Miele

 

Eravamo felici, o meglio credevamo di esserlo. In effetti la felicità è una parola spesso utilizzata in maniera inappropriata, perché una persona dovrebbe sentirsi così solo alla fine della strada, quando l’orizzonte che vedi a vent’anni non è poi così distante. Quello che sentivamo noi era una contentezza vera e propria, uno stato d’animo leggero e sereno. Stavamo veramente bene insieme, ci tenevamo spesso per mano ed il mondo era nostro. Usavamo camminare con le mani incrociate o con la sua nel mio giaccone, quando faceva freddo. Eravamo come due anelli, legati insieme e nulla poteva dividerci. Molte persone, ancora si chiedono come siamo sopravvissuti così tanto insieme. I nostri caratteri erano, a tratti molto diversi. Lei piena di vita, sempre sorridente e spesso anche un po’ infantile. Aveva i capelli corti, castani e luminosi. Non era molto alta, ma aveva un gran bel sedere e un seno ricolmo di gratitudine verso il signore. Era una persona molto alla mano, e lo era con tutti. Chiunque poteva farsi una chiacchierata con lei, poteva persino sentirsi importante in quell’istante. Lei aveva questa qualità, ti assorbiva completamente. In quel momento ti dava l’impressione che esistevi solo tu, ti ascoltava veramente. Eri in totale empatia con lei, il mondo sembrava cancellarsi, non sentivi il peso del giudizio, non pensavi a cosa poteva rivelarti quella semplice chiacchierata. Un attimo ti scordavi di te stesso, dei tuoi problemi, della tua vita di merda. Non era quel tipo di ragazza che quando entra in un locale ti giri a guardarla, ma se ti fermavi a parlare con lei, eri suo. I suoi occhi erano sempre allegri e ti faceva ridere. Questo è di per sé già un paradosso. Dove si è mai vista una ragazza che fa morire dalla risate un uomo presentatosi da lei con quel intento? Rimanevi stregato. Ti trasmetteva quella voglia di vivere, quella voglia di rimanere giovane in eterno. Dal canto mio, io ero un po’ più serioso rispetto a lei, ma comunque quando potevo facevo il coglione e lei si divertiva come una pazza. Ricordo una volta, stavamo facendo, stramente, un discorso di quelli pesanti. Uno di quei pipponi su quanto siano vuote e insensibili le persone. Mi volto, e vedo lei con la lingua di fuori che fa una faccia schifata e stupida. Scoppiammo a ridere.

“ma come? Io parlo di quanto siano ritardate le persone e te fai sta faccia?”

Rideva.

“scusa, avevo un capello in bocca.”

“quanto sei bella.”

Le nostre giornate, erano tutte meravigliose. Io non ne ricordo una ombrosa, magari con qualche discussione. C’era sempre il sole, e se non c’era lo portavamo noi due. Il suo animo era puro e pulito. Molte volte giocava con le persone, scherzando, con le varie prese in giro della circostanza, ma se disgraziatamente il suo interlocutore superava  il limite si offendeva a morte, e cercava in me protezione. La prima volta che uscimmo rimasi colpito dalla sua spontaneità. Eravamo due anime in cerca d’amore, io avevo bisogno di trasporto, di giocare e di tornare bambino. Le ci riuscì senza parole. Semplicemente, mentre stavamo mangiando. Dopo le solite domande da primo appuntamento, “che dici, che racconti e blabla”, prese un pezzo di salsiccia dalla sua pizza e me la tirò addosso. Rimasi colpito, quasi di sasso. Come facevi ad incazzarti? Era come assistere ad un attore che nel bel mezzo di uno spettacolo si scorda la parte. Senza parole. Tu rimani esterrefatto, quasi in difficoltà per lui. Va detto che in entrambi i casi è un qualcosa che non ti aspetti veramente, ti emozioni. Non rimani lì, annoiato aspettando che Continui la recita del suo copione, che dica le sue battute. È un qualcosa che non ti saresti mai aspettato, ti segna, te lo ricordi. Ha rotto il ghiaccio con un gesto, uno solo, spontaneo e naturale, con quella risata coinvolgente e ricca di pezzi di cuore. Quanto ci invidiavano le persone, non capivano come potevamo stare così bene insieme. Io ci ho messo un po’ di tempo ad innamorarmi di lei. Ma lo ricordo come se fosse appena accaduto. A quel tempo non ero pieno di sentimenti, non dimostravo grande affetto. Quando mi chiese di partire con lei non la presi neanche in considerazione l’idea. Anche perché avevo già prenotato le vacanze con i miei amici. Le dicevo di si, poi vediamo, ma in realtà sapevo che non avrei mai accettato. Non fu così. Partii con lei e non pensai a quanto le cose si potevano complicare, a quanto potevo affezionarmi. Neanche il problema economico mi sfiorò la psiche , zero. Era la prima volta che partivo senza farmi sorgere dei punti interrogativi. Era la prima volta  dormivo con un’altra persona a fianco. Era la prima volta che rimanevo fino all’alba sveglio a dire cazzate. La prima sera prendemmo una sonora sbronza, lei tra una risata e un’altra sbatté una o due volte la testa sul tavolo del bar. Non so se lo facesse a posta, sta di fatto che la presi in braccio e la portai nel nostro appartamento. Tra una corsa e l’altra al bagno per vomitare. Facemmo sesso, tra la confusione e i giramenti di testa. Tra il dubbio di dover correre, di nuovo, al bagno per fare due chiacchiere con il cesso e quella caduta di dignità chiamata vomito. Non ce lo godemmo fino in fondo, e ci addormentammo abbracciati,  nudi e bellissimi. Furono quattro giorni, solo quattro e a me sembrarono quattro fottuti mesi. Di lei ho assaporato tutto fino in fondo. Come l’ultimo tiro dell’ultima sigaretta. Le sue facce comiche e i suoi scherzi con la Nutella, dalle sue crisi personali con pianti, fughe e abbracci, ai suoi comportamenti infantili che mi facevano incazzare come un animale. Fu in quel caso, che mi accorsi di essermene innamorato. Quando mi resi conto che mi stavo arrabbiando con lei veramente. Fino ad allora non la presi mai in considerazione. Non le davo peso, perché non mi importava più di tanto. Li ci litigai, urlai , e poi tanto l’imbarazzo per la prima volta che alzavo la voce che  scoppiai a ridere. Mentre eravamo sulla spiaggia, di notte, abbracciati e ubriachi, facemmo pace e stretto a lei volevo dirle “ti amo”. Lo sentivo dentro, però mi rendevo conto che non ero molto razionale in quel momento. Ma quanto lo sentivo nella pancia..l’indomani dovevo partire e raggiungere i miei amici per poi fare le vacanze con loro. Le diedi un bacio sulla guancia, mentre dormiva. Stupidamente, pensai che si sarebbe svegliata e mi avrebbe salutato calorosamente. Invece mi saluto, si rigirò con aria seccata, continuando  a dormire beatamente. Solo più tardi imparai ad apprezzare i suoi modi di fare e rispettarli. Pensai a lei, tutta la vacanza, tutti i giorni e tutte le notti. Sentivo le canzoni che ascoltavamo quando eravamo a letto insieme. Sentivo quel calore nel petto, quello che lo senti poche volte nella vita. Spesso corrisponde all’amore.  Quando, finalmente riuscimmo a finire le rispettive vacanze ci riabbracciamo forte e andammo a cena fuori. Ci vedevamo tutti i giorni, ma non sapeva di routine il nostro camminare su e giù per il paese. Ogni giorno, era una sorpresa con lei. Era un mix di coccole e stronzate. E’ difficile descriverla, perché è stata veramente intensa. Quando mi disse “ti devo parlare”, ho avuto paura.  Non me lo aspettavo, non volevo ritornare ad essere quella persona triste che ero. Non mi feci vedere spaventato, le risposi con un secco “ va bene”. La sera la incontrai, ed era raggiante. Aveva una felpa semplice con del leggero e impercettibile velo  di trucco sul viso.

