Il numero perfetto.

Era lì, in mezzo al campo, lo sguardo fisso sui movimenti del purosangue che gli sfrecciava intorno in preda ad uno strano delirio, scatenato da chissà cosa.
Magari da un rumore improvviso dietro la siepe, forse il fruscio delle foglie degli alberi che, mosse da una leggera brezza, suonavano come un sibilo sinistro.
In realtà, Enea, non aveva ancora capito se il cattivo carattere dell’animale dipendesse dalla paura o, semplicemente, fosse una mela marcia.
Sperava nella prima opzione perché in caso contrario non ci sarebbe stato nulla da fare.
Adesso Caligola, lo splendido purosangue Trakehner di 7 anni, si era fermato e rivolgeva tutta la sua attenzione a lui.
Lo si poteva capire dalla posizione delle orecchie : vicinissime tra loro, protese in avanti, dritte nella sua direzione.
Enea cominciò a muovere lenti passi verso l’animale con la longe nascosta dietro la schiena, lo raggiunse, gli carezzò il collo, ed agganciò il moschettone alla capezza.
Poi gli chiese di trottare intorno a lui prima piano, dopo allungando la falcata per poi rallentarla nuovamente e cadere nel galoppo.
Sembrava rispondere bene agli ordini : l’andatura controllata e cadenzata, i muscoli distesi, la testa bassa, le orecchie rivolte al suo addestratore : era tranquillo.
Ma, all’improvviso, senza alcuna ragione né preavviso, diede uno strattone alla corda e si impennò minaccioso a meno di due metri dal viso di Enea.
“Lo sai che c’è?”- gridò Cristiano da oltre la staccionata- “ A quella bestia servirebbe una buona dose di frustate! Per quanto ancora hai intenzione di farti prendere in giro?”
Enea nemmeno gli rispose. Sapeva che era inutile : sarebbe solo nata l’ennesima discussione e magari questa volta lo avrebbe pure licenziato.
Anche se si domandava come mai non l’avesse già fatto dato che, secondo lui, la sua “doma dolce” non valeva nulla e che si riteneva il migliore addestratore del Mondo.
Ma, nonostante si ritenesse il migliore, cominciava a perdere la voglia di rimboccarsi le maniche e preferiva di gran lunga svegliarsi tardi la mattina e fare notte fonda a party mondani e cene di beneficenza.
E, in quanto a lui, sapeva che l’aveva scelto solo perché era l’unico ad aver accettato l’incarico : gli altri addestratori precedentemente convocati avevano tutti concordato che : “ Quel cavallo è una perdita di tempo!” -e che era solo- “Carne buona per il macello”.
Peccato che neppure un cinico come Cristiano se la sentiva di mandare in carne un animale che sulla carta valeva quarantamila euro, con quella eccellente genealogia e quelle incredibili potenzialità.
“Beh, Cristiano, direi che almeno si è sfogato”- disse mentre usciva lentamente dal campo per dirigersi ai box- “Magari oggi pomeriggio sarà più tranquillo alle prove del concorso”.
“Lo spero per te, caro mio!”- rispose con un sorriso smagliante ma falso, come lo era quel “caro mio”.
Enea guardò l’orologio : era già la mezza : praticamente l’ora di pranzo, c’era giusto il tempo di darsi una rinfrescata veloce.

