Attesa

Se ne stava lì da così tanto tempo che la ragazza non poteva fare a meno di chiedersi se fosse parte della spiaggia, se le alghe e le conchiglie si fondessero attorno alle sue gambe brune, durante la notte, come edera marina. Era lì, immobile, gli occhi fissi su qualcosa in lontananza tra onde che solo lui poteva vedere. Il suo viso le ricordava un foglio sgualcito, le sarebbe piaciuto leggere nei suoi pensieri, immaginava che fossero polverosi.
Lo guardò tutto il giorno, di sottecchi; niente lo smuoveva. C’erano lui e la sua ombra, che diventava sempre più lunga mentre il sole tramontava. Cosa si provava ad essere così soli, si chiedeva.
L’uomo stava aspettando, e anche lei si mise ad aspettare.
Lo osservava. Aveva una conchiglia in mano, la stringeva così forte che piccole gocce vermiglie iniziarono a scivolare tra le dita picchiettando la spiaggia. Le si chiuse la gola.
“Si sente bene?” gli chiese correndogli al fianco. L’uomo sobbalzò a quella domanda, portandosi la mano sul petto con fare protettivo.
“Sì, sto bene” rispose “è solo un piccolo taglio.”
“Forse dovrebbe sciacquarsi nel mare…”
L’uomo si strinse ancora di più la mano al petto.
“No, sto bene. E poi non andrei mai nell’acqua, io mi limito a guardarla.”
“Posso guardarla anche io?” chiese lei. Annuì. Si misero a guardare l’oceano insieme, la ragazza aveva timore di domandare il perchè.
Quando il giorno divenne così caldo da risultare quasi insopportabile, lei si immerse nel mare, facendosi scivolare di dosso un po’ di sole. L’uomo non mosse un muscolo, aspettò pazientemente il suo ritorno.
“Perchè non viene anche lei?”
“Squali”, disse seriamente, guardandola di sfuggita. “E balene. Non sai quante bestie marine siano pronte a ingoiarmi e risputare le mie ossa, pulite.”
La ragazza rabbrividì. Le sembrava di aver appena sentito il finale di una di quelle storie di paura che le raccontava suo fratello. Si chiese allora se l’uomo avesse una famiglia. Poteva essere un nonno, con i capelli grigi e le rughe attorno agli occhi che sembravano fatte con uno scalpello. Per un secondo immaginò che suo nonno non fosse morto prima che potesse conoscerlo, che invece avesse deciso di starsene immobile a guardare il mare aspettando il giorno in cui lei lo avesse trovato. Poteva essere lui, magari.
“É spaventato” disse, mentre tiepide gocce salate le scivolavano lungo le palpebre e le si seccavano alle caviglie.
“Lo sono.”
Non poteva essere suo nonno, lui avrebbe amato l’oceano come lo amava lei.
“Ma lei cosa fa?” gli chiese, disegnando arabeschi sulla sabbia con un legnetto bianco e perfettamente liscio. Lui la guardò per un po’ prima di rispondere.
“Sono un attendente.”
“Quindi un militare?”
“No. Intendo dire che semplicemente sto qua sulla spiaggia e attendo.”
“Ah, capisco”, disse. Ma non capiva, non del tutto. “E chi è lei?”
“Niente.”
“Ma tutti sono qualcosa…non c’è nulla che le piaccia fare?”
Poteva sentire i suoi occhi grigi su di lei, onesti e profondi, arrossì un poco.
“Voglio dire” riprese lei “io ad esempio giocavo a calcio. Ma non mi piaceva veramente, mai fatto un goal. Ogni tanto scrivo storie, ci provo. Ma è una cosa stupida…”
“Una scrittrice?” le chiese. “Sembri una scrittrice in effetti.”
“No, non lo sono. Non posso. Cioè…le storie…sono tutte nella mia testa, ma quando provo a scriverle, quelle semplicemente…non lo so. Non voglio che la gente rida di me.”
“Dovresti scrivere una storia per me”, disse lui, “io non riderò.”
La ragazza piegò le labbra in un sorriso forzato, ogni battito del cuore che rimbalzava nello stomaco. Non poteva scrivergli una storia, anche se non avesse riso. Non aveva niente da raccontargli che fosse bello abbastanza. Gli occhi di lui calavano seguendo il sole.
