Il Colore Del Mare

Mare azzurro al mattino,
blu profondo, celeste lo vedo.
Al tramonto o di sera
smeraldino, turchese
grigioverde , d’argento.
Luci ed ombre in quel mare
che dal sole si fa attraversare
come in gioco continuo
e dai raggi lunari ,la notte.
Ma nell’animo, in sogno, un ricordo,
un colore si aggiunge, “oinos pontos”,
il colore del vino.
D’un violetto rossastro
vedeva Omero quelle onde
che l’Ulisse del mito solcava,
Poseidone contrario,
alla volta di Itaca amata.
Ancor oggi quel “porpora viola”
tinge le acque a migranti smarriti,
in abissi di sale e di sangue
da un avverso destino sospinti.
Né la luce del sole o la luna
danno allora conforto o speranze
in quei flutti
divenuti incolori per tutti.

 

 

 

Lanzarote

Un drago possente
è adagiato sul fondo dell’oceano.
Dalle acque pronte a ribollire
emerge la testa ,Lanzarote.
O forse è il ventre rigonfio di braci.
Audaci uomini, incoscienti,
con vanghe e picconi il ventre corrugato
solleticano.
Pietosa una coltre di cenere
trattiene l’umida notte
per cederla a palme e vigneti
tra squame grigiastre, onde brune di pietra.
Dinanzi all’oscura bellezza
un vago terrore mi prende.

 

 

 

Istantanee

Dopo una pioggia estiva

Un mare di luce è caduto
dal cielo di un nero bluastro
Sull’erba e sui rami si è aperto
di scintillanti gioielli un forziere.
Al dono che pare di un Creso
intensa è la gioia
di piante ed uccelli.
Solleva il capo una chiocciola
a tutto quello splendore
e crede d’argento anche il solco di bava
che lascia sui rami, su un fiore.
Da una fessura di pietra,
come una foglia neonata,
una lucertola verde si affaccia
per bere l’aria, assetata.

 

 

 

Pepe e Paco: una strana amicizia

Pepe, il bel gattone rosso e bianco, passeggiava sul bordo della inferriata. I balconi erano il suo territorio visto che la casa non aveva un giardino, ma Pepe si accontentava. C’erano tanti vasi con terriccio in cui zampettare, alberelli e cespugli in cui nascondersi, fiori e piante profumate da annusare e persino un vaso con erba gatta…buonissima! L’unica cosa  di cui sentiva la mancanza  era un po’ di compagnia, qualche amico con cui giocare o azzuffarsi, qualche gattina cui fare la serenata. E poi gli mancava la caccia! Non poteva quasi mai soddisfare  il desiderio innato di catturare una bella preda, portarla in casa e far vedere alla padrona che gran cacciatore era lui . Ripensandoci era capitata sul balcone  qualche inesperta lucertolina, una grossa cavalletta stordita dal freddo, ma Rosi, la sua padrona non aveva apprezzato i doni portati ancora guizzanti sul lettone : che urlacci e rincorse con la scopa! Un po’ triste per questi pensieri Pepe saltò sul tavolino di ferro e, stiracchiandosi pigramente ,si apprestò a crogiolarsi al sole già caldo della primavera. Stando così, a pancia in su, si trovò a guardare il soffitto del balcone e…trasalì. Uno strano essere  quasi mimetizzato nel colore grigio verde del muro, una via di mezzo tra minuscolo coccodrillo e grande lucertola, se ne stava là in alto, immobile  a testa in giù, vicino alla plafoniera di metallo. Il corpo era attaccato al soffitto con delle zampette che terminavano con  dei fiorellini come mani., gli occhietti piccoli  e neri lo fissavano spavaldi. Che strano animale!

Pepe si preparò alla caccia: si allungò , si avvitò su se stesso per un salto acrobatico ed emettendo miagolii minacciosi, si slanciò verso l’alto. Ricadde però pesantemente sul tavolino: era troppo in alto, irraggiungibile, quell’essere che rimaneva fermo ,impassibile, sfidando le leggi della gravità. “E’ inutile – si sentì dire– rassegnati, non riuscirai mai a prendermi, solo io posso rimanere attaccato al soffitto senza cadere. Sono  Paco, un  geco pallido, ho ventose per mani ed un corpo quasi trasparente e senza peso .Per me è normale arrampicarmi e vivere a testa in giù come per te sfoderare gli artigli e muovere le tue vibrisse . Riesco a sfamarmi catturando di sera insetti  e moscerini attratti dalla luce delle lampadine, di giorno  ragni e mosche avviluppate nelle ragnatele.Sono utile,sai? Tanto che gli uomini mi permettono di  vivere sui muri delle loro case e addirittura mi considerano un nume tutelare, un protettore benevolo, insomma anche se sono brutto …un portafortuna.Ma anche tu, Pepe, sei fortunato: croccantini e premietti a volontà, per non dire poi delle carezze e coccole della padrona che ti ammira per il tuo bel corpo flessuoso e per il morbido pelo.  Dai, cerchiamo di essere amici ! Se non cercherai più di fare di me un bel boccone, ti racconterò le mie avventure di caccia e tu mi parlerai di carezze e profumi mentre staremo a scaldarci al sole o a guardare la luna e le stelle.” Pepe miagolò un po’ contrariato, si rmise sul tavolino a pancia in su e “ Va bene Paco  – disse—ma cerca di non cadermi addosso perché non potrei più essere tuo amico, mi ricorderei di essere…un gatto!”

 

 

 

Teo e gli occhiali… da luna

“Sei davvero brutto, brutto bruttissimo”dicevano gli altri gufetti a Teo che triste se ne stava in disparte, appollaiato su un ramo del folto cipresso.

Il fatto è che Teo, invece di svolazzare con gli altri alla ricerca di saporiti insetti per cena, appena veniva il buio, si nascondeva.

Cosa strana, poi, invece di spalancare di notte i suoi grandi occhi rotondi, li teneva socchiusi, due sottili fessure che non lasciavano neanche intravedere il bel giallo oro delle grandi iridi.

“Povero Teo, poveroTeo! “lo commiseravano gli amici gufi e lui, infelice, si rifugiava nel verde più fitto.

“Tutta colpa tua – si lamentava Teo stizzito, rivolgendosi alla luna, – i tuoi raggi d’argento sono come lame di ghiaccio che colpiscono i miei occhi; vedi, non riesco più a tenerli aperti, mi bruciano e continuano a lacrimare.

Come farò? Noi gufi, si sa, siamo animali notturni e io, così malridotto, non potrò più cacciare gli insetti per nutrirmi. Morirò di fame, son sicuro!”

La luna ascoltava dispiaciuta i lamenti del gufetto: non avrebbe mai immaginato di far tanto male a Teo, proprio lei, ammirata da tutti per la sua luce discreta.

“Cosa posso fare per quella creatura del bosco?” si chiedeva e cercava qualche nuvola per nascondersi, per oscurare i suoi raggi che pure erano così utili agli animali della notte.

Una sera, vedendo Teo come al solito triste e piangente, le venne un’idea.

Un dottore, certo, un buon oculista avrebbe potuto aiutare il gufo; bisognava proprio suggerire a Teo di andarci al più presto.

Così fece e Teo, speranzoso, corse dal dottor Gufoni, l’oculista del bosco.

“Caso strano, stranissimo davvero” sentenziò il dottore carezzandosi le piume del mento e aggrottando le sopracciglia cespugliose; sfogliò poi un librone, guardò sul suo pc e ” ho trovato – disse – c’è un modo per guarirti, un modo insolito, anzi originale, ma penso proprio che faccia al tuo caso”.