“ciao, di cosa volevi parlarmi?”

Non sono uno di tanti giri di parole, vado sempre dritto al punto.

“che sei preoccupato? Che hai fatto?”

“ti devo parlare, non promette mai niente di buono. Non è mai uscito niente di positivo dal parlare.”

“maaa, quanto sei stupido”

Ero leggermente più tranquillo, il solito sorriso mi segnò la faccia.

“allora?”

“niente, ieri ho aperto la scatola dei ricordi. Dei miei ex, di tutte le mie storie precedenti.”

“mi ci vuoi mettere pure a me?”

Non rispose.

“dai, dimmi. Tranquilla piccolì.”

“no, è questo il punto. Mi sono accorta che non c’è confronto. Io ti amo.”

Brividi. Mi rilassai al punto che mi stavo per pisciare sotto. Come quando hai paura che ti chiamano all’interrogazione e ti salvi all’ultimo.

Passata quella sensazione, capii cosa era successo, e dopo un tempo infinito in cui sono rimasto in silenzio, a cercare le parole più adatte possibili, le dissi “ti amo”.

Continuando, molto velocemente quasi mangiandomi le parole, “non ti dico anche io!, è troppo senza palle, lo dicono quelli che aspettano che lo dica prima l’altro.”

Innamorati, folli e sempre allegri. Lei è stata l’unica ragazza al mondo a regalarmi una rosa. Che vergogna. Però ero felicissimo, non mi mancava proprio niente. Andavamo a ballare, andavamo nei prati, nei parcheggi abbandonati a chiacchierare e fumare. Facevamo l’amore e lei ti intrappolava con quegli occhi magici. Di vere e proprie crisi, non le abbiamo mai vissute. Una verità, però resta assoluta. Per far funzionare una coppia, devi stare bene con te stesso.  Se stai in pace individualmente, allora quel frenetico motore va avanti. Noi avevamo le nostre ombre. I nostri fantasmi. Ogni tanto lei cedeva e piangeva. I ricordi, taglienti come lame la facevano ancora sanguinare. Io avevo le mie crisi, i miei problemi che ancora mi porto dietro ma avevo il controllo su me stesso. Lei rideva, poi si allontava. Era vicino a te, ma non c’era. Non era presente.Non esisteva più. Con la testa era sulla luna, e solo quando la chiamavi e la pregavi di tornare da te, ci tornava. Mi preoccupava quel suo assentarsi. Quel suo vagare con la mente.  Avevo paura di lasciarla sola. Non mi ha mai parlato del suo passato, non mi ha voluto mai raccontare cosa nascondesse quel masso che portava sul spalle. So che c’entrava il padre. Era indelicato, chiederle più informazioni. Non me ne curavo. L’unica cosa che mi interessava ricordarle era che con me, doveva stare bene, non dovevo farle da psicologo. Io ero il suo ragazzo e quello dovevo fare: proteggerla, amarla e farla ridere. Mi chiamava nel cuore della notte e la ascoltavo fino all’infinito. Il più delle volte, prendevo la macchina e andavo a trovarla. Scavalcavo, e mi arrampicavo sul balcone. Entravo nella sua camera, e restavo raggomitolato nel suo letto fino alla mattina seguente quando me ne tornavo a casa. Un giorno parlammo di quanto possa essere egoista il suicidio, un gesto che distrugge tutte le persone intorno a te. Come una bomba atomica, terra bruciata, destini segnati e i lasci di quel l’esplosione ti rimangono evidenti sulla pelle. Metti un fine alla tua vita di merda  e non fai più vivere neanche chi ti è vicino,  chi ti vuole bene. Li perseguiterà per il resto della loro esistenza, martorizzando quelle povere persone su cosa e come potevano aiutarti o comunque salvarti. Un gesto vile. Quando io sfiorai la depressione, in futuro, appresi meglio il significato di quel gesto. Non vedere vie di fuga, non vedere lati positivi o un futuro migliore. Vedi solo il nero, il brutto, il male sporco e deforme. Ogni cosa può solo deteriorare e marcire. Pensieri come il vederti più  brutto, privo di bellezza,  le persone che ti odiano e che ti tradiranno sempre maggiormente. Fine delle amicizie, l’inutilità del lavorare, della vita. Sei solo, nessuno ti vuole bene. Allora,  non mi sfiorava neanche il pensiero di una cosa simile. Non potevo neanche immaginarlo che rabbrividivo. I conti con quella sensazione dai colori macabri li feci un giorno di primavera. Ero nel bel mezzo di una partita di calcio, quando vedo mi madre, bianca e senza espressioni in faccia venirmi in contro. “È successa una disgrazia”.

Non parlava. Mi ha abbracciato, piangeva copiosamente, si disperava. Era fuori di sé.