Enea spalancò, come sempre, troppo forte la porta dell’enorme villa settecentesca.
“Hai la delicatezza di un elefante!”- gli disse Nina con voce aspra.
Se ne stava lì, ancora in vestaglia, appoggiata al muro dell’ingresso con la sigaretta appena accesa tra le dita.
Sicuramente stava lì aspettandosi di vedere entrare Cristiano, il suo compagno da oltre cinque anni.
Enea ancora non aveva capito come una donna bella e di carattere come lo era lei potesse accettare di vivere nell’ombra di un uomo tanto insignificante e meschino sul piano morale, come Cristiano.
“Sempre gentile, eh? Forse se ti svegliassi ad un ora decente come tutte le altre persone di questo Mondo avresti un umore migliore, l’aria fresca del mattino fa bene sai?”
“Oddio mi sembra di sentir parlare mio padre, quel pomposo! Ci sarà pur stato un motivo se sono andata via di casa non appena ne ho avuto l’occasione!”.
Enea pensò che forse era quella la ragione della sua unione con Cristiano : un’occasione di indipendenza.
“E comunque caro io mi alzerò pure tardi ma preparo ogni giorno il pranzo che mangi per cui vedi di tenerti le tue opinioni per te”.
“Oh, sì! Mi scusi tanto, padrona!”- rispose sorridendo.
Lei si limitò a fargli una smorfia prima di tornare in cucina a scolare la pasta, di quelle che lui al tempo stesso odiava e trovava intriganti.
Enea si sedette al tavolo e per la prima volta realizzò quanto fosse ampio. Sorrise tra sé pensando al fatto che ci mangiassero sempre e solo tre persone.
Finalmente anche Cristiano si degnò di arrivare e, ovviamente, non chiese scusa per il ritardo. Anzi trovò pure il coraggio di lamentarsi del fatto che la pasta fosse ormai fredda.
Era convinto che il suo cospicuo conto in banca gli desse il diritto di comportarsi come un sovrano viziato, a cui tutto arriva già pronto e ornato da mille riverenze.
Parlò per tutto il pranzo dei suoi infiniti successi ottenuti sia nel campo economico, grazie ad investimenti ben meditati e alla sua capacità di analizzare il mercato in anticipo rispetto agli altri operanti nel settore, sia di quelli resi dalla scuola di equitazione esclusiva che anni addietro si era comprato e che aveva riempito di magnifici cavalli, costosissimi cavalli, e di validi cavalieri che li montassero in concorso.
La più valida di tutti era proprio Nina, la star del maneggio, era grazie a questo che si erano conosciuti.
Lo stesso Cristiano, una decina di anni prima, aveva ottenuto buoni risultati sul campo ostacoli, ma, aveva deciso che gli piaceva di più ottenere successi tramite terze persone piuttosto che impegnarsi direttamente per averli.
Tanto più che, a dire il vero, l’equitazione non lo appassionava poi così tanto : era uno sport che aveva intrapreso sotto velata costrizione della madre, che era stata un’eccellente amazzone in gioventù.
Enea annuiva di tanto in tanto cercando di mostrarsi interessato a fatti e racconti che aveva sentito mille volte, ancora e ancora, poi guardò l’orologio e pensò che lo aspettava un pomeriggio impegnativo.

Nella scuderia regnava il silenzio assoluto.
Alle due e trenta non c’era ancora nessuno, nemmeno l’uomo addetto alle pulizie dei box e al sostentamento dei cavalli.
Persino i cavalli stessi erano in silenzio, nemmeno un fiato, riposavano e alcuni erano addirittura sdraiati.
Enea si armò di brusca e striglia e , una volta passata una decina di box, arrivò a quello di Caligola.
Era l’ultimo, leggermente più grande degli altri e con un ampia finestra che dava sul campo di lavoro.
L’animale era intento a guardare fuori, le orecchie ricadevano morbidamente ai rispettivi lati. Era rilassato.
Enea entrò, gli mise una capezza lo legò ai due venti nel corridoio e iniziò a strigliarlo.
Si accorse che i suoi pensieri vagavano, toccavano i più svariati argomenti, cambiavano repentinamente ad ogni colpo di spazzola ma che, alla fine, tornavano sempre su Nina.
Non si spiegava quando fosse nato l’interesse per lei : non se ne era nemmeno accorto, anche perché era sempre stato attento a mantenere un certo distacco.
Insomma : era la donna del suo capo, convivevano e li aveva sentiti più volte parlare di matrimonio.
Però, li aveva anche sentiti litigare spesso nel cuore della notte : litigate furiose in cui si urlavano insulti a vicenda e si rinfacciavano varie rinunce passate. Liti in cui lei finiva sempre col piangere e lui col chiederle scusa. Le prometteva che non sarebbe successo più e due notti dopo, invece, ricominciavano.
Poteva sentire tutto questo perché le loro camere da letto erano adiacenti e, nonostante i muri della casa fossero molto spessi, i suoni si veicolavano bene in ogni locale della villa, quasi come se fosse stato fatto apposta di chi l’aveva costruita.
Riusciva a sentirli persino quando facevano l’amore e, questo fatto, era diventato una tortura negli ultimi tempi per lui nonostante, in effetti, accadesse sempre più di rado.
Quest’ultima riflessione gli fece pensare che magari Nina poteva anche ricambiare il suo interesse. L’aveva vista molte volte guardarlo di soppiatto a pranzo, a cena, mentre lavorava col cavallo, durante le feste mondane che Cristiano organizzava.
La cosa in realtà non lo sorprendeva : non che fosse particolarmente vanitoso, anche perché non era nemmeno particolarmente bello.
Ma era molto alto, con un fisico prestante, le spalle larghe i muscoli definiti, un sorriso smagliante e un viso interessante e soprattutto aveva una sicurezza in se stesso che attraeva moltissimo le donne e in materia amorosa, in effetti, non aveva mai fallito.
Sobbalzò, sentendo il pesante portone della scuderia aprirsi e dunque strinse il sottopancia, mise la testiera e si diresse verso il campo.
Il lavoro lo stava attendendo.

