“FLUSSO”

Passo e ritorno,

nel tubo che scorre in me ritrovo il “tutto”.

Eccomi, seduta a combattere i mille volti di me,

visti, stravolti, riconosciuti e distorti.

Passo e ritorno; non è la strada sbagliata,

non è follia che allaga.

E’ il cuore che cerca, si tende.

Giro su me stessa e con me il mondo intero si scuote e freme e mi lascia senza fiato.

Sbircio un brivido di paura e un fiore che sboccia.

Sono ancora qui; passo e ritorno.

Guardo, fisso, sbatto e mi centro.

Fluttua il silenzio potente e il mio passaggio è più forte.

Sono qui, scompigliata e più forte.


“SANGUE DEL MIO SANGUE”

Seduta sulla verde poltrona accanto alla finestra, Matilde, ancora avvolta dalla lacca dei capelli appena sistemati, fissava il vuoto nonostante lo splendido Pioppo del giardino sembrava scuotersi per attirare la sua attenzione e farsi ammirare.

“Nonna…”

Solo questo dolce e insieme irritante suono la riportò presente e le impedì di rovesciare la tazza di the con la quale nervosamente giocherellava, girandola tra le aride ma forti e solide mani.

“Scusa Marika, stavo pensando a quella volta che…”

“Si si nonna, a quella volta che avresti potuto vincere la medaglia più importante se solo non fosse stato per quel dannato incidente”, tuonò la giovane e troppo colorata nipote, sfinita dal solito mantra che la vecchia nonna, con cui divideva un appartamento di tre stanze e una vita di allenamenti, le propinava ogni mattina prima del caffè.

Le gambe definite e straordinariamente modellate dell’atleta sembravano la continuazione di un’universale opera scolpita dal più angelico scultore. Ogni movimento rendeva visibile un tendine inaspettato e un muscolo pulsante che per Matilde erano insopportabili frustate schiantate dritte sull’anima. Davanti a lei, sconfinata bellezza; davanti a lei ciò che non era diventata.

Da tempo l’arida donna aveva smesso di chiedersi se ciò che teneva annidato nel cervello fosse un pensiero degno della punizione di dio.

Era possibile odiare così fortemente ciò che discende dalla propria carne? In fondo cosa c’entrava lei se il destino l’aveva voluta vedere schiantata al bordo di una strada, ancora bella e forte del suo raro e straordinario talento. Forse era destinata ad altro; altri talenti l’aspettavano.

Nessun artificiale pensiero poteva compensare l’ira che Matilde non poteva far esplodere contro un dio che decisamente non esisteva e le aveva regalato la più insopportabile e insuperabile prova che solo una mente divina può disegnare. Il suo sogno sfumato era risorto nella carne della splendida nipote.

Non avrebbe mai vinto questa maledettissima gara.

Gli occhi cercarono nuovamente il vuoto.

“Marika”, continuò Matilde incurante delle parole della giovane,” ti ricordi che prima di affrontare le parallele è necessario…”

“Basta!” tuonò improvvisamente la ragazza; “basta nonna non ce la faccio più, non ti sopporto, sò benissimo cosa devo fare per essere una buona atleta e non ho più bisogno dei tuoi stupidi e superati consigli. Mi tartassi ogni giorno come se fossi ancora una stupida bambina che non sà nemmeno dove iniziano e finiscono le braccia cazzo!”. “Nonna basta, sono io che devo fare la gara e non so cosa farci se le tue gambe si sono paralizzate per un bastardo incidente. So solo che non posso continuare a stare qui a farmi massacrare dai tuoi rimpianti rinsecchiti”.

La furia di Marika risucchio l’aria della stanza; Matilde non ebbe nemmeno il tempo di trasformare lo sgomento in una qualche espressione quando la leonessa aggiunse svelta come chi sta cogliendo un momento che potrebbe non tornare più: “Tra una settimana vado a vivere con Ted. Mi ama, è un bravo allenatore ed è ora che io pensi alla mia vita. Ti manderò dei soldi tutti i mesi, quindi non ti devi preoccupare”.

Contraendo le budella per  fa risalire il fiato fino alla gola cercando di controllare il tremore fisico che la stava invadendo, Matilde sgomenta e terrorizzata non poté fare a meno di sentire un conato di vomito davanti all’immagine di quel ragazzone tutto chewing gum e muscoli che si sarebbe portato via la sua nipotina, la sua campionessa, la sua atleta. Cosa avrebbe fatto adesso su quella stupida e inerme poltrona verde?

Alzandosi lenta ma decisa aggrappata al bastone d’ottone, fece qualche passo verso la nipote che istintivamente si ritrasse, roteando su se stessa e afferrando rapidamente la sacca sgualcita di jeans da cui spuntava un lembo di tuta e una rossissima mela con cui ora giocava nervosamente.