“Che è successo?”

Non parlava. Scuoteva la testa.

“Si è buttata di sotto, sta in coma.”

“Ma chi? Che cazzo dici?.” Un presentimento, mi marco la schiena con dei brividi gelidi.

“Maria, si è buttata di sotto.”

Mi voltai di scatto, e corsi. Ero vestito ancora in completo da calcio e correvo. Piangevo ed ero imbambolato. Non realizzavo cosa stava accadendo, ci ero dentro. Tutte quelle storie a cui non sai dare una spiegazione, ora la stavo vivendo io. Sembrava tutto un brutto sogno. Il peggiori degli incubi da cui speri di svegliarti il prima possibile. Arrivai all’ospedale e non la fecero vedere. Restai fuori, che puzzavo di sudore e sentivo freddo. Non avevo più lacrime, non avevo più un dio, non ero più in me. Ci tornavo ogni volta che potevo, ogni volta che avevo tempo e trovavo qualche scusa per andarci. Restavo stretto a lei come meglio potevo. Le cantavo le canzoni, le sussurravo parole famigliari. Avevo un enciclopedia mentale su cosa fare in quei casi, imparati da tutti i film romantici che avevo visto. Restava viva in me la speranza,  i buoni vincono sempre mi dicevo. Dovevo imparare fin da subito che la vita, però, non è un film. Qui, se le cose possono andare male, vanno peggio. Qui, non esistono le chitarre e i risvegli emozionanti. Qui permane la delusione è la disfatta. Nel cuore della notte, mi arrivò la telefonata che per certi versi mi aspettavo.

“Non ce l’ha fatta, se ne è andata.”

Spensi il telefono, e mi buttai a terra. Per un attimo rimasi ad ascoltare il silenzio, a guardare il cielo nella mia stanza. Volevo cercare un contatto con Dio. Quasi, lo pregavo a farmi venire un infarto. “Portami con te no?” Le lacrime cominciarono a scendere.

“Che ci sto a fare qui?, prenditi pure sto pezzo di merda no? Infame, sto qui. Come vivo adesso io?”.

Rimasi la notte intera tra le lacrime e le sue foto. Stringevo i peluche che mi aveva regalato, rivivevo la nostra storia con dei flashback vividi e drammatici. Il tutto era portato all’estremo con qualche canzone triste, che mi aiutava a distruggere la mia anima. Il giorno del funerale, ero completamente assente. Sedevo accanto alla sua famiglia ed ero come invisibile. Avevo la barba lunga e i capelli non pettinati. L’abito scuro e gli occhiali a coprirmi gli occhi pieni di lacrime e risentimento. Avevo le pupille come dei vortici, ero drogato di tristezza. I miei giorni non erano neanche vuoti, erano privi di senso. Ogni giorno era la mia fine. L’estate non fu estate, rimasi serrato in casa il più delle volte. Ogni volta che ridevo, mi sentivo in colpa, richiudevo subito le pieghe naturali di quell’emozione, così priva di pietà nei confronti del mio amore perduto. Mi odiavo quando mi scappava un sorriso. Era una totale mancanza di rispetto. Quando venne l’autunno e i primi freddi, mi sentivo meglio. Potevo stare chiuso a casa con meno scuse, meno parole, meno spiegazioni. Restavo ore a guardare uno spoglio albero di fronte casa mia, pensavo a quanto sarebbe bello morire. Pensavo a quante persone vedi serene e belle per strada a recitare parti. Non immaginando minimamente quale siano i loro volti nella tranquillità di casa. Quali azioni stupide potevano compiere, quali gesti privi di senso, quali monologhi, quali pianti e seghe mentali si sparano ogni giorno, di fronte ad uno specchio, di fronte a qualche santo. Me ne volevo andare, non avevo abbastanza fegato per uccidermi. Non volevo far soffrire i miei cari, lo spirito da filantropo mi era rimasto anche in quell’amara circostanza. Volevo cambiare paese, dimenticarmi di tutto e di tutti. Fuggire via, magari farmi massacrare di botte, così se mi accadeva qualcosa risultava uno stupido incidente. Quella malinconia, si trasformò presto in rabbia, ero molto incline agli sbalzi d’umore. Odiavo tutti, odiavo anche Maria. Come aveva potuto tradirmi così? Come ha potuto fare una cosa del genere, sapendo a come mi avrebbe fatto vivere?.

Non mi fidavo più di nessuno. Non amavo più nessuno.

Con l’inverno, ricominciai a prestarmi per qualche attività, avevo iniziato di nuovo a studiare, ed a uscire. Avevo preso in considerazione l’idea di imparare a suonare il pianoforte. Quelle note libere e tristi mi tenevano al sicuro. Erano calde, mi accompagnavano in molte giornate. La prima lezione fu entusiasmante. Sembrava, lo suonassi da sempre. L’insegnante mi chiese se avessi già suonato in passato, le risposi di no e che l’unica persona che era in grado di suonarlo era la mia ex, morta. La mia insegnate era una donna sulla sessantina, alta e dai capelli corti biondi. Portava sempre una collana di perle, e quei maglioni a collo alto da chiesa. Era molto credente, quando senti la cosa che le dissi rimase, ovviamente senza parole e con la testa alzata verso il cielo, parlando di miracolo. Pura merda, a parer mio. Durante le mie due ore, veniva spesso una ragazza a fare pratica. Era obiettivamente una bellissima ragazza. Aveva un look molto semplice, non dava l’idea di essere quel tipo di donna casa e chiesa, soggetta,  che passa la vita sui libri, jeans strappati e maglioncino largo. Ogni tanto la sentivo parlare con l’insegnante, dava l’idea di essere simpatica e molto intelligente. Non si curava delle persone che aveva intorno, una volta le ho sentito dire che lei selezionava le persone da frequentare. Chi la voleva vedere doveva rispettare i suoi modi ed il suo carattere. Era molto sicura di se, ma non mancava di rispetto agli altri. Era molto educata e fine. Portava quasi sempre la coda di cavallo, e un bel sorriso confortevole. Di quelli che vedi poche volte, quelli che quando li vedi ti viene voglia di sorridere e di volerle bene. Aveva molte qualità, qualità che appresi meglio, quando Barbara l’insegnante tardi ad arrivare.