Nina montò a cavallo e si accorse subito che la muscolatura dell’animale era in tensione nonostante Enea, prima di farla salire, lo avesse girato per mezz’ora buona alla corda.
Dopo qualche giro di passo, partì al trotto, cercando di fagli tenere la testa bassa giocando con il morso di modo che, tenendo il collo arcuato, lavorasse di più con la fascia muscolare della schiena e che, concentrandosi su quello, il cavallo guardasse meno in giro e quindi facesse meno scherzi.
Già, perché se si riusciva ad impegnarlo non era così terribile, si limitava al massimo a qualche sgroppata e a prendere un po’ la mano al galoppo.
Glielo aveva insegnato Enea e da allora era riuscita a lavorare in maggior armonia con Caligola. Enea era un bravo addestratore, nonostante quello che pensava Cristiano.
Lo avrebbe detto di chiunque, in ogni caso.
Amava sminuire la gente, lo faceva sempre anche con lei.
A volte, quando era particolarmente arrabbiato, le diceva che i concorsi da lei vinti non erano merito suo e che anche una scimmia avrebbe potuto vincere con cavalli da migliaia di euro sotto il culo.
Ma che cavolo! Era lei che lavorava quei cavalli che, sì, avevano qualità pazzesche ma, la maggior parte delle volte, anche un pessimo carattere ed era lei che imparava come farsi capire da loro, come ottenere quello che voleva ed era sempre lei quella che più volte aveva rischiato la vita proprio per questo.
Come quella volta che in un concorso era stata disarcionata finendo contro un piliere e si era rotta tre costole, di cui, una di queste, era arrivata ad un millimetro dal perforate il polmone.
Cristiano non la aveva neppure consolata, le aveva solo detto perché era successo e che fondamentalmente era stata solo colpa sua : “Tiravi troppo quelle maledette redini tesoro, non capisci che è proprio la tua insensata paura ti mette in pericolo?!”
Mentre si dirigeva verso l’oxer azzurro e bianco, si chiese se in quella occasione anche Enea si sarebbe comportato così.

