RISI, BISI E OCA

C’era una volta una bambina; abitava di fronte alle vecchie prigioni medievali della sua città.

Davanti alle prigioni c’era un portico; verso dicembre, al giovedì, di buon mattino, il portico si animava: sulle bancarelle, avvolte nella nebbia, venivano appoggiati animali a lei sconosciuti; dai lunghi colli penzolavano le teste dal grosso becco arancione e nero. Era il mercato delle oche! Le donne le portavano dalla campagna e una parte del ricavato lo consegnavano all’orefice come acconto per la collanina, gli orecchini, il braccialetto che avrebbero sfoggiato con orgoglio durante le feste di Natale.

Quella bambina ero io e l’orefice era mio padre.

La mamma mi ha insegnato a lavorare la carne delle oche per conservarla ed averla a disposizione tutto l’anno; ho imparato soprattutto la pazienza , il saper attendere perché tutto si compia e si completi nell’armonia dei sapori.

A dicembre scegliete un’ oca, bella grassa; disossate il petto e tagliate il resto a pezzi, senza togliere la pelle. Sciogliete il grasso in eccesso a fuoco dolce profumandolo con rametti di rosmarino, filtratelo e tenetelo da parte. Ora prendete un cestello di vimini, ricopritene il fondo con un telo candido, appoggiatevi l’oca e copritela di sale grosso. Dopo dieci giorni eliminate il sale e conservatela sotto il suo grasso. Riponete i vasi in un luogo fresco fino a primavera.

Ai tepori di maggio i primi piselli, piccoli e dolci, sono pronti per accogliere l’oca che destata dal lungo sonno invernale è adesso matura al punto giusto;  sarà perfetta per arricchire un semplice intingolo di piselli e cipollina fresca con il quale condirete il riso o, se preferite i tagliolini all’uovo.

Finalmente tutti i tasselli sono andati al loro posto; avete toccato ogni casella, il giro dell’oca è completato, il traguardo raggiunto, la vostra pazienza premiata ed il piatto è pronto, ricco di sapore e di storia.