Entrò, come al solito di fretta e senza pensare cercò subito Barbara, chiamandola. Non rispose nessuno e si fermò su di me.

“Ciao eh”

“Ciao”

“Ah ma allora parli te?”

“Scusami, non sono molto sociale ultimante. È un problema mio, ci sto lavorando.”

“Ah, ho capito!”

Abbassa lo sguardo e dopo una breve pausa prosegue.

“Male, ti perdi tante cose. Ci sono persone fantastiche nel mondo. E parlo del mondo, mica di sto schifo di paese.”

“Eh lo so, lo so, che devi fa”

“Ho capito va, ci vediamo”

“Ciao.”

Prende la borsa, il giaccone e se esce dalla stanza.

Rimango solo con me stesso, finalmente. Quell’ansia del dover parlare per forza, svanita, persa nei miei silenzi.

Quando tornai a lezione, mi trovai ad inciampare nella stessa situazione precedente a parti invertite.

“Ciao”

“Ciao”

“Barbara non c’è?”

Lei fa capolino sotto un banco, e fa come se stesse cercando qualcosa. Si piega, sprofonda tra i banchi, in cerca di qualcosa di molto importante.

“Barbara sei qui?”

Faccio un piccolo sorriso.

“No, niente qui Barbara no c’è.”

Mi avvicino, capisco che è leggermente sarcastica per via del mio comportamento scontroso della scorsa volta.

“Guarda, scusami per l’altro ieri. Non sono così di solito, sono anche peggio.”

“Ah bene, meglio saperlo prima”

“No, veramente mi dispiace è che sto affrontando un periodo di merda e non riesco a parlare con le persone.”

“Non devi giustificarti, mi puoi anche dire che ti sto sul cazzo e facciamo prima.”

“No, ma figurati, ti pare. Veramente, vorrei spiegarti tante cose, ma ci vorrebbe una giornata.”

Naturalmente, lo dicevo tanto per dire. Non avevo intenzione di darle veramente delle spiegazioni o aprirmi a lei. Però mi sentivo in colpa. Lei cosa ne sapeva?

“Bene, domani ci vediamo per pranzo e parliamo.”

Rimasi senza parole, pensai a qualche scusa, non me ne venivano di credibili. Ero imbarazzato ed impacciato. Arrossii.

“Non voglio scuse, se le stai cercando.”

“Assolutamente, ci vediamo domani. Io me ne vado che tanto oggi non ho voglia di suonare. Ciao.”

“Ciao timidone”.

Un piccolo sorriso, una grande giravolta e me ne vado più velocemente possibile.

“Che coglione, sei il numero uno a di cazzate, manco una te n’è venuta? Pezzo di merda, e adesso che le racconti domani? Coglione, sei pure arrossito. Imbecille, testa di cazzo.”

Il mio dialogo interiore mi ha massacrato. La notte pensavo a tante storie da inventare, a qualche disagio famigliare, a qualche cosa che mi poteva turbare. Niente. Tutte cose superabili. Avevo pensato pure a dirle che avevo appena scoperto di essere gay, che la stavo vivendo male e soffrivo. Idea subito tramontata, dato che comunque prima o poi lo avrebbe scoperto che era una stronzata e anche abbastanza meschina.

Mi presentai a quel pranzo con uno po più di cura nell’aspetto. Mi ero persino pettinato e messo un po’ di profumo. La camicia e i jeans. Sembravo un altro, o meglio sembravo essere tornato quello di una volta. Lei sedeva già comodamente nel posto dove ci eravamo dati appuntamento. Aveva i capelli sciolti, una camicetta bianca, lunga e abbastanza trasparente. I leggins, con le Dr. Martens è il giaccone poggiato sulla sedia.

“Mha, farò bene, farò male.. chi lo sa”

Entro, la saluto e mi metto seduto.

La mia aria è come quella di uno che aspetta di essere psicoanalizzato.

“Oh tranquillo, mica ti voglio fare un interrogatorio. Voglio solo conoscerti meglio, che prendi da magiare?”

Mi mette a mio agio, neanche mi guarda. Sta fissa sul meno e lo sfoglia.

Sto più tranquilla, cerco qualcosa anche io.

“Non lo so, a me non piace niente. Forse un piatto di pasta.”

“Mm, dici? Un insalatina invece?”

“Non mangio quasi niente di verde.”

“Ahhh una boccuccia di rosa”

Mi viene da ridere, è molto carina e ci sa veramente fare con le persone.

Durante il pranzo parliamo di tutto, non entro nella mia grave ferita. Non ci giro neanche un po’ intorno. Non deve assolutamente avere spunti per capire.

Ad un certo punto lei interrompe quel dialogo semplice e privo di ansie con uno scioccante cinicismo.

“Io lo so cosa ti è successo, c’ero anche io al funerale. Che pensi che vivo sulla luna?”

“Scusa, non ne voglio parlare.”

“Senti, io capisco. Non ti farò parlare per forza, non mi sento così importante. Però se ti posso dare un consiglio parlane con qualcuno e sopratutto dai la possibilità alle persone di interagire con te. C’è del buono nel mondo, basta vederlo.”

“Ti ringrazio, senti stavo bene oggi. Veramente. Erano mesi, che non mi scordavo di ricordare. Grazie.”

Prendo la giacca, lascio i soldi e me ne vado.

Quando la rincontro, viene da me e mi abbraccia senza dire una parola.

“Cosa ho fatto?”

“Niente, scusami se sono stata così insensibile, ma sono mesi che provo a parlare con te e te non mi hai mai degnata di uno sguardo. Morivo dalla voglia di darti una scossa.”

“Tranquilla, ho capito che avevi buone intenzioni.”

“Quando vuoi ci rivediamo.”

“Stasera, ti va?”

“Stasera? Veramente? Sicuro? Sisi, benissimo, per me va stupendamente. Certo.”

Le regalo un altro piccolo sorriso, e la saluto con un “a stasera”.

Camminando, ripenso a quando possa essere stato troppo frettoloso, non volevo mica frequentare qualcuna, volevo solo sdebitarmi e fare la persona gentile con una ragazza che stavo trattando come una pezza da piedi. Il mio intendo era semplice, aprirmi un po’, fare due risate e dirle che era stata molto carina ad interessarsi a me. Io, però voglio stare da solo.

Quando ci incontrammo lei mi aspettava con due birre.

“Barretta sul cofano e musica da sottofondo?”