Cristiano se ne stava davanti al camino acceso, fissandone le fiamme.
Adorava quel rosso vivo, così intenso, e trovava incredibilmente affascinante il potere distruttivo insito nel fuoco.
Eppure l’uomo era riuscito a domarlo, ad imprigionarlo e a servirsene per i propri comodi.
Lo faceva con ogni più piccola variante della natura.
Non poteva farne a meno, come il leone non può fare a meno di cacciare la gazzella, di prenderla e in fine sbranarla.
Aveva fatto così anche con il cavallo, animale meraviglioso libero e fiero, poi catturato, imbrigliato e sellato, e privato della sua intrinseca fierezza, costretto ad obbedire ai capricci dell’essere umano.
Ogni tanto si chiedeva quanto questo fosse giusto.
Il fatto è che non lo era per niente ma non gli importava, non più almeno.
C’era stato un tempo in cui era pieno di ideali e di magnanime intenzioni, in cui pensava di avere davvero una passione per quello sport e per quell’animale.
Il suo primo cavallo, Princesa, era una femmina di Hannover, e lui la lustrava a lucido tutti i giorni, la portava a brucare l’erba, la amava.
Poi un girono arrivato in scuderia nel box di Princesa c’era un altro cavallo, un sauro.
Sua madre aveva mandando la sua adorata cavalla al macello perché era vecchia e non vinceva più ormai, e l’aveva sostituita con Kalymnos, un olandese di sette anni, vincitore di innumerevoli concorsi.
Da allora il cuore di Cristiano si era serrato e dell’equitazione non era importato più nulla : montava a cavallo il tempo indispensabile per fare bene in concorso e sceso dalla sella mollava le briglie in mano al groom di turno e correva via sulla sua sfavillante Lamborghini, ai duecento all’ora, per arrivare prima alla doccia e togliersi quella puzza insopportabile di dosso.
Eppure era portato per natura e vinceva, vinceva spesso, sua madre era gonfia di orgoglio e lui nel settore era visto come un dio, invitato come ospite d’onore ad ogni evento, ricoperto di premi e di attenzioni. E di belle donne, come Nina.
Pensò all’ultima litigata che aveva avuto con lei “Non sono più felice con te”, gli aveva detto.
Ma sapeva che non se ne sarebbe andata, lì aveva tutto quello che voleva : il lavoro dei suoi sogni, una splendida villa, vestiti pregiati, soldi, soldi e ancora soldi.
Si vuotò il sesto bicchiere di Amarone, rosso, ma non come le fiamme che gli stavano dinnanzi, era un rosso scuro, profondo, molto più simile al sangue.
“Non mi importa se non è felice. È mia e lo sarà sempre, solo questo importa. Non sarà mai di nessun altro!”
Bisbigliò fra sé, mentre sentiva che l’alcool cominciava ad impadronirsi di lui.

Nel frattempo in scuderia Nina stava dissellando Caligola.
Aveva i crini sudati, perciò lo aveva coperto con un pile e se ne stava seduta ad aspettare che asciugasse almeno un po’.
Pensava alla sua vita, era tutto ciò che aveva sempre sognato, ma non sopportava più l’idea di stare con Cristiano.
Era una persona orribile! Anche se era stato molto bravo a nasconderlo per anni.
Quando si erano conosciuti, sei anni prima, lo aveva trovato incredibilmente carismatico : ogni volta che apriva bocca aveva sempre qualche aneddoto affascinante o divertente da raccontare e tutti quelli che lo circondavano pendevano dalle sue labbra.
Le aveva fatto una corte spietata che era durata mesi, le spediva lettere ricche di elogi alla sua bellezza, le mandava fiori, le faceva preziosi regali, come quel carillon finemente dipinto a mano proveniente addirittura da San Pietroburgo.
La prima sera che uscirono, poi, la portò in un ristorante di lusso in riva al mare, dove cenarono al lume di candela e lui si comportò da perfetto gentiluomo.
La trattava come se fosse una principessa.
E fu così per molto tempo, per il tempo necessario affinché lei si innamorasse perdutamente tanto da andarsene di casa contro il volere dei suo genitori, trasferendosi a chilometri e chilometri di distanza per stargli al fianco.
Ed ora invece non sopportava neanche più il suo modo di respirare. Quando dormiva la notte lo guardava con disprezzo nella penombra della loro sontuosa camera patronale e pensava a quanto avrebbe voluto essere da un’altra parte, lontano da lui. Ma allora perché non riusciva a lasciarlo?
La verità era che si era abituata a quello stile di vita dove poteva dormire fino a tardi tra lenzuola di seta da mille euro , lavorare con i suoi amati cavalli ed ottenere qualunque cosa il suo cuore desiderasse.
Scoppiò in lacrime perché si rese conto che si stava lentamente trasformando in una persona orribile ed opportunista come lo era Cristiano. O forse era già diventata così a tutti gli effetti dato che non riusciva a staccarsi da lui.
D’un tratto sentì un braccio cingerle la spalla, era quello di Enea, che non aveva saputo resistere all’impulso innato di consolarla.
Quando lei girò il viso verso di lui non riuscì a resistere nemmeno all’impulso di baciarla, sapeva di essersi cacciato in un bel guaio ma era stato inevitabile. Era inutile continuare a mentirsi : la voleva, come non aveva mai voluto nessun’altra.
Ed ora che le era così vicino da sentire l’odore della sua pelle sapeva che non sarebbe più potuto restare alla villa se lei avesse continuato a dividere il letto con Cristiano.
“Non riesco a lasciarlo! Sono mesi che ci provo ma…non so come fare…dove andrò poi? Cosa farò? Di mio non ho niente, sono cinque anni che mi appoggio interamente a lui.
Però tu non te ne puoi andare ora, non puoi lasciarmi da sola, qui.”
“E cosa dovrei fare secondo te? Stare qui a guardarti mentre ogni sera chiudi quella maledetta porta dietro di te e te ne vai nel suo letto? Cosa dovremmo fare, poi, avere una relazione segreta?”
“Senti, tu hai ragione. Ma io ho bisogno ancora di un po’ di tempo, poco te lo prometto, solo il quello di provare a trovarmi un altro lavoro prima di lasciarlo”
“E sia allora. Ma se di tempo ne passerà troppo me ne andrò e non mi volterò più indietro. E da adesso fino a quando non saremo lontani da questa casa faremo finta di nulla, non ci sfioreremo nemmeno.”
Detto questo si avviò verso l’uscita mentre lei lo fissava con gli occhi ancora lucidi e la testa piena di pensieri.
Di colpo, Enea si girò “Voglio solo che tu sappia che io non ti tratterei mai come fa lui”- e, senza attende risposta, chiuse la porta alle sue spalle.

