L’amore tra le onde.

1

Per Maria l’amore aveva la voce del mare: il fresco, lieve, spumeggiante sciabordio delle onde, in una quiete sera d’estate. Su quella riva vicino casa, era nato il suo amore per Attilio. Una sera d’estate. S’erano conosciuti alla festa di Santa Filomena. Lei col suo vestito di raso e merletti, lui scamiciato e col ciuffo ribelle. Quant’erano diversi nel vestire, e forse, anche nel carattere. Quell’ involontario spintone in mezzo alla folla aveva fatto nascere in loro il fuoco dell’amore, quello che nasce a prima vista, come l’accendersi di una lampada in una stanza buia. Si presero subito per mano, come due vecchi innamorati. Le loro prime parole rimasero sepolte nel turbinio delle sensazioni che provarono. Poi, muti, tenendosi per mano, si fecero strada tra la gente, per meglio conoscersi, là dietro il campanile, a due passi dalla spiaggia, dove il rumore della festa arrivava ovattato, quasi spento, sopraffatto dallo spumeggiare delle onde.
“Attilio, e tu?” “Maria”. “ Sei del posto?” “Sì, e tu?” “ Vengo da Torino, ospite dei miei nonni che mi hanno voluto per la Festa”. Ripresero a camminare, senza accorgersene, dirigendosi più vicini alla riva, dove il rumore del mare si mescolava al profumo delle alghe, che in quella stagione il mare portava a riva. La luce della luna disegnava sulle onde, appena crespe, una pennellata d’argento, che giungeva fino ai piedi di Attilio e Maria. Per un po’ non si dissero nulla. I loro pensieri s’erano arrampicati in cielo, per catturare quella luna alla quale consegnare i propri sogni. Fu Maria, per prima, a rompere quel silenzio che sapeva di poesia, liberandosi dalla stretta della mano di Attilio. “ Torino?” gli chiese. “Hai intenzione di mettere radici lì? “ Non so” le rispose Attilio “ è troppo presto per decidere, dipende…..” Quel verbo lasciato in sospeso voleva dire tante cose. Speranza, incertezza, voglia di ritorno? Maria non osò chiederglielo, sperava che fosse Attilio a spiegarsi meglio. Attilio non colse negli occhi di Maria la sua domanda. Era attratto dalla sua bellezza, che il rumore di quel mare d’argento esaltava. Si presero per mano guardandosi negli occhi, entrambi desiderosi che qualcosa accadesse. Il bacio fu forte, prolungato, intenso. I loro corpi si saldarono e i loro palpiti s’intrecciarono fino a confondersi. Attilio e Maria, dopo quel bacio, non furono gli stessi. Qualcosa s’era riversato dall’uno all’altro. Nessuno dei due, in quel momento sapeva cosa fosse, ma era una sensazione piacevole, dolce, indefinibile. Poche le parole, molti gli sguardi in quella notte incantata, mentre il profumo delle alghe si mescolava ai loro desideri. Poi il rumore delle bombe che annunziavano la fine della festa destò i loro sogni. Era l’ora di tornare. Attilio afferrò la mano di Maria e si avviarono verso la piazza del paese, da dove la folla si disperdeva per le viuzze laterali. “Dove abiti?” gli chiese Attilio. “In fondo alla piazza, due passi dopo l’angolo” “Ti accompagno? Là vicino c’è la casa dei miei nonni, grigia, con la facciata in stile barocco. ” replicò Attilio. “ Forse è meglio di no. Sai, i miei genitori…..” Attilio capì. Maria gli afferrò entrambe le mani e guardandolo negli occhi gli chiese: “Quando farai ritorno a Torino?” “ Domani mattina “, le rispose Attilio” Allora non ci rivedremo?” replicò Maria. “ No!, il treno parte molto presto. Ho tempo di dormire poche ore” “ A Torino ti aspetta qualcuna?” fu la domanda, decisa, secca, quasi impertinente di Maria. Attilio quella domanda non se l’aspettava. Perché proprio ora che stavano per lasciarsi? Non poteva chiederglielo là, in riva al mare, e dare ad Attilio tutto il tempo per rispondere? “ Solo i miei genitori e i miei compagni di studio; spero che mi crederai” disse Attilio mentre spostava nervosamente la testa all’indietro per ricacciare quel ciuffo ribelle che gli cadeva sulla fronte. Un gesto naturale, quasi spontaneo, per Attilio, tutte le volte che qualcosa lo coglieva di sorpresa. Maria non seppe se ritenersi soddisfatta di quella risposta. In fondo nulla sapeva di Attilio, ma preferì credergli. In fondo era la risposta che sperava. Si salutarono. In quell’anno di lontananza che li divise, si scambiarono infuocate lettere d’amore. In esse, assieme a tante promesse trapelava qualcosa di triste: la lontananza e quel po’ di gelosia che invade chi è lontano e non sa. Era trascorso quasi un anno da quando s’erano conosciuti e la ricorrenza della festa di Santa Filomena bussava alle porte. Quell’anno per Maria la festa avrebbe avuto un significato diverso, più profondo. Compiva diciotto anni, il che voleva dire emancipazione. Aveva pensato di presentare il suo ragazzo ai genitori in occasione della festa, per ufficializzare il rapporto. Attilio le aveva scritto che per la festa sarebbe arrivato dai nonni, come ogni anno e contava i giorni, le ore. Così le aveva scritto nell’ultima lettera. Alla vigilia dell’arrivo di Attilio, Maria si fece più bella del solito. Anche un vestito nuovo s’era preparato per l’incontro. Non di raso e merletti, perché ad Attilio quel modo di vestire, marcatamente provinciale non piaceva. Glielo aveva scritto, con garbo, in una delle tante lettere che s’erano scambiate, accompagnandolo con mille parole amorose. A Maria la critica di Attilio sul vestito indossato la sera della festa, anziché infastidirla, le aveva procurato più sicurezza. Se con quel vestito gli ero piaciuta, pensava, indossarne uno che potrà incontrare i suoi gusti, aumenterà il mio charme. Perciò in città aveva acquistato un vestito alla moda e con quello presentarsi al suo Attilio. Mancava ancora un giorno all’arrivo di Attilio e due alla festa di Santa Filomena. In paese le luminarie erano accese da tempo, la strada principale e la piazza piene di luci. Già si vedevano le prime bancarelle piene di leccornie.