“Ottimo programma, sembra c’è posta pe te.”

Che bel clima, che bella serata. Una luna maledettamente in forma. Canzoni belle dense, Pink Floyd. I discorsi uscivano da soli, le raccontai tutto e lei non era mai banale. Non ti assecondava. Non ti dava ragione come avevano fatto tutto fino a quel giorno. Mi teneva testa e mi punzecchiava quando poteva. Dopo avermi stancato per bene, mi ha dato il colpo di grazia. Si appoggia a me, e rimane in silenzio con la testa sulla mia spalla. Mi giro a guardarla e lei alza la testa. Si avvicina e mi bacia. Un fulmine, un sussulto. Sono rimasto e l’ho sentito quel bacio. Mi butto all’indietro.

“Scusami, scusami. No non è il momento. Scusami.”

Me ne vado, la lascio lì. Sola, sul cofano della sua macchina.

Corro più veloce che posso, mi pulisco le labbra quasi a chiedere scusa per quello che ho fatto a me stesso.

Arrivo in una piazza deserta, mi prendo una birra e rimango lì, solo nel freddo. C’è un vecchio che mi guarda da lontano. Anche lui è solo.

“Che cazzo vuole questo, mo ci manca che mi attacca il pippotto pure lui.”

Lui, invece non mi si fila e guarda le stelle.

Mi incuriosisce, al punto che mi dimentico del mio accaduto.

Sono io che mi avvicino, forse in cerca di saggezza. O forse in cerca di una valvola di sfogo a cui raccontare tutti i miei cazzi, senza paura di essere giudicato. Lui non mi conosce.

“Belle le stelle non è vero?”

“Eh già, io spesso le guardo. In cerca di una risposta.”

“Giovanotto ma sei così giovane, dovresti pensare un po’ di meno, non trovi? Te dovresti stare con qualche bella munella a quest’ora!”

“Ci stavo, però sa non è il momento.”

“E perché mai? “

“Guardi non ne parlo spesso, anzi mai. Ma quasi un anno fa ho perso la mia ragazza. Si è suicidata. Lei con quel gesto è come se avesse tradito la mia fiducia. Io non mi fido più di nessuno, io non amerò più nessuna. Io ho amato solo lei.”

“Ragazzo, commetti un doppio errore sai?”

Lo ascolto.

“Non parlo di quella ragazza che stai frequentando ora. Parlo del tuo passato. Come puoi dire tali stupidaggini?”

“A cosa si riferisce scusi?”

“Al tuo non fidarti di nessuno e il dire di amare una sola persona.”

“Perché?”

“Perché è una forma di pregiudizio. Come puoi dire di amare una sola persona, quando al mondo ci sono migliaia di persone che potresti amare di più, se solo le incontrassi? Il fatto è che non le incontri. Dire non mi fido di nessuno è della stessa natura. È una squallida forma di pregiudizio.”

“Non mi sento pronto, allora.”

“Ecco, quanto ha già più senso. Ma vedi, io ho perso mia moglie e la guardo spesso in cielo. Lei è quella stella li, quella luminosa e sono sicuro che al suo fianco c’è quella della tua ragazza. Io ho perso mia moglie tempo fa, ma se avessi ancora tempo a disposizione frequenterei ancora un’altra donna. So che lei vorrebbe così, un giorno me l’ha detto sai.”

“Le ha detto che nel caso fosse morta doveva frequentare qualcuna, di nuovo?”

“Anche, ma quello che mi colpì di più è la frase che disse dopo.”

“Dica”

“Chi vuole il miele, deve avere il coraggio di affrontare le api.”

Afferrò il concetto, capisco di quanto a volte il soffrire ti paralizza. Capisco di come la vita può ancora offrire della dolcezza, malgrado quelle cazzo di api che sono nella mia testa. Torno nel parcheggio dove avevo lasciato quella povera ragazza.

Sapevo di non trovarci nessuno. Mi accendo una sigaretta. E mi siedo sul cofano della mia macchina. Due fari mi illuminano l’orizzonte. Mi volto ed è lei.

“Lo sapevo che tornavi.”

Muovo leggermente le labbra mostrandole un sorriso impacciato.

La bacio e sento il cuore che riparte.


Le chiavi per il paradiso

 

Il lunedì è una merda. Come potrebbe non esserlo? Inizia un’altra settimana di calci in culo e di pensieri. Molti lo prendono come un principio, come un punto di partenza per la sua nuova vita. Io, nel mio letto non avevo grandi motivi per alzarmi e andare al lavoro. Un tempo poggiavo i piedi a terra, con l’entusiasmo di chi voleva dimostrare a tutti, soprattutto a se stesso che era ancora qualcuno e che la mia fottuta vita poteva ancora esprimere il suo meglio. Di motivi per togliermi le coperte da sopra la faccia proprio non ne avevo.  Tuttavia, malgrado avevo il vomito al solo pensiero dell’inizio della settimana, dovevo uscire di casa e permettere al mondo di farsi uno spuntino con la mia dignità; mi alzo, bestemmio e sputo nel lavandino gli scarti della sera prima, tra cui frustrazione, ansia e un pezzo di cuore. La giornata lavorativa, a parte gli insulti e i vuoti lasciati dalla mancanza di affetto procede nella norma e mi affretto a sbrigare le ultime faccende e chiudere l’inesauribile rubinetto di confusione che trapela nel mio cervello con un bel fiocco rosa. Il pacchetto regalo, deve essere molto stretto altrimenti è inutile. Chi meglio del mio pucher poteva fare quel nodo?.

Lo chiamo, dista dieci minuti da dove lavoro. Parcheggio, entro nella sua casa. Un bel posto, piccolo e confortevole. Sul tavolo, ogni tipo di droga possibile e immaginabile. Nell’aria, un odore di arrosto, misto a quello del fumo. La casa,aveva una bella vista. Potevo vedere casa mia dal balcone, il sole ci salutava e le nuvole si prendevano gioco di me con tutte quelle forme allegre.

Il programma nella mia testa, era chiaro. Prendo il fumo, saluto, me ne vado a casa, studio e mi alleno. Molto semplice, quasi troppo. Il mostro nella mia testa, però è insaziabile. Qualsiasi tipo di motivazione non gli sta bene. Gioca con il principio dell’inutilità. Ogni strumento, ogni arma che provo ad usare contro di lui me la gira contro facendomi credere che qualsiasi cosa faccia sia una stronzata. Sia un qualcosa, che come tutto, non porta a niente,  se non ad un’altra delusione. la musica è di quella buona, di quella che ti sa riprendere e pensare in maniera positiva. C’è una piccola cassa che pompa sul comodino. Una di quelle portatili bluetooth, trema quasi da quanto il volume è altro. I Daft Punk danno il meglio di loro.

