversano le mie speranze.

E la distanza che intercorre,

tra l’una e l’altra,

è cosi immensamente ampliata

dalla paura della morte.

Scansami, oh morte,

fin quando almeno ciò che spero lasci questo spiazzo!

Non prendermi di soppiatto, senza preavviso,

ed io glorificherò la tua esistenza come forza tangibile.

Sussurrerò all’universo

il silenzio delle tombe.



Sepultura

 

E così,

seduto al sole,

dono a me stesso

il consiglio più saggio.

Che non vi è al mondo

nulla, che in fondo,

deve renderti inquieto,

poichè tutto passa

e nulla resta

di questa vita, vissuta di fretta.

Trapassando dense nubi

colme di dubbio,

vaste distese,

in cui ammassati, a casaccio,

sorgono incerti, ciuffi violacei morti,

ricordi nella terra sepolti.