2

L’arrivo di Attilio era per l’antivigilia della festa, alle nove di mattina, dopo un pomeriggio e una notte di viaggio. Attilio, arriverà stanco morto,ma la mia presenza lo rinfrancherà, pensava Maria. Il vestito, quello alla moda, lo avrebbe indossato il giorno della festa. Si vestì come tutti i giorni e si avviò alla stazione per essere lì, ad aspettare il suo Attilio. Era un anno che pensava a questo momento e già avvertiva la dolce sensazione delle farfalle nello stomaco, vedendo il treno sbucare dall’ultima galleria prima che imboccasse il rettilineo che lo conduceva alla stazione. IL treno rallentò la corsa per poi fermarsi, dopo un leggero stridore di freni. Dai finestrini vide affacciarsi i volti dei viaggiatori. Qualcuno la salutò, come se l’avesse conosciuta da tempo. Cercò tra quei volti quello di Attilio, ma non lo vide. Si avvicinò alla portiera che rimase chiusa. Nessuno scese o salì. Sarà sceso dall’altra parte pensò Maria e attese che il treno riprendesse la corsa. Quando il treno in tutta la sua lunghezza le scivolò davanti, lento e silenzioso, Maria rimase immobile a cercare con lo sguardo Attilio dall’altra parte. Scorse solo il capo stazione col suo fischietto che gli penzolava dal taschino e la paletta in mano. Rimase lì ad aspettare stordita, incredula, come se quel treno non fosse ancora arrivato. Quando si riprese, un turbinio di pensieri l’assalirono. Dov’era il suo Attilio? Era quello il treno che doveva condurlo da Lei? Aveva, forse, sbagliato orario? O il suo Attilio, sarebbe arrivato il giorno della festa? Mentre s’interrogava, non s’era accorta che era giunta sotto casa. Salì le scale in fretta per leggere l’ultima lettera che le aveva spedito Attilio, voleva essere certa del giorno del suo arrivo. Sperava di sbagliarsi ; che Attilio sarebbe arrivato il giorno della festa,l’indomani. Prese l’ultima delle lettere che teneva nascoste nel suo cassetto, raccolte e allacciate con un nastro di velluto rosa. Non l’aprì subito. Le mani le tremavano come le ali d’una farfalla che sta per posarsi su di un fiore. Riprese fiato e attese che i pensieri le si raccogliessero lucidi e ordinati. Dispiegò i fogli vergati con sottile grafia in cerca del rigo che parlava del suo arrivo. Una vampata di calore le pervase il viso. Non s’era sbagliata. Il giorno era quello, l’orario indicato con chiarezza. Mille pensieri le affollarono la mente. Dubitò di Attilio e di se stessa. E se non mi avesse mai amato? Se le sue lettere fossero parole senza senso? Se avesse conosciuta qualcun’altra e si fosse innamorato? Riprese la lettera tra le mani. Lesse la data: spedita appena cinque giorni prima di partire. La rilesse tutt’intera in cerca di una frase che potesse svelarle qualche particolare non compreso. Trovò solo parole piene di amore, l’ansia di ritrovarsi con lei su quella stessa spiaggia, dove era nato il loro amore. Il treno! Il treno!. Come sono sciocca a pensar male del mio Attilio. Arriverà domani, alla stesa ora. Capita di perdere il treno. Rinfrancata, ma delusa e pensierosa, quella notte Maria non dormì. Già all’alba uscì in terrazza a scrutare il mare che si scorgeva in lontananza. Quell’azzurro sterminato che si fondeva col cielo la rasserenava. Quel mare era stato un anno prima muto testimone del loro amore. I suoi pensieri vagavano cullati dalle onde e la fresca brezza che le sfiorava il viso aveva il tocco delle carezze del suo Attilio. Lo sentiva accanto come quella sera d’estate, quando i loro palpiti s’erano intrecciati fino a confondersi. Raccolse i suoi pensieri , rinverdì i suoi desideri e con la speranza nel cuore, all’ora stabilita si avviò alla stazione. Appena vide il treno sbucare dalla galleria per imboccare il rettilineo che lo conduceva alla stazione Maria chiuse gli occhi. Non aveva il coraggio di guardare quel treno, che il giorno prima le aveva procurato ansia e dolore; si sentiva come chi ha paura di conoscere una verità spiacevole o non ha la forza di reggere all’emozione . Sentì, come il giorno prima, lo stridore dei freni e il treno fermarsi. Serrò ancor di più gli occhi per non vedere. Era il coraggio che le mancava o cercava il desiderio della sorpresa, dolce, sperata, attesa? Sentì aprire la portiera e subito dopo il tocco secco del suo rinchiudersi. Qualcuno era sceso dal quel treno della speranza e ciò la confortava. Contò i passi, che, verso di lei, sicuri decisi si avvicinavano. Attese che qualcuno la chiamasse per nome o l’abbracciasse. Attimi interminabili, in cui anche i pensieri, imprigionati da un’ansia che li soffoca,sono come semi che non riescono a germogliare. Sentì che i passi si allontanavano senza che accadesse nulla e il treno riprendere la sua lenta corsa. Rimase immobile, confusa con gli occhi ancora chiusi e per un attimo trattenne anche il respiro per ascoltare. Sperava, disperatamente sperava. Quando finalmente aprì gli occhi, la stazione era vuota, il treno era già lontano. Aveva ripreso la sua corsa, si vedeva appena la sua coda inghiottita dall’ultima curva per poi scomparire, portandosi anche la sua speranza, le sue certezze, i suoi sogni. Appena ebbe la forza di riprendersi s’incamminò senza una meta. Come le sembravano estranee quelle viuzze che aveva percorso chissà quante volte in quel paese che non sentiva più suo, senza il suo Attilio. Si sentì vuota, senza sentimenti, né sensazioni, si ricordò della festa, quando, giunta nella piazza, la vide piena di gente e le bancarelle disposte in fila. L’attraversò svogliatamente finché, girato l’angolo, arrivò sotto casa. Salì le scale come un Cristo sotto il peso della croce e aperta la porta sprofondò sul suo letto a viso in giù e pianse.