Durante la cena si respirava una certa tensione, leggera ma insistente, e cominciava a diventare davvero fastidiosa.
Anche Cristiano sembrava infastidito da qualcosa.
Forse aveva notato gli sguardi che Nina e Enea si scambiavano, più frequenti del solito.
Nina si accendeva una sigaretta dopo l’altra e, a dirla tutta, stava esagerando anche con il vino.
Tentava in ogni modo di togliersi dalla testa quel bacio che la faceva sentire tanto in colpa.
Guardava Cristiano e, per quanto lo trovasse spregevole, sapeva che era lei ad essere in torto. Ora aveva solo due scelte : rimanere con lui, facendo finta di nulla, dimenticando Enea ma mantenendo la sua dolce vita, oppure, lasciarlo alla svelta e tentare di costruirsi un futuro che dipendesse solo dai suoi meriti.
In fondo tra qualche settimana Enea avrebbe comunque lasciato la villa, dato che il lavoro con Caligola stava finalmente dando i risultati sperati.
Ma non poteva tornare alla vita di prima : da quando lui aveva messo piede nella loro proprietà, qualcosa era cambiato in lei, si era sentita di nuovo una persona e non solo uno dei tanti trofei luccicanti di Cristiano.
Basta! Non c’era più nessuna scusa : doveva lasciarlo, quella sera stessa.
Enea, invece, era relativamente tranquillo e se ne stava seduto in maniera scomposta, come al solito, fissandola.
Come era bella : la pelle di alabastro, i capelli neri, liscissimi e lucidi come l’ala di un corvo, gli occhi a mandorla, esotici, azzurri, così chiari da sembrare di ghiaccio.
Gli piaceva tutto di lei, anche il fatto che avesse un carattere così complicato e i suoi continui sbalzi d’umore.
Aveva solo un po’ di timore che non sarebbe mai riuscito a renderla felice perchè lui era un uomo semplice, che non poteva darle lo stile di vita a cui era abituata e che per quanto non volesse ammettere ormai era diventato suo.
Non poteva e anche se avesse potuto non avrebbe voluto : a lui piaceva vivere alla giornata, spostarsi in continuazione, vestirsi informale e fare festa. Quelle vera, non le impostate soirée che Cristiano organizzava.
Quando riuscì a scollarle gli occhi di dosso notò che, di fronte a lui, Cristiano lo stava fissando. Il suo sguardo era perplesso e carico d’odio.
“Qualcosa non quadra, perché la guarda con tanta insistenza?”, pensava tra sé Cristiano. “E perché lei invece evita il mio sguardo?”
“No, non è possibile : non può avermi tradito con un pezzente del genere”, si ripeteva come un mantra Cristiano mentre si scolava un bicchiere di vino dietro l’altro.
Faceva così dalle sette di quella stessa sera ma ancora non aveva nessuna voglia di smettere.
Anzi, a pensarci bene, era l’occasione giusta per fumarsi pure uno dei suoi pregiati sigari cubani. “Vogliate scusarmi, salgo un attimo in camera a prendere uno dei miei sigari, badate, però, che ci metterò poco…neanche il tempo di darvi un bacio!” -disse rivolgendogli un sorriso subdolo.
“Che ti salta in mente? Cosa vorresti dire con questa frase?” -ribatté Nina tradendo l’agitazione con lo stridio insolito della sua voce, normalmente roca e suadente.
“Oh ma niente, mia cara, dicevo solo per gioco…” -e così dicendo si avviò lungo le scale.
L’aveva tradito e ora ne era certo, altrimenti perché sarebbe scattata come una molla alla sua piccola provocazione?