“E’ giusto, è la tua vita, sono invecchiata io e anche i miei modi, sei pronta per il mondo”.

Matilde non era mai stata molto brava a mentire e le aride mani sbiancate improvvisamente la tradivano un po’, ma Marika non se ne rese conto, ancora stupita di esser riuscita a sputare ciò che teneva nel petto da mesi.

“Mi spiace nonna”.

“No Marika. E’ giusto”. “Ti aiuterò a preparare le cose se vuoi, almeno questa vecchia  avrà qualcosa da fare”.

Più calma ma schiacciata da un senso di colpa fastidioso e incessante come il pianto di un bambino, la nipote, che invece in quanto a menzogne aveva già vinto tutte le gare possibili, esordi:

“grazie nonna ti voglio bene e so che mi capisci. Negli armadi ci sono solo quattro stupidi stracci non preoccuparti”.

“C’è una cosa che non ti ho mai detto: Ted ti ammira moltissimo, mi chiede sempre di quando gareggiavi e della tecnica con cui eseguivi i “flik flak” sulla trave alta. E’ buono, ti verremo a trovare ogni settimana e potrai continuare ad aiutarci negli allenamenti; il tuo punto di vista per me è ancora prezioso”.

.

Con la poca linfa vitale di cui ancora era in possesso, Matilde riuscì solo a sibilare: “Va bene cara, sarà un piacere scartabellare foto ingiallite e cenare assieme qualche volta”. Ora scusami ma la cucina mi chiama”.

Marika per non dover reggere anche il pianto della nonna che già si faceva strada nel silenzio di piombo, corse verso la porta d’uscita traballando sulle sue stesse bugie.

“ti voglio bene nonna; sarò a casa per cena oggi:” l’allenatore dice che ogni tanto si deve anche riposare e se ti va stasera Ted e io stasera possiamo farti compagnia”.

Matilde, sentì di nuovo la frustata nell’anima e traballò anch’essa sulla strada di menzogne tracciata dalla gazzella in tuta che la guardava sorridendo mesta.

“Va bene va bene, ora mi riposo un po’ e poi mi metterò a far danzare le padelle. Vai piccola seno farai tardi in palestra”.

Quando la porta batté, la vecchia lasciò sgorgare tutta la rabbia che sino a quel momento aveva imbrigliato nei  neuroni ormai quasi impazziti.

“Devo cucinare, devo cucinare, Ted…., stupidi consigli, devo cucinare,devo cucinare, foto ingiallite, maledetto bastardo, cucinare…, allora poca farina, due uova, mescolare…. e poi?, maledetta macchina..devo cucinare…”.

La sedia della stretta cucina fu il posto dove Matilde si lasciò pesantemente cadere sprofondando nel buio della mente. Il corpo urlava di dolore ma una piccola fiammella nascosta nei suoi addominali ancora strizzati, le faceva compagnia e le parlava.

Pensando alla nipote troppo colorata che in questo momento stava sicuramente cercando conforto tra le incoraggianti parole del suo eroe, Matilde lentamente ricompose i suoi pensieri, bevve un po’ d’acqua fresca e cominciò ad ascoltare con attenzione la fiammella che ora aveva preso una voce che  poteva chiaramente sentire.

“Bene cara, stasera hai ospiti e devi essere presentabile e gentile, ti risistemerai i capelli, ti stamperai in faccia il più lieto dei sorrisi e farai trovare ai giovani innamorati una cena perfetta. Potrebbe essere l’ultima conoscendo tua nipote, quindi impegnati!”.

Obbediente come un boy scout in prova, la vecchia prese subito a rovistare nel vecchio ricettario cercando una pietanza che avrebbe fatto esultare i suoi ospiti. Tovaglia allegra, bicchieri scintillanti, un buon vino e il piatto preferito dell’agile ragazza. Torta salata immersa in un mare di fresche verdure simili ad un perfetto quadro d’arte astratta. Un gesto rapido per rimboccarsi le maniche della vestaglia, un’occhiata alla pendola elegante della piccola cucina che, curiosa ne spiava i consueti ma inquieti movimenti, Matilde si mise all’opera.

Battevano le  otto di sera quando dal cortile Matilde senti le irritanti voci dei ragazzi che si avvicinavano alla porta; qualche pausa mischiata a risatine trattenute. Nel silenzio intimo e protetto da occhi indiscreti, i due andavano rafforzando il loro sodalizio appena iniziato e si preparavano sfrontatamente a recitare una contentezza che avrebbero preferito consumare selvaggiamente aggrappati l’uno all’altro nel sedile posteriore dell’auto di Ted.

“Ben arrivati ragazzi” scandì la padrona di casa con un’aria serena che stupì la nipote ancora umida di sudore e saliva.

“Nonna sei elegantissima, e che profumo. “ Mi spiace per oggi”, “Avrei dovuto parlarti con più calma”. E con un sintetico bacio sulla guancia cercò di sondare l’umore della vecchia.