3

Quando, finita la festa, i genitori tornarono a casa trovarono Maria riversa ancora sul letto. “Pensavamo che fossi fuori con i tuoi amici”, dissero i genitori, rivolti a Maria, che, stordita, non li ascoltò. La madre ripeté la frase, convinta che Maria non l’avesse sentita, stanca e stravolta come appariva. “Ti senti male?” Ripeté la madre. Maria, sollevando appena il capo dal cuscino, per liberarsi la bocca le rispose: “ Sono indisposta e ho una tremenda emicrania. Richiudi la porta, per favore, e lasciami al buio.” La madre pensando che il malore di Maria fosse causato dalla sua condizione femminile, accostò la porta senza insistere. Quella che stava per iniziare fu per Maria la notte più lunga della sua vita. Al diavolo le lettere, pensò. Quelle frasi piene d’amore erano un perfido inganno, la viltà di chi non trova il coraggio di confessare che era stato tutto un gioco. Il bacio? Un puerile impulso bestiale. Per lei, Maria, contava la realtà. La festa di Santa Filomena Maria l’aveva trascorsa in solitudine, abbandonata su quel suo letto di spine a piangere e soffrire. Nelle parole che i suoi pensieri confusamente formulavano mai aveva pronunziato il nome di Attilio. Questa riflessione per un po’ la rinfrancò. Per Maria voleva dire che il ricordo di quel ragazzo scamiciato e col ciuffo ribelle che aveva incontrato un anno prima iniziava a sbiadire. Poi, quando la lucidità incominciò lentamente, con fatica ad affiorare nella sua mente, si ricordò della riva, del rumore del mare, della luna che colorava d’argento le onde appena crespe che lambivano le loro ombre, del profumo delle alghe. Si alzò con gli occhi gonfi di pianto, uscì sulla terrazza e guardò lungamente il mare. Si rivide stretta al suo Attilio e sentì, come allora, i battiti del cuore confondersi con i suoi. Ora che era tornata lucida Maria doveva sapere la verità, amara che fosse, ma doveva conoscerla. Il conforto nasce dalla consapevolezza, la rassegnazione dalla verità, pensava. Non sapeva come accostarsi a quella verità che cercava. In mezzo a quel balenio di pensieri e di ide che andavano confusamente formandosi si ricordò delle ultime parole che si scambiarono prima di lasciarsi: ”Dove abiti?”. “In fondo alla piazza, due passi dopo l’angolo” “Ti accompagno? Là vicino c’è la casa dei miei nonni, grigia, con la facciata in barocco. ” Maria si vestì alla meglio e senza nemmeno truccarsi, prese dalla libreria il primo libro che le capitò tra le mani e con la morte nel cuore, pensierosa s’avviò. La casa dei nonni di Attilio era a pochi passi dalla sua. Quante volte Maria aveva visto quella casa con la facciata grigia, i capitelli e le mensole dei balconi in barocco, una delle poche abitazioni signorili del paese. Emozionata e tremante bussò. Le aprì un’anziana signora che immobile stava in cima alla scala. Indossava un vestito grigio e sulle spalle uno scialle di finissimo lino nero orlato di frange e fiori a ghirlande. Disse di accomodarsi in salotto, dopo avere aperta la porta e avere socchiusa un’anta per fare affluire un po’ di luce. L’aria che vi si respirava sapeva di tanfo, quell’odore che caratterizza le stanze di rappresentanza poco frequentate. L’atmosfera assai lugubre del salotto accresceva la sua tristezza. Si sedette. Dal vestiario signorile doveva essere la nonna di Attilio, pensò. Pur abitando nella stessa via non aveva mai visto quella vecchietta, segno che doveva condurre una vita molto riservata. Maria aveva pensato come giustificare quelle visita a casa della nonna di Attilio. Il libro che teneva in mano doveva