Poesie
Vetro
Sono come un bicchiere infrangibile
cado mille volte, non mi rompo né mi crepo
non patisco e non mi scheggio
ma se un colpo deciso mi offende
mi fantumo in troppi pezzi
non li posso contare né raccogliere
né incollare o riassemblare.
Si nascondono in ogni angolo
in luoghi invisibili allo sguardo
a ricordarmi che sono stata intera
E’ una fine, un tramonto
una dipartita, un affronto.
Quel colpo deciso è la tua partenza
la tua assenza, il tuo non tornare.
Se non resti io sono da buttare
frammento per frammento
come un coccio rotto,
non mi si può riparare.
Non andare. Non lasciarmi
cadere dalle tue mani così sicure.
Riempiti con me di nuove primavere.
Giorni senza nome
Il mio tempo perduto è assurto
a oggetto di culto, a dio da idolatrare
ogni giorno mi inginocchio al suo cospetto
implorandolo di ritornare
non tutto, una parte
un pezzo, frammenti casuali
estratti dai giorni senza nome
da cui voglio guarire
giorni senza colore, impeto, slancio
senza persone nè sentimenti
che all’amore rispondono solo
con il linguaggio degli assenti.
Di questi traborda
la clessidra del mio tempo
il divenire è strozzato
a metà dello stumento.
Sono mendicante di ore non vissute
la mani bucate dalle età passate
ginocchia sbucciate per l’accorato pregare
…e anche domani se ne sta per andare.
Fine
Hai rubato la mia luna
e l’hai gettata nel pozzo
ora il mio nome e il tuo
si uniscono in un amplesso
refrattario al piacere
le lettere tonde si allineano
uniformandosi
alla riga piatta del tempo
che getta luce e ombra
sull’istinto senza suono
della riproduzione.
Un falco alato
ha divorato la nostra passione
come spugna che assorbe l’eco
delle occasioni perdute
e lascia nel nostro piatto
l’inedia, l’indifferenza
in un pasto che ha asservito
il desiderio ad abitudine.
Mi affanno ancora a cercare
il riflesso di un amore sbiadito,
senza tenore mentre resto
senza luna, inutile, incolore.
Solo acceca il rosso
del rifiuto e il suo abbagliare.
Pittore
La mansarda e i tuoi quadri
la femminilità trabocca
la mia saliva si asciuga.
Mi disorienta il tuo sguardo
trapassa la mia armatura
fruga nel mio abisso,
troppo in fondo.
Non ho storia per amare
e nascondo il buco che ho nel cuore.
Poi nel profondo
arrivan le tue parole
come mani rimuovono paletti
smantellano equilibri.
E scivolo nel tuo abbraccio
senza inciampare.
Sola
Risacca del coraggio
sulla spiaggia della paura.
Sono ostaggio
della mia malattia senza cura
Frangiflutti di certezza
contro ondate dell’osare
alla solitudine sono avvezza
e al mistico contemplare
Sono sola,
sul foglio bianco
l’unica parola.
Sola.
Sirena
Sono una sirena
che dismette la coda
depongo le pinne e
le mie armi potenti,
i canti e gli inganni.
Mi sento impreparata
al respiro coi polmoni,
aria piena, vita e tuoni
impulsi e difetti
in mare tutti son perfetti
Non so usare la mia voce
se non per ammaliare
ma cos’è questo parlare,
scegliere, desiderare?
Il maschio è un mondo alieno
un extraterreste, lo straniero
non ne conosco il corpo,
il respiro, il suo terreno.
Non so camminare
ho gambe da rieducare
ferme tese irreali
mani solo per nuotare
e non per prendere e donare.
Curami Chirone
come hai fatto con Achille
portami alla terra e
rendi il mio isolamento
possibilità di relazione.
La mia essenza
Questa
è la mia realtà
Una stanza
dai muri vuoti,
invalicabile
la loro essenza.
Un grigiore mi sovrasta
il confine si restringe,
mi opprime.
Non esiste
via d’uscita.
Sono io.
L’unica
Io
Sono in tutto controcorrente:
nelle mie forme, nelle mie scelte,
nel mio sembrare bambina nonostante,
nel mio procedere con un tempo a se stante.
Sono. Non accado.
Non vivo di eventi o contingenze
né procedo per tappe prescritte
che vogliono annullare la lentezza,
l’aspettare: il mio particolare.
Senza età. Eternità.
Navigo su mari forza otto
il mio cuore non ha dimora fissa
cerca, fa la guerra con se stesso
si strugge, si consuma fino all’osso.
Tormento. Esitazione.
Vivo in un mondo parallelo
protetto da una lastra di gelo
sogno e fantasia ne sono la materia
che mi rendono slegata e troppo eterea.
Mistero. Fatalità.
Della mia anima son contadina
aspetto che i semi che ho piantato
nel mio sottosuolo da tempo infinito
diano il frutto così agognato:
la vita piena, un sé realizzato.
Simona
Ho consumato
le idee per volare
restano tappeti aperti
al limite dello sguardo
orizzonte verticale
scivolano i miei pensieri
come acqua nello scolo
e galleggiano nodosi
gli scheletri riemersi
dal mio fondo
Finchè ho confuso l’amore
con la mela del peccato
vivere era un continuo morire
oggi è
seppellire i supersisti
riesumare i caduti
dei combattimenti
tra la testa e il cuore
La vittoria
ha il mio nome.
Ribellione
Da bambina
son stata apparecchiata
educata composta trattenuta
perfettina modesta inibita
adatta alle regole e le convenzioni
ma non sono più tavola piatta
che regge l’impalcatura
sono mossa ondulata
curva spigolosa
la mia superficie
è cangiante e variabile
per terremoti ed eruzioni
lascio scivolare e cadere
e spaccare gli oggetti
adagiati con meticolosa cura
per aderire a tutte le aspettative
la tovaglia si macchia di ribellione
si buca di istinto animale
e scopre la grotta
incolta selvaggia buia
del femmineo primitivo
dove commossa mi incontro
scaltra spudorata scarmigliata
sfacciata libera appassionata
Mi rifugio
e lascio fuori il controllo,
al suo destino.