Frugò in un cassetto, quello delle meraviglie, e dopo un po’ tirò fuori un paio di occhiali grandi e tondi con scure lenti …a specchio.

“Le lenti a specchio, mio caro Teo, rispediranno i raggi alla luna e tu, vedrai, riuscirai a fare le tue solite cose senza più lacrime e bruciore.”.

“Uao e ancora uao, grazie mille dottore!” fece Teo, felice.

Immediatamente inforcò gli occhiali, svolazzò allegramente nel bosco e orgoglioso corse subito a mostrare a tutti gli amici i suoi bellissimi e utili occhiali… da luna.

E la luna?

Sorrideva, là in cielo e , senza più preoccuparsi, inondava la terra con la sua pallida luce d’argento.

 

 

 

Lola, maialina top model

C’era una volta una grande cascina dove, in buona armonia, vivevano insieme animali di tante specie diverse: cavalli e puledrini, galli e galline, tacchini, anatre, mucche e vitelli. Tutti si dividevano fraternamente gli spazi verdi intorno alle stalle.

Un po’ in disparte se ne stavano i maiali.

Si sa , l’odore dei loro corpi non è gradevole e tutti, animali e uomini, incontrandoli giravano spesso al largo turandosi il naso e facendo versi di  disgusto.

“Bleah, che schifo!” dicevano apertamente quei maleducati e non si accorgevano di far soffrire i maiali che, per vivere in pace, facevano finta di non vedere e non sentire

Lola, giovane maialina,  però, non si rassegnava.

Si specchiava in una pozzanghera e si vedeva bella, anzi bellissima.

”Ho il  corpicino tondo, il codino arricciato, il muso che a vederlo rovesciato forma un bell’otto: sono la più bella maialina della fattoria! ”diceva orgogliosa.

L’unica cosa che stonava era la pelle, tutta coperta com’era da una spessa crosta di fango. Lola si rendeva conto di ciò, ma non sapeva cosa fare.

Vedendola triste la mamma, come a volerla confortare , le diceva:” Figlia mia bella, cerca di capire, quella crosta  così brutta è però molto utile  perché serve a proteggerti dal caldo e soprattutto dalle punzecchiature di fastidiosi insetti!”

Lola, però, non era convinta e non si rassegnava certo.

“Debbo togliermi questa crosta puzzolente – pensava –  allora sì che si vedrebbe  la  mia delicata pelle rosa ornata da qualche decorativa macchia nera! Allora sì che tutti ricercherebbero la mia compagnia!”

Un bel giorno, andando più lontano del solito, giunse presso un canale che portava  acqua limpida e pulita alle vicine piante di granturco.

A Lola venne improvvisa un’idea: si sarebbe finalmente lavata, ripulita dal fango maleodorante e  certo a quel punto gli altri animali l’avrebbero volentieri accolta fra di loro, avrebbero fatto amicizia.

Così fece e pulita, rosea e profumata, sfilò nell’aia davanti a tutti gli abitanti della cascina, proprio come una top model, fiera della sua bellezza ed eleganza. Mentre  era lì, sulla passerella, aveva persino voglia di fare delle smorfiacce a quelli che finora non l’avevano degnata di uno sguardo.

Ma… accidentaccio, perché quel gran prurito improvviso, quel bruciore intenso?

Lola si scrutò con attenzione: mosche e tafani si erano avventati con pungiglioni acuminati sulla sua pelle grassa, rosea e profumata e il sole, il caldo sole estivo, sembrava volerla bruciare con cocenti e fastidiosi raggi.

”Che male, che tormento!” pensava la maialina ricordando le parole della mamma mentre si tratteneva a stento dal grattarsi furiosamente.

Lola quel giorno riuscì a malapena a finire la sfilata, poi, davanti agli occhi sbalorditi degli spettatori, di corsa andò a tuffarsi in una bella pozzanghera fangosa  dove si rotolò beatamente tra gli applausi di tutti i maiali presenti.