fornirle la scusa. Era venuta per restituire un libro avuto in prestito da Attilio l’anno prima, le avrebbe detto, tacendo di conoscere ch’egli doveva già trovarsi in paese per la festa di Santa Filomena. Non ebbe il tempo di tramutare il suo pensiero in parole, allorché la vecchietta la strinse in un abbraccio familiarmente affettuoso. “So tutto di te e di Attilio. Me lo confidò, rientrando a casa la stessa sera che vi siete conosciuti.. Era perdutamente innamorato di te e non si stancava di ripeterlo nelle tante lettere che ci spediva”. Poi si sciolse in un pianto dirotto, balbettando parole incomprensibili. “ Quella fine così assurda, così violenta, mentre correva verso il treno che doveva condurlo da noi…… una frenata….un impatto…..la morte…..” Maria non reagì, non disse nulla, quel mancato arrivo doveva pur significare qualcosa, ma la morte, quella morte di Attilio era l’ultimo dei suoi pensieri. Rimase immobile a girare e rigirare il libro che teneva in mano con gli occhi fissi nel vuoto mentre la nonna di Attilio continuava a parlare. Maria non ascoltava più. Si chiedeva perché si trovasse seduta in quel salotto che odorava di tanfo, nella penombra che sapeva di lutto, di morte Si rivide alla stazione ad aspettare il treno e il suo Attilio scendere e abbracciarla. Il tempo per Maria s’era arrestato in quella piccola, sperduta stazione di provincia.
Si ritrovò seduta sul letto della sua cameretta e in mano ancora il libro. La sua mente aveva cancellato il suo incontro con la nonna di Attilio, ma non quell’odioso odore di tanfo che l’era rimasto intriso sul vestito. Uscì in terrazza per liberarsene, ma la magica visione del mare che si perdeva nell’orizzonte le ricordò Attilio, la riva, la luce della luna. Le onde color argento, il profumo delle alghe. Rientrò in camera, si liberò del vestito, indossò quello nuovo con cui voleva mostrarsi al suo Attilio, il giorno della festa e si avviò in riva al mare, là ove il rumore dello sciabordio delle onde la chiamava, guidata da un impulso che non poteva controllare. Sentiva di avere metabolizzato il dolore e con esso anche la speranza, ma avvertiva una sensazione irrefrenabile, come un desiderio di volere divorare se stessa. Nel breve tragitto che la divideva dalla riva, non riconobbe nessuno delle persone incontrate, che conosceva da tempo, ricacciò all’indietro il ricordo dei familiari che le giungeva sbiadito, opaco, evanescente, come eterea le appariva la figura della nonna di Attilio. Era divorata dalla fretta di far presto. Affrettò il passo. Quando, giunta sulla riva, vide il mare, non si sentì più sola. Si liberò dalle scarpe, fece pochi passi sulla fresca sabbia, che lo sciabordio delle onde le rubava sotto i piedi nudi. In quell’ assolata mattinata Il mare non aveva colore, era una lastra luminosa, accecante su cui il sole rifletteva i suoi raggi. Fece ancora pochi passi, finché l’acqua non le lambì le ginocchia. Poi ancora un’onda più energica le accarezzò il seno. Fu allora che sentì dentro di sé la voce di Attilio che la chiamava. Lo vide così come l’aveva conosciuto nel loro breve incontro la sera della festa: scamiciato e col suo ciuffo ribelle sulla fronte, sentì sulle labbra il sapore delle sue, vide la bocca di Attilio muoversi pronunziando parole soffocate, incomprensibili. Sentì, nell’acqua che dolcemente la comprimeva l’abbraccio tenero, appassionato di Attilio.Vide Il mare come una piatta, infinita lastra di luce. Per un attimo si sentì libera, leggera poi scomparve nella luminosità di quel mare per cercare tra le onde il suo amore.