“Credo che andrò”, gli disse. Non si aspettava che le rispondesse, infatti non rispose. Prese il legnetto bianco e liscio e scrisse il suo nome sulla sabbia, ogni lettera profonda e un po’ storta.
“Non sono una scrittrice” precisò ancora una volta, non sapeva se più a se stessa o all’uomo che la affiancava immobile come una statua, ad aspettare le onde.
Iniziò a essere una specie di gioco per lei, svegliarsi ogni giorno sempre prima per vedere se l’uomo fosse già sulla spiaggia. Si alzava quando era ancora buio, quando si sentiva l’oceano ruggire piano all’alba, fiero e carezzevole. Lui era sempre lì.
Si domandava cosa mangiasse, se usasse un bagno. Ma non voleva chiedergli cose così sciocche.
“É sposato?” domandò allora.
L’uomo la guardò e quel suo viso di carta sembrò vacillare sotto mille pensieri per una frazione di secondo.
“Sì” rispose laconico, ritornando a osservare il mare. Lei lo guardò, guardò i suoi capelli bianchi e le lentiggini sulle braccia. C’era una storia in lui, lo sentiva, proprio sotto quella pelle sottile e accartocciata. Non avrebbe voluto forzarlo a raccontare, ma non ce la fece.
“É questo che sta aspettando?” chiese. “Sua moglie?” Si pentì immediatamente della domanda, sperò che la lingua le si attorcigliasse in gola, ma era troppo tardi. Le parole galleggiavano proprio in mezzo a loro, impossibili da ignorare.
“A volte”, rispose lui con un mezzo sorriso triste. “Ma ora sto aspettando la tua storia.”
“Non ci sarà nessuna storia” disse lei e corse incontro alle onde, nuotò e nuotò, certa che così l’uomo e il suo sguardo profondo non avrebbero potuto raggiungerla.
Lo incontrò il giorno dopo, decisa su un’idea.
“Venga vicino all’acqua”, gli disse, “giusto sul bagnasciuga.” L’uomo scosse la testa, ma lei poteva vedere che i suoi muscoli pronti a farlo. “Solo sul bagnasciuga, niente di più.”
Mosse un passo. Lui era come un manichino coperto di sabbia e mal oliato, lei come una ninfa dell’acqua, una sirena che lo chiamava sulla melodia dell’oceano. Le si mise accanto, si lasciò bagnare le caviglie da quel mare salato.
“Sto affondando” disse, guardandosi i piedi sorpreso.
“Sì, le onde se ne vanno prendendo con sè la sabbia” gli disse.
L’uomo annuì e si lasciò inghiottire piano piano dall’oceano, serenamente.
“Vede, non c’è da aver paura, non è male”, disse la ragazza.
“No, non è affatto male.”
Si sentiva stranamente fiera di se stessa e di lui, fiera dei suoi piedi candidi e del suo naso bruciacchiato dal sole. Si sentiva anche coraggiosa.
“Forse potrei scriverle una storia”, disse. “Gliela potrei raccontare mentre lei aspetta sua moglie, così non si sentirebbe troppo solo.”
“Forse”, disse lui, mentre l’acqua gli afferrava i polpacci con dita di schiuma.
Erano quasi le cinque della mattina e la spiaggia era vuota. L’uomo non c’era. L’unica cosa che riusciva a vedere erano delle impronte che arrivavano al mare per poi scomparire. Una fredda sensazione si impadronì delle sue tempie.
Dov’era lui? Erano le sue impronte?
Importava davvero?
La sua vita non era una favola. Se lo fosse stata a qual punto l’uomo sarebbe riapparso dalle onde e le si sarebbe messo accanto, gocciolandole sui piedi. Oppure sarebbe spuntato da dietro le dune, ridendo e scusandosi per averla fatta aspettare. No, certo che no. Non ci sarebbe stato un finale a sorpresa, nessun climax. Solamente il suono del mare e il garrire dei gabbiani, le onde che lavavano via le impronte e l’esistenza dell’uomo.
Lo aspettò.
Quando le impronte non si videro più, prese un bastoncino e iniziò a scrivere una storia sulla sabbia, lasciando che l’acqua fredda lavasse via ogni parola a poco a poco:
“Se ne stava lì da così tanto tempo che la ragazza non poteva fare a meno di chiedersi se fosse parte della spiaggia, se le alghe e le conchiglie si fondessero attorno alle sue gambe brune, durante la notte, come edera marina”


