VADO RACCOGLIENDO

Vado raccogliendo

in un vaso bucato

le lacrime del cielo

affinché

gli uomini buoni

non abbiano a patir

la sete.


STALATTITI

Stalattiti,

stalagmiti

e tante viti

e tante vite …

sbattute,

vissute,

crepate.

Crepa sulle mura,

macerie su macerie,

corpi distorti,

torti e ritorti

Ora un pugno mi stritola il cuore

dallo schermo del televisore.


NOTTURNO

Alzò gli occhi verso la sagoma scura dell’albero dai rami pungenti spruzzati di neve, poi si chinò di

nuovo a guardare quell’unica ed inspiegabile orma, che nel bianco immacolato risaltava, voragine

oscura e profonda.

La solitudine notturna era totale ed espirava un vento gelido e penetrante che sembrava graffiare

il viso come gli artigli di un mostro preistorico nascosto nell’ombra. Il silenzio attorno era profondo

ed assoluto, mentre l’oscurità della coltre celeste veniva appena attenuata dai piccoli punti di luce

sparsi a caso qua e là. E ancora l’albero …, sempre identico ed immutato nel tempo…, ieri …, oggi

…, domani ……

D’un tratto una voce lo riscosse dai suoi pensieri: una voce di donna. Sembrava venire da lontano,

da molto lontano; o forse era lui a venir fuori dal profondo nulla, a stento, controvoglia, ma alla

fine lo fece e si voltò verso quel suono.

Era impossibile! Doveva aver sognato, pensò.

I suoi occhi cercarono nell’ombra che era ovunque, cercarono senza trovare. Ma ormai la sua

attenzione era desta. Inaspettatamente l’orma profonda perdeva d’interesse e così pure l’albero

sempre verde. Sentiva nel profondo del suo essere che doveva staccarsene e allontanarsi da essi,

doveva seguire la voce, quella voce di donna che lo aveva strappato ai suoi pensieri.

La vide all’improvviso, accovacciata sulla neve, lontano, così lontano che gli sembrò quasi

impossibile da raggiungere, essere di un altro mondo, custode di un ingresso nascosto e proibito.

Cominciò a correre verso di lei. Sentiva i suoi scarponi sprofondare nella neve e creare quelle

profonde voragini scure, simili a ferite aperte, trasudanti fango. Sentiva la sua ansia dal respiro

frequente ed affannato che gli sollevava il petto in un movimento ritmico e veloce. Aveva paura di

vederla sparire da un momento all’altro, come quei miraggi che tanto crudelmente appaiono e poi

scompaiono, senza lasciare traccia, proiezioni di desideri irrealizzabili ed impossibili.

Un’onda di calore l’avvolse: lei era lì, accovacciata per terra, tremante in un cappotto liso che non

poteva proteggerla dal freddo, col viso pallido nascosto dai lunghi e lisci capelli neri che, morbidi

come lucido nastro di velluto, le ricadevano sulle spalle. E su quei capelli piccoli ghiaccioli luminosi

splendevano come gemme preziose alla luce dei piccoli lumi che guardavano dalla coltre nera. Lei

lo vide ed il suo volto pallido sembrò tingersi di un tenue colorito che rese più compatte le gote,

facendo risaltare le labbra, ora dischiuse in un sorriso, tenere come quelle di una bambina e

profumate come i petali di un fiore vellutato. Gli occhi scuri di lei, che lo fissavano tanto

intensamente, erano dolci e promettevano quell’oblio da tutti cercato e desiderato. Parlavano

d’amore e di desiderio, di baci e carezze, di caldi e brucianti sospiri e d’un tratto tutto quel calore

fu in lui, e gli parve di essere davanti ad un camino acceso, tanto vicino alla fiamma da sentirsi

pericolosamente bruciare la pelle.

“Come hai fatto a trovarmi?”

Lui stesso si stupì del suo tono di voce duro e cattivo, non era sua intenzione spaventarla o ferirla,

era quasi contento di vederla…… Ma sapeva con certezza che lei non poteva rimanere lì con lui,

non era giusto per lei e poi lui non lo voleva, sarebbe stato pericoloso per tutti e due. Doveva

mandarla via da quel luogo, da questo posto dove si era rifugiato da tanti, tanti anni – Quanti?