Preghiera a Teresa

Squarcerei le nuvole
per cercare i tuoi occhi tra le stelle
e con essi vedere le cose
come tu le vedi
e ti ruberei il sorriso
per affrontare gli altri
e mi spoglierei dei miei pensieri
per indossare i tuoi
e vorrei vivere il tuo tempo senza fine
e una vita senza attesa
dove i pensieri non nascono e muoiono
come ogni giorno
né contare le ore e i minuti interminabili
né sentire trascorrere il tempo
attraverso il battito delle ciglia
e mi nasconderei nella tua anima
per non sentire il rumore del mio respiro
né vedere la mia ombra
che il sole mi rinfaccia
e mi basterebbe una goccia
della tua dolcezza per vivere
e sapere di potere aprire una porta
e di nascosto vederti
per essere un attimo felice
giusto un battito di ciglia
quanto basta alla mia anima
per non morire.


E se fosse un sogno?

Signore,
il giorno in cui t’incontrerò,
dimmi
che prima di venire
ho fatto un brutto sogno.
Dimmi
che le guerre
sono finzioni da Te pensate,
un gioco,
per tenere occupati
i tuoi figli più ribelli;
le morti violenti
recite di attori da Te scritturati;
che la fame nel mondo
è un’immaginaria gara
tra ricchi e poveri,
i cui ruoli alla fine s’invertiranno;
che i tanti barboni,
sotto i ponti,
sono manichini di pezza
ai quali hai trasfuso la Tua anima
e non soffriranno;
che la droga
è un dolce elisir,
un delirio di ragazzi saggi,
vogliosi solo di volare;
che i tanti bambini
che muoiono ogni giorno
sono angeli in girotondo,
tra cielo e terra,
immortali;
che i piccoli esseri
che non nascono
sono faville scoppiettanti
che salgono in cielo
per divenire stelle lucenti.
Signore,
non dirmi tutto questo
d’un sol fiato.
Lasciami con Te
un intero giorno,
l’ottavo della settimana
che sta per cominciare
Tanto mi basta
per assaporare in pace
un briciolo dell’eternità
che mi vuoi regalare.