“Ted stasera mia nonna è bellissima”, squittì Marika tentando un rituale di  ringraziamento per l’invito.

“Buona sera Ted,Marika ormai parla sempre di te  e sono felice di rivederti ”. Ecco di nuovo l’incontenibile conato di fronte a quell’insulso americano tutto muscoli e denti; certo i modi erano raffinati, le parole gentili e misurate..difficile trovargli un difetto..Matilde sentiva l’odio mescolarsi all’odore delle pietanze che in cucina stavano aspettando di entrare in scena.

“La promessa degli anelli maschili a casa mia”, disse Matilde spiazzando immediatamente il ragazzo.

“Troppo gentile signora; ci vuole ancora molto allenamento e forse tra un paio di mesi potrò arrivare alle qualificazioni”. Vedendo l’espressione di Matilde rabbuiarsi improvvisamente, Marika prontissima squillò con tono di bimba davanti allo zucchero filato:” Dai, basta parlare di lavoro: ho fame e non vedo l’ora di assaggiare quel vino che mi guarda da quando sono entrata”. Tutti sorrisero, tutti ebbero un pensiero nascosto fra le gengive rosee e incandescenti.

A tavola il silenzio regnava sordo, intervallato da qualche commento sul cibo, sui bei tempi andati, sui sistemi di allenamento e la loro evoluzione. Solo Matilde sembrava essere a suo agio, mentre con la forchetta giocherellava come sua abitudine con le verdurine che sembravano saltellare nel piatto, assieme alla sua fiammella.

Marika fece per versarsi il terzo bicchiere di vino quando improvvisamente la sua meno cominciò a tremare e il viso farsi rosso come chi si arresta da un’infinita corsa. Prese a tossire convulsamente finché una cascata di vomito colorato come lei non inondò l’intera tavolata. Matilde non si scompose. Ted non ebbe nemmeno il tempo di allungare le braccia per evitare la caduta della giovane dalla sedia; i suoi muscoli e i suoi denti erano scossi da violente convulsioni che esplosero anch’esse in un arco di cibo tritato che andò a riversarsi sul tappeto buono. Matilde sorrideva.

Il terrore unito ad una immediata comprensione si stampò sul viso della giovane coppia; eccoli entrambi stesi al pavimento contorcersi in una danza disperata dove gli occhi e le parole cercavano d’incontrarsi per un inutile e oscenamente goffo  tentativo di aiuto reciproco.

“Oh”, pensò l’arida vecchia, “che danza meravigliosa, che sincronia perfetta di movimento, che originalità coreografica, degna dei più grandi campioni olimpici”. Senti un estasi che la penetrava nel vedere i due corpi che si torcevano, producevano rumori indistinguibili e sguazzavano tra vomito e sangue.

La mano di Marika si appoggiò al tavolo con l’unico risultato di trovarsi nel buio totale, coperta dalla tovaglia buona e insultata dalle posate che le cascavano in testa mentre lentamente il dolore lasciava spazio ad una paralisi che non le faceva più sentire le gambe. Ted, bianco come la neve di un quadro giapponese,  con l’unico braccio che potava muovere, tentò di afferrare il cellulare dalla tasca dei pantaloni sportivi con il risultato di vedere la sua mano pietrificarsi in quell’insulso e patetico gesto che stava segnando la fine della sua giovane vita.

“Che c’è ragazzi?. La torta era troppo pesante? Ah.. forse uno strappo esagerato alla vostra dieta di atleti?” Su per una volta si può fare, mi sembra una reazione esagerata la vostra. Domani solo succo di arancia”.

La risata pazza di Matilde risuonava nel piccolo appartamento, mischiata agli ultimi sibili dei ragazzi che strabuzzavano gli occhi verso di lei in cerca di una pietà che non sarebbe mai arrivata. Marika, appoggiata al corpo scomposto di Ted, raccolse le ultime forze per muovere le rossee e incandescenti gengive sulle quali gli splendidi capelli neri stavano ora appiccicati come la resina alle dita di chi sfiora un albero vivo. “Nonna…”

Quando il silenzio quieto di chi ha portato a termine una missione importante ricadde sulle piccole stanze, Matilde era di nuovo accasciata sulla  verde poltrona. Come sempre fissava il vuoto ma stavolta era certa di aver colto lo sguardo del Pioppo che le sorrideva e le mostrava una comprensione inaspettata. Le aride ma forti mani come sempre giocherellavano…un piccolo e buffissimo fungo, risparmiato per vezzo alle diaboliche pentole, appariva e spariva tra le falangi di Matilde, che ogni tanto, staccava lo sguardo dalla finestra per contemplarlo in tutta la sua potenza.

Calava la notte e l’ultimo pensiero della vecchia arida aleggiava secco nell’aria ormai putrefatta della sala..

“Stupidi consigli…”