Non lo ricordava più, – e che lo teneva incatenato davanti ad un albero, fermo lì ad osservare ogni

più piccolo particolare del legno spesso e nodoso, dei rami verdi e pungenti, ogni più piccolo

particolare di quell’orma profonda nella neve. Ma quella era tutta la sua vita, era felice lì, e non vi

avrebbe mai rinunciato, neanche per lei.

Come aveva fatto a scoprire il suo rifugio, e come aveva potuto raggiungerlo in quel posto

sperduto e desolato, lontano dal mondo e dagli uomini? Provava adesso un senso di rabbia e di

fastidio nei suoi confronti, per quell’intrusione che non le era stata richiesta. Inoltre, sapeva con

certezza cosa lei gli avrebbe chiesto e, a quel pensiero, sentì l’ira crescere in lui. Sicuramente

avrebbe usato tutte le sue armi per convincerlo a lasciare quel luogo, ad abbandonare il suo

albero…. e l’orma sulla neve…., avrebbe cercato le parole più convincenti per indurlo a tornare

indietro con lei… Tornare indietro… dopo tutti i sacrifici fatti, dopo le tante rinunce fatte per

ottenere quello che ora aveva. Tornare indietro dopo i tanti pericoli corsi! Quante volte aveva

cessato quasi di respirare per non farsi sentire, per non farsi scoprire; quante volte era diventato

un pezzo del legno nodoso dell’albero pur di poter sfuggire ogni controllo, ogni contatto

indesiderato. Sempre all’erta, sempre in guardia, notte e giorno, giorno dopo giorno, anno dopo

anno, tutta una vita…..

Esitava, combattuto tra sentimenti contrastanti: aveva voglia di toccarla,

di sentire il suo caldo respiro confondersi col suo, e nello stesso tempo desiderava poterle voltare

le spalle definitivamente, cancellarla quasi da quel luogo dove tanto inopportunamente ed

inaspettatamente era apparsa.

Rimase così, nell’incertezza, smarrito nei meandri del tempo perduto – quel tempo che ormai

non aveva più senso per lui.

Si riscosse al suono di una voce di donna, un’eco lontano, quasi un lamento proveniente da quei

piccoli lumi sparsi a caso qua e là, sulla coltre nera.

Non realizzò subito il senso di quel suono, poi comprese. Una morsa di ghiaccio gli strinse con

forza il petto togliendogli il respiro e costringendolo a piegare le gambe e a cadere con le ginocchia

sulla neve. Sentì tra le labbra il macabro bacio di un gelido fiocco di neve mentre, col volto al

cielo, malediva l’immensa cappa nera, priva di luce, che lo sovrastava. Il silenzio attorno era totale,

opprimente, sembrava schiacciarlo con forza lì sulla neve, legandolo ad un’inerzia totale. Il suo

stesso respiro, in quella solitudine, sembrava esaltarsi e, diventato unico suono, ingigantiva

dilatandosi ossessivamente nella sua mente. Cercò allora la donna. La cercò nell’ombra scura di

una notte d’inverno, la cercò carponi, protendendo le braccia verso di lei. La cercò finchè la trovò:

un corpo gelido coperto di neve, un volto rugoso e senza vita nascosto dai lunghi capelli bianchi,

bianchi come la neve con cui si confondevano. L’orrore lo colse, insieme al disgusto e alla nausea.

A stento si rialzò, più volte cadde debole e incerto sulla neve. Di nuovo si rialzò e ancora cadde

inciampando nelle gambe molli, come quelle di un bambino appena nato. Sprofondarono le mani

nella neve cedevole, prive d’appoggio, e sprofondarono ancora, finchè esausto e vinto rimase

disteso bocconi. Nelle orecchie, il rumore sordo del battito veloce del suo cuore; davanti agli occhi,

gli occhi vitrei di lei nel volto livido e contratto nascosto dai lunghi capelli, bianchi come la neve

con cui si confondevano.

Espirava la notte un vento gelido e penetrante, che graffiava il viso come il gigantesco artiglio di

un mostro preistorico nascosto nell’ombra. Il silenzio, completo ed inquietante, sembrava a tratti

dilatarsi ed esplodere in un urlo agghiacciante.

L’uomo alzò gli occhi verso la sagoma scura dell’albero, coi rami pungenti spruzzati di neve, poi si

chinò a guardare l’orma, che nel bianco immacolato risaltava, voragine oscura e profonda.