I passi rimbombavano lungo la tromba delle scale, erano più pesanti del solito. E lenti, anche.
Era il pensiero comune di Nina ed Enea che, rimasti al tavolo, si guardavano in silenzio.
Sentirono indugiare sulla porta della sala da pranzo “Tesoro, verresti con me un secondo in cucina? Ti dovrei parlare.”
“Ma certo! A dire il vero anche io ho qualcosa da dirti.”
“Benissimo! Allora comincia pure tu”- disse Cristiano, appoggiato all’isola adibita alla preparazione delle pietanze -“Tanto temo che dovremmo parlare della stessa cosa”, aggiunse.
“Ok, dunque Cristiano, tu sai bene che tra noi le cose si sono fatte dapprima complicate e successivamente disperate. Ho fatto finta di nulla per mesi, ma ora non ce la faccio più : da domani i nostri rapporti saranno solo di tipo lavorativo, se tu vorrai che sia ancora io a montare i tuoi cavalli in concorso, ovviamente!”
“Certo che lo voglio! Solo tu sai montare Caligola come si deve e non potrei avere una cavallerizza migliore.”
“Quindi, non ce l’hai con me? Nemmeno un po’?”
Disse, mentre da seduta, con le lunghe gambe accavallate, lo fissava incredula coi suoi bellissimi occhioni spalancati e leggermente lucidi.
Lui le sorrise, dolcemente, pensando che era davvero un peccato che tanta bellezza andasse sprecata poi le poggiò una mano sulla spalla e tenne l’altra ben nascosta, dietro la schiena.
Le carezzava dolcemente i capelli, fini come la seta, “Lo sai mia adorata? Non avrei mai creduto che mi avresti lasciato per uno che mi è tanto inferiore, ti facevo molto più intelligente di così.” Nina girò il viso verso di lui nel tentativo di giustificarsi, non si saprà mai come, dato che il taglio sulla sua gola era stato veloce, netto e letale.
Il sangue sgorgava copioso e scendeva su quella pelle bianco latte, splendente, su quel corpo perfetto che il suo assassino aveva desiderato ardentemente e che ora non aveva più nessun impulso vitale.
Aveva avuto anche la prontezza di tapparle la bocca con la mano e così lei non aveva potuto neppure gridare.
Dalla cintura estrasse la Revolver che aveva preso quando era salito in camera sua.
Ora era in piedi, appoggiato allo stipite della porta della sala da pranzo. Anche Enea se ne stava in piedi di fronte a lui, rilassato, si massaggiava il collo con una mano e guardava fuori dalla finestra, gli dava le spalle.
Sentendosi osservato, si girò di colpo “Ma che diav…”
Lo sparo fu incredibilmente forte e rimbombò tra le mura affrescate della villa.
Si udì persino giù, alla scuderia, dove i cavalli cominciarono a nitrire in preda al terrore.