Gira una canna di benvenuto, apre una birra e me ne offre un bicchiere.

“che dici amico mio?”

“che ti dico, oggi è una vera merda. A lavoro è stato uno strazio, ho il cuore a frantumi perché non riesco a far funzionare le cose, a casa siamo tutti nervosi. Io, non so cosa fare del mio futuro.”

“bella stronzata la vita eh? Non ci pensare” – mi passa la canna – e continua “ tiè, fuma e non ci pensare”

“ahh ci voleva proprio.. sai io le donne non le capisco proprio. Potrebbero vivere felici, serene e viziate come pochi al mondo e si arrovellano il cervello in cerca di preoccupazioni e ansie. Ma come cazzo faranno?!”

“lasciale perde, io sto con una pazza che ha provato a darmi fuoco a casa più di una volta, ho dovuto chiamare le guardie per levarmela dalle palle.”

“pensa te..”

La ruota gira, il mondo gira e la mia testa è sempre più leggera e allegra. Il vortice ha preso il suo ritmo e la serata anche. Stappiamo altre tre birre e giriamo altre tre canne, nel giro di mezz’ora. Come le furie, come cavallette nel giorno del giudizio, saltiamo da una parte all’altra di quella piccola casa. Usciamo, andiamo dal cingalese e comprimo una cassa di birre. Il delirio ha inizio. Sul tavolo, conto più o meno una quindicina di birre vuote, nel posa cenere mozziconi di sigarette e canne spente e senza vita. Mi impegno a tenere sollevata la faccia da sopra il tavolo. La tengo distratta dal guardare continuamente il telefono, blocco il dito più volte per non chiamare delle ragazze abbastanza facili e placo il tutto con una bella bruschetta.

“ma chi è che ti fa star così male?”

“vallo a sapere. Non ha un volto e un nome. Probabilmente il mio nemico più grande sono solo io.”

“ah si? E chi cazzo stai guardando sul cellulare?”.

In effetti, ero capitato sulla pagina Facebook, di una ragazza che mi stava molto al cuore. Non stavo guardando quello che scriveva, quello che pensava e  quello che il dio padre poteva sapere. Stavo solo guardando le sue foto, quelle più vecchie. Ovviamente, oltre a guardare quelle belle tette mi sono soffermato sul suo viso. In particolare su una foto molto spontanea, una di quelle fatta apposta per un Book fotografico ma venuta fuori così, quasi per caso. Immagino qualcuno che fa una battuta e il suo sorriso che esce così, irrazionalmente bello e senza pretese. Leggero e incredulo.

“quant’è bella”

“ah lo vedi, chi è?”

“tua madre”, e scoppio a ridere.

Le chiacchiere alleggeriscono di molto la situazione, solo risate e allegria. Mi sale anche la voglia di un bel pezzo di fica sotto le mani. Comincio a contattare  chi è più disponibile. Non mi reggo in piedi, giungo alla conclusione che non è un’ottima idea. Soprattutto dopo, l’ennesima canna che mi ritrovo a inspirare insensatamente. Nel fumo, ormai nebbia in quel minuscolo appartamento suona il citofono.

“chi cazzo è? Aspettavi qualcuno?”

“questa è la pazza”.

Mi sento a disagio, provo a raccogliere gli occhiali da sole, cellulare, portafoglio e forse anche le mutande e cerco di darmela a gambe prima di trovarmi al centro di uno scontro. Non riesco ad alzarmi. Bene, aspetto che mi riprendo e me ne vado. Entra in casa.

Una bella donna, sulla trentina. È straniera. Ha i capelli corti, e gli occhi di un azzurro acceso. Quasi folle.  Mi guarda in maniera stupita e chiede “ chi è questo ragazzo? Non mi hai detto che eri in compagnia..”

“E’ un mio caro amico, aveva bisogno di svuotare un po’ il cervello dal nero dell’amore.”

“eh già, diciamo che però ho esagerato con lo svuotare i pensieri. La mia scimmia se ne è approfittata.”

La ragazza continua. “io ho altre tre birre nella borsa”

“e tirale fuori va..” esordisce il mio amico.

“fermati” continuo io.

“le tiro fuori solo se tu mi dai due baci” dopo la frase, guarda con occhi amorevoli il mio amico.

Guardando quelle scenette di amore e pazzia, mi viene la pelle d’oca. Ho bisogno di bere.

“chicco e dagli sti due bacetti, su su da bravo”

“ che fai tu mi remi contro?!” e ride con gli occhi lucidissimi, mentre balla e inforna altre mille bruschette.

La giostra ormai era attiva, il mio personale cappellaio matto era il maestro di una grande orchestra che rumoreggiava e festeggiava nel mio petto. Stappiamo le ultime tre birre e le accompagniamo con altre due belle canne. Driblo l’ipotesi di passare ad altre droghe e capisco che è il momento di alzarsi e lasciare che il loro amore folle e pazzo possa esplodere in quel circo di matti.

“ragazzi, io me ne vado che devo andare anche ad un compleanno..”

“ ma ce la fai?”

“sono una roccia, baby.”

Saluto tutti, prendo la mia roba e corro per le scale. Fuori è umido, la chiocciola della rampa di scale mi stordisce più di quanto pensavo avrebbe fatto. Mi fermo, respiro , due pizze in faccia e riprendo il mio cammino. Davanti alla macchina, penso che non sia una grande idea mettermi alla guida così. Non tanto per me, ma per qualche poveraccio per strada che potrebbe finire all’ospedale per colpa mia. La mia serata prosegue a piedi, camminando lungo il nastro nero della strada.  Neanche barcollo, sto proprio bene. Camminare mi riprende sempre, sono persino allegro. Pieno di energie e voglia di vivere. Visito i posti dove andavo da piccolo, senza motorino e senza vettura. Una forza della natura. Giravo a piedi come un figlio di puttana. La via è buia, c’è solo qualcuno che porta a spasso il cane. Dai cassonetti oltre la puzza, i gatti che sbucavano facendo capolino tra i sacchi. Entro in una strada privata, precisa e perfetta. Le villette a schiera dei dottori, tutte bianche e grandiose. I prati belli e ordinati. Le macchine, costose in garage. Le osservo, non provo invidia. Provo desiderio, un forte estremo desiderio di cambiare quella misera vita che avevo. Non me ne facevo  niente delle loro case e di tutte quelle perfezioni. Però sapevo che erano felici, erano sereni con le loro belle mogli e il loro bel lavoro. Tutti belli pettinati  e profumati li immaginavo salutare i figli e salire in macchina, contenti e sicuri. Accendo la sigaretta e resto ancora un po’ a osservare quelle belle strutture.

“ti sei perso? O aspetti qualcuno?”

“no, veramente, io..”

Provo a farfugliare qualcosa, provo ad accendere il cervello e dire qualcosa che possa farmi trasformare da tossico a genio. Mi giro e il cuore mi salta.

“ ma sei tu”

“ come stai Simò?”

“benone, facevo una passeggiata per schiarirmi le idee e sono finito qui.”

Quella ragazza era una delle più belle creature sulla faccia della terra. Mi aveva sempre dato l’idea di quella brava fanciulla, educata e precisa. Quella fata che poteva trasformarmi da verme in principe. Quelli come me non possono essere dei rospi.  Ci ero stato un tempo, ma non sono mai riuscito a comportarmi come dovevo. Non che facevo chissà quali cose, però si vedeva che mi impegnavo troppo.  C’era troppo imbarazzo, ero impacciato. Non sono mai riuscito a sciogliermi come volevo. Lei, dal suo canto mi faceva notare tutti i miei difetti. Era dispettosa e spietata a volte. Per strada la salutavano tutti, era solare come un raggio di sole. Quando lo voleva sapeva essere dolce e delicata. Ero sempre stato convinto, che io e lei eravamo destinati a divertirsi e stare bene insieme. Nulla di tutto quello pero era mai successo. Troppe ansie da parte mia. Troppi progetti per cambiamenti futuri, troppe idee di miglioramento, mi sentivo troppo inadatto a stare con una principessa del genere. Dal suo castello, quella notte era scesa per buttare la spazzatura. Vestiva con evidenti pantaloni di pigiama, una magliettina rosa da dove si potevano intravedere due bei capezzoli, una vestaglia e i capelli legati.

Avevo paura di puzzare di alcol, per questo non mi avvicinai più di tanto. In me, avevo sempre la stessa paura di non essere alla sua altezza. Ringraziando Dio, quelle mie condizioni precarie mi avevano abbassato il livello del “non me ne frega un cazzo” al punto giusto.

Parlo e gesticolo con disinvoltura e con la mia brava faccia da pervertito riesco a farmi offrire una tazza di thè. Inspiegabilmente, riesco a mandarla giù senza vomitare.  Dopo tutti i discorsi sulla vita, sul senso del nostro essere qui mi mostra il resto della casa. In camera sua, oltre agli orsacchiotti e gli unicorni, foto del suo ragazzo e centinaia di libri. Universitari e di vari generi. Non so bene il motivo, non riesco a spiegare come mi sono ritrovato su quel letto a guardarla ed ascoltarla parlare interrottamente. Parlava come una macchinetta, c’era un qualcosa di magnetico che mi teneva incollato a lei. Era ipnotica. La sua frenesia, il suo parlare veloce mi incantava. Non avevo aspettative, e come potevo averle. Non eravamo mai andati bene io e lei. Io ero un umile servo e lei la mia principessa. Ricca e educata. Fidanzata con il principe, Duca re d’Inghilterra.  Io ero completamente andato, un po’ perché ero ubriaco e fatto a merda. Un po’ perché ero stanco. La guardavo con la bocca aperta, quando si gira cambiavo lo sguardo da ritardato a foto modello. Al quarto sguardo, rimaniamo cinque secondi a guardarci senza dire una parola.

“ma veramente sta succedendo? Dopo tutti questi anni? Mi ci sto per baciare di nuovo? “

Mi avvicino, e la bacio. Il bastone delle vecchie ansie bussa sulla mia schiena e lo mando a fare in culo. Le tocco i capelli e le accarezzo il viso. È bello, è tutto molto romantico. Non ero più abituato a fare tutte quelle premure. La guardo rabbrividire dopo l’ennesimo bacio sul collo. Le abbasso i pantaloni e le tocco le parti intime delicatamente. Non penso a cosa potrebbe andare male, ne a quello che potrebbe succedere dopo. Mi godo quell’attimo magnifico. Tra le braccia di quella creatura meravigliosa. Desiderata per così tanto tempo.  Ha due anni in meno di me, ma ha l’esperienza di chi sa cosa vuol dire la passione. Mi riempie di baci e scende giù concludendo inaspettatamente tra i miei pantaloni. Un ricco pompino.

“ma seriamente? Sta andando tutto così magnificamente bene?!”

“bella prova Gesù Cri”

La alzo, la stendo sul letto e comincio a dare il meglio di me. Non penso persino a durare, lo so che sto andando bene. Le botte che da sul letto me lo confermano.  Una girandola, una spirale di colori come canterebbe J-AX. Scatenata e  passionale, la mia donna mi stava facendo rinascere.  Al termine di quella battaglia di cuori, riesco a convincerla a farmi fumare dalla finestra della sua camera. Il sesso cambia le persone. Guardando la luna, rifletto a come è tutto più semplici dopo aver fatto l’amore. I maschi non devono più reggere la maschera sul viso, il loro traguardo lo hanno ottenuto. Sono sereni e nudi. Privi di accortezze dovute e comportamenti rigidi. Le donne, libere da quella gabbia d’oro dove dono imprigionate si sentono selvagge e desiderate. Il più bel complimento per una donna resta un imponente erezione. Nessuna frase del tipo “quanto sei bella”, può sostituire due mani che ti afferrano per il culo e ti fanno sentire la ragazza più importante del pianeta. Le parole escono libere e senza intoppi. C’è affetto e gratitudine nell’aria. C’è la semplicità, non mi sento più il suo umile servo. Al massimo, ora sono il fratello malvagio e fallito del suo principe.  Non l’ho mai sentita così mia, come ora. La sua caratteristica più buffa è che dopo aver fatto sesso, si deve sgranchire i piedi , altrimenti le vengono i crampi. Restammo altre due ore, fermi a fissare il cielo nella sua stanza. Mai così tanto in sintonia, mai così tanto empatici, mai così tanto uniti. Ero persino felice. Mi sentivo pure intelligente, d’altronde dopo una leccata di fica di quasi mezz’ora mi potevo permettere di dire pure che la terra era piatta, a lei sarebbe stato bene comunque. Continuavo a dire cazzate, senza il timore di essere giudicato, senza l’ansia nel vedere per forza il suo sorriso. Era tutto così easy che quasi ci avevo fatto l’abitudine. Guardo l’orologio ed è quasi l’una di notte. “merda, il compleanno “

“ma come fai a scordarti un compleanno?”