Lei

Lei è il tipo di ragazza che tiene gli occhi aperti quando baci, così come tiene aperto il cuore 24 ore su 24 7 giorni su 7. Le piace disegnare giravolte negli spazi vuoti delle pagine, perchè il bianco la fa sentire sola, come se potesse cadere in quel nulla e non rialzarsi.
É il tipo di ragazza che pensa che l’idea di stare seduti sotto gli alberi sia più bella che farlo veramente, perché non importa quanto poetico possa essere, ma alla fine della giornata ti ritroverai accaldato, coperto di formiche e pruriginante. Ma lo farà, lo farà perchè essere poetica è tutto quello che ha. A volte, distrattamente, pensa che innamorarsi sia molto simile a stare seduti sotto gli alberi.
Una volta si innamorò alle 10:30 e ne uscì alle 10:32. In quel momento rise, si mise una mano sul petto, disse che lui le aveva preso un pezzo del suo cuore ma che le andava bene perché aveva intenzione di darlo via tutto comunque. Per lei era inutile, uno strumento arrugginito intrappolato dietro costole stonate che avrebbero potuto diventare perfettamente musicali, se nelle mani giuste. Si meritava di essere rotto e gettato in disparte, affidato ad altre voci.
Lei è il tipo di ragazza che ama la musica, ma non sa cantare. Pensa che la sua bocca potrebbe essere persuasa a cantare dalle labbra giuste.
La sua risata è come bollicine di champagne e il suo sorriso come le bucce di un’arancia.
Nel bel mezzo di qualcosa, apre il palmo della sua mano immaginando che farfalle leggere si librino in aria. Perchè è il tipo di ragazza che immagina polvere di fata che vortica nei suoi pori e code di comete bloccate dietro le spalle.
Sogna di stelle avvolto intorno le dita, di case con staccionate bianche, di cadere verso l’alto, di trovare il lavoro giusto e di volare insieme a mille e uno pesci rossi.
Lei ha la pelle realista, ma le ossa romantiche.
Ogni notte lascia se stessa nel letto e si mette a ballare con la luna.


Crepa

Quella crepa nelle nuvole mi chiama,
nasconde storie non raccontate
accarezzate dal vento dei sognatori.
Lo senti sussurrare
contro i polpastrelli tesi,
come il bacio di un amore che fu.
E noi siamo come echi
che si incontrano
a metà di una frase.
Sappiamo dare un nome ai sentimenti,
ma non riusciamo a comprendere
ciò che veramente proviamo.


Paesaggio

ti ho mappato come un paesaggio
e ci ho sovrapposti per capire
se le nostre montagne e i nostri avvallamenti
potessero abbinarsi

sono opposti

ho tracciato la tua schiena mentre dormivi
e ho lasciato che le mie dita si muovessero lungo
i segni lasciati dall’amore
per vedere dove eravamo destinati ad arrivare

non l’ho compreso

e ora so che la mia paura dell’oceano
è irrilevante
perché ovunque le onde mi porteranno
riuscirò a respirare

anche senza te.


Ricerca

Sotto un cielo di re, vibrava la vita dei mortali. Calde gocce di pioggia versavano febbrili sogni non ancora nati, un canto silenzioso come il polline dorato che si spande nelle foreste arcane.
L’alba adorna le antiche creste di terra con ombre e spiriti, illumina le ricchezze opulente e la miseria della fame.
A lungo sono rimasto a guardare il flusso di questo rapimento primordiale, richiamato dal selvaggio. Ho dormito nella culla magica della natura, accarezzato dal vento e da lingue di fiamma.
Sogni e sognatori, li ho fatti richiamare in fretta e ho conficcato la mia spada nel cielo, ho donato l’eternità alle stelle.

Ho vagato attraverso stagioni leggendarie, la mia anima ho inciso nella nebbia del tempo. Sopra campi color pastello ho cercato ricordi sfuggenti, ho indossato vesti color della notte nella cerchia dei re. I miei occhi osservavano attraverso impalpabili maree.
Merlino mi ha trovato col suo sguardo infinito, tra le promesse dell’inaffidabile Luna. Tu sei celeste, rivestito dal velluto della luce stellare, mi ha sussurrato.
Tu sei fuggita sulle note delle sue parole e hai pianto quietamente, lasciando scivolare calde lacrime sulla Terra, scintillanti come una miriade di cristalli.

Ecco! il respiro dell’Inverno, l’abbandono della gloria ricercata. Ho inseguito le pagine della vita, immerso nello scorrere di un’alchimia soprannaturale. Mormoravo parole inconcepibili alla vastità delle costellazioni. É il tramonto di ossa stanche e sangue antico.
La tua essenza aleggia su fiumi di cenere e neve, si svela nell’etere; è il calice dell’eternità, bramata da tutti, amata da me.
Segreti sepolti e inchieste, mai più. Arriverà la fine del mondo sulle ali spiegate di un’ombra.

Nella mia anima eterna, le stelle non moriranno.