Libertad.

Una landa sin límites,
Se abre delante de mi mirada incrédula.
Todo es brillante,
Los colores son vívidos:
el azul del cielo,
el verde de la hierba,
y el rojo encendido del sol.
El aire que entra en la nariz es fresco,
perfumado,
Sabe de carreras infinitas,
de aquellas que te cortan la respiración,
y que te hacen pensar que te están quemando los pulmones,
que tu corazón está a punto de explotar.
Y después dejarse caer entre la hierba,
así suave,
y reír todavía, y todavía más.
y entonces dormir,
caer en un sueño profundo,
sintiéndose seguro.
Libertad.

Libertà (traduzione in italiano).

Una landa senza confini
Si apre dinnanzi al mio sguardo incredulo.
Tutto è brillante,
i colori sono vividi :
l’azzurro del cielo,
il verde dell’erba
e il rosso infuocato del sole.
L’aria che entra nelle narici è fresca,
profumata,
sa di corse infinite,
di quelle che ti spezzano il respiro
e ti fanno pensare che ti stanno bruciando i polmoni,
che il tuo cuore è sul punto di scoppiare.
E poi lasciarsi cadere in mezzo all’erba,
così soave,
e ridere, e ridere ancora.
E poi addormentarsi,
abbandonarsi a un sonno profondo,
sentendosi al sicuro.
Libertà.


Notte

La carne candida riflette la luce.
Illumina,
tanto che lo sguardo non si vuole sottrarre.
Il freddo,
sopraggiunge lento, ma inesorabile.
La vita si disperde.
Il grigio di tenebra copre la falce sul nero manto.
Lontana,
una civetta canta all’orizzonte.
Righe rosse,
come china si spandono e lacerano l’alabastro.
E il vento,
sussurra qualcosa di inudibile,
mentre anche l’ultima goccia di sudore evapora,
e se ne va.


Instinct.

 

The eyes, that eyes,

deep as the Cotahuasi Canyon, are looking me.

The crowd shoots, they all moves forth and back,

Talking and laughing,

Moving their hands to underline a concept.

And you there, motionless.

We cannot even smile because it would ruin the Intense,

Like Crescent Moon who insists to illuminate the Night,

And it snatches her essence : the immensity and the deeper dark.

Warm meat, raw meat,

The wool of a jumper falls to the ground.

The kiss, that kiss,

Is digging inside the mouth, inside the bowels, inside the soul.

The veins pulsate under a fearless glance,

The heartbeats accelerate, the blood explodes in the head,

The mind, that hush, astonished.

Exempt from the power of that we are born for.


 

Oculus solis.

Rosso vibrante,

Pelle morbida che sembra velluto,

un segreto nascosto al suo interno,

nero come la pece.

Un soffio di vento frizzante smuove le sue braccia,

il corpo trema, sinuosamente vacilla.

Ma la gamba, ben piantata a Terra, gli impedisce di cadere.

Di verde sgargiante è vestita

E di molte code è fatta la sua veste.

Il suo profumo sa di spezie e di Mondi lontani

eppure, al tempo stesso, è la personificazione della semplicità.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

Nel nulla.

 

Nel nulla cammino senza meta,

e una nebbia purpurea mi avvolge.

Che accadrebbe se mi fermassi qui?

In fondo questa nebbia sembra una nuvola,

mi ci posso adagiare e lasciarmi cullare da essa.

Posso riposare mentre essa mi avvolge sempre più,

fino a farmi diventare parte di lei.

Perché dovrei proseguire?

Si vede sempre meno, i passi si fanno sempre più pesanti,

e il terreno si fa impervio, instabile.

In fondo nemmeno si riesce a scorgere cosa ci sia alla fine di tutto questo.

E allora perché dovrei andare avanti ?!

Perché dovrei andare avanti?