“in maniera molto semplice e facile. Facile come scordarmi dove ho tirato le mutande, non trovi?”

Ride e arrossisce.

“quanto sei bella”

“dai non dire cazzate”

“il gioco del continuare i complimenti e te che dici che non è vero, non mi piace bambina. Me ne vado prima che ti tiro un cazzotto in faccia.”

“sei il solito cazzone”

“ti ringrazio, e pure il mio cazzo di medie misure”

“buonanotte tramonto”

La sua faccia è piena di punti interrogativi, capisco che vuole che gli spieghi  meglio la frase.

“perche mi vuoi così male ? sai quanto può essere imbarazzante per me dirti cosa vuol dire?”

“e dai” e mi spinge con la testa

“perché sei bella come il sole”.

La saluto, rossa e timida. Sembra tornata bambina per quanto piccola e innamorata della vita.  Chiudo il portone di quella bella villa. Mi incammino e vado verso la festa che mi attendeva da quasi tre ore.

Ripenso a come il sesso, possa aver cambiato due persone come noi. Due animi gelidi come i nostri. A volte è vero che una bella scopata ti da le chiavi per il paradiso.


Inconsapevole

 

[..] la guardai ancora ..Cristo che meraviglia !. Dalla finestra entra la luce della luna , si arrampica fino all’estremità delle sue cosce. Se ne sta sotto le lenzuola,ancora nuda . Rimango seduto, vorrei fumare . Non c’è cosa più bella che accendersi una sigaretta dopo una bella scopata. Ho paura che il fumo la svegli. In questi momenti non mi va molto di parlare . Voglio godermi il mio momento magico da solo . Voglio lasciare andare i miei pensieri . Ma stranamente non me ne sovvengono , Forse è questo il momento che aspettavo da tanto. Stavo talmente bene che non dovevo pensare a nulla. Non ne sentivo il bisogno . Tutto quello che cercavo era a cinque centimetri da me. A pensare che non era proprio nei miei piani lei. Anzi!. Porca troia, ogni volta che la incontravo anche per caso, mi veniva voglia di ucciderla . Era l’opposto di quello che avevo in testa . Sarà che con il tempo sono degenerato , mi sono bevuto pure il buon senso che mi era rimasto . “Non devo guardarla così tanto”. E mi giro. La paura mi assale ,già una volta in passato , ci sono cascato . Questo gioco dell’amore proprio non mi piAce . Se la guardo di nuovo sono cazzi. Vaffanculo. Sembra che lo faccia apposta a muoversi verso di me. Ha il sonno tranquillo ma continua a muoversi come una stronza . Adesso è attaccata a me. Sento il suo profumo e il suo respiro . Provo a scansarla, ma poggia nuovamente la testa vicino a me. “Buon dio, esclamo! ma che cazzo ho fatto di male?”. Sembra essere una calamita .  O forse sono io che sono ancora il coglione di una volta . Niente, ha vinto lei. Comincio ad accarezzare i suoi capelli con delicatezza. Il suo viso è bianco con le guance rosse. I capelli neri le scendevano sulle spalle. La schiena era stranamente più calda di quanto mi aspettassi, d’altronde era nuda e non faceva ancora così caldo. Era lo spettacolo più bello del mondo. Adesso la avrei voluta svegliare . Magari per darle ancora due botte ma principalmente per vedere ancora quei due occhioni pieni di gioia. Era da tempo che non vedevo una persona ridere con gli occhi come faceva lei. Quando ride sembra quasi che ti inviti a seguirla ed abbandonarti alla sua semplicità . Non ce la facevo così simpatica . Ultimamente non la vedevo molto leggera, aveva pensieri di ogni tipo. “Capirai, io ce l’ho da na vita, ma mica rompo così tanto il cazzo ” . Le donne se hanno qualcosa che non va fanno di tutto per fartelo capire . Ma non lo dicono mai esplicitamente. Chissà perché. Per un attimo penso a tutto cioè che la riguarda, a quando ci ho parlato la prima volta e quando ho provato gelosia nei suoi confronti . La sua voce di merda mi tuona in testa . Con le sue risate contagiose e le sue manie da protagonista . Fa tanto quella genuina quando invece ha continuamente la puzza sotto il naso . Mi piace quando distrugge totalmente una ragazza che si è messa qualcosa di “strano “. Francamente io odio la maggior parte delle persone sulla faccia delle terra e quindi avrei sempre qualcosa da dire . Ci troviamo molto quando dobbiamo criticare qualcuno . La cosa che mi fa morire di lei è il suo raggomitolarsi per lo schifo che vede o che sente .  Eh sì, era proprio bella . Mi concedo pensieri di questo tipo . Non li respingo, non fuggo dalle mie emozioni . Una cosa è sicura lei non lo saprà mai. Se gli do in mano le mie debolezze le userà  a suo vantaggio la bastarda . Madonna santa, la dipingo come un mostro . Ma infondo lo era. Lei era quello di cui avevo timore. Quello che mi spaventava più di qualsiasi altra cosa . È così fragile e piccola . Così delicata e indifesa . Eppure così piena d’odio e rancore . Non credevo fosse possibile che in un essere così piccolo potesse entrarci tutto questo odio. Me ne frego di tutte le paranoie . Me ne frego di quello che sarà o non sarà mai . Non mi importa se domani non mi va di cercarla o non lo fai lei. In questo momento sto così bene . Posso dedicarmi a lei senza che lei lo sappia. Posso aprirmi e mostrarmi debole mentre sogna . Domani sarà tutto come prima . La guarderò con sufficienza e farò il buffone . O magari no. Sti cazzi per adesso rimango con questa bomba a mano tra le braccia. Il timer è partito.