Un giorno come un altro
Di
Stefania Seminara

Erano le due del mattino quando Jack Collins parcheggiò l’auto sul viale davanti alla sua bella casa.
Entrò in punta di piedi, passando in corridoio sbirciò nelle camere dei figli, dormivano, entrato in camera da letto cercò di fare piano per non svegliare la moglie.
Ma una volta sotto le coperte, il profumo della pelle di lei gli invase i polmoni, chiuse gli occhi, rilassò le membra, fece per stringersi a lei, come per un istinto irrefrenabile, ma non poté, tra i loro due corpi si scatenò una tempesta: quella dei suoi sensi di colpa.
Se solo lei, la sua dolce Jean, avesse solo immaginato, se solo avesse potuto in qualche modo capire cosa stesse realmente accadendo…
Se lei avesse saputo… Jack ne aveva piena coscienza, se la moglie avesse appreso dei suoi gesti, lui avrebbe perso tutto:
i suoi bambini, nonché la donna che amava.
Sì, sì, perché lui l’amava, l’amava ancora, più di ogni altra cosa al mondo e non avrebbe mai potuto sopportare neanche la sola idea di perderla. Ma allora perché?
Può un uomo di quarantadue anni essersi sentito così, non so, solo, o forse confuso, o forse soltanto smarrito nel suo universo interiore, da essersi ritrovato una sera, per gioco, a tradire la donna che affermava d’amare? Una moglie di trentasei anni madre di due figli, compagna da dodici anni, una donna capace solo d’amare… Un incantevole angelo… Può aver rischiato questo per una notte con una delle sue studentesse, forse neanche maggiorenne?
Può quell’uomo esser tornato a casa aver baciato i suoi figli e aver finto che nulla fosse cambiato, essersi guardato allo specchio senza essersi odiato per aver tradito tutti i principi in cui diceva di credere come uomo, come marito, come padre ed infine come docente, ma più ancora come essere umano capace di ragione e sensibilità?
Può, dopo ciò che ha fatto, aver dormito accanto alla moglie, adempito ai suoi doveri coniugali, indossato i panni del maritino premuroso; avendo continuato a ripetersi, dopo esser stato con un’altra donna, che la cosa non si sarebbe dovuta ripetere, e che ogni volta sarebbe stata l’ultima volta?
Può essersi convinto che si sia trattato solo di uno squallido piccolo errore? Può aver giustificato se stesso, spergiurando al suo riflesso che avrebbe fatto di tutto per rimediare ai suoi errori?
Come può aver così trascorso due mesi a mentire a se stesso ed alla sua famiglia, mentre ogni sguardo di Jean continuava a dirgli che era tutto il suo mondo?
Dopo aver assaporato il gusto di un’ormai lontana vita da scapolo, infilatosi ogni volta la fede in tasca, soltanto per sentirsi meno in colpa tra le braccia di quelle ragazze, può quell’uomo esser tornato al suo talamo nuziale, essersi finto un maritino perfetto, aver sussurrato parole dolci alla moglie, averle lasciato credere di essere ancora una coppia innamorata e fedele?
Jack Collins sì, diceva a se stesso che doveva smettere, che doveva raccontarle ogni cosa e accettare le conseguenti scelte di lei, diceva d’amarla, di non volerle fare del male, ma ciò che voleva era nascondersi dietro mille scuse, pur di non ammettere che non era abbastanza forte per smettere ed abbastanza coraggioso per confessare i suoi errori alla moglie.
Ogni sera oramai da due mesi Jack si addormentava con questi e mille altri sensi di colpa; ai quali sempre più spesso aggiungeva una virile soddisfazione.
Ad ogni sua, come dire, furtiva avventura, la sua mente cominciava ad altalenare tra i sensi di colpa ed un appagamento fisico, dopo tutto se quelle giovani lo preferivano ai loro coetanei poteva solo voler dire che ci sapeva fare!
Certo la mattina seguente era tutta un’altra musica: era, infatti, cosciente del fatto che, nonostante fosse innegabilmente un uomo più che affascinante, attraente e perfino troppo allettante per le sue coetanee, il novanta percento di quelle ragazze, che tanto gli giravano intorno, non si sarebbe mai interessata a lui, né tanto meno si sarebbe lasciata portare a letto, se da lui non fosse dipeso una parte importante della loro carriera universitaria.
Anche quella nottata era passata senza che Jean si svegliasse e lo interrogasse sulla trascorsa serata, tirò un sospiro di sollievo, ed azzittita la sveglia, si alzò.
Sentì un gran silenzio gelargli il sangue, la moglie non era più a letto, i figli non erano nelle loro camere, era anzi evidente che nessuno di loro fosse più in casa. Scese in cucina, il caffè era pronto e fumante, sulla tavola il succo di frutta era già nel bicchiere e delle profumate frittelle nuotavano in un piatto ricoperte dallo sciroppo di mirtilli che lui adorava, il primo pensiero a sfiorarlo fu che la moglie, la sua adorata Jean, lo conosceva forse meglio di quanto si conoscesse lui stesso.
Sedutosi a far colazione notò un foglio al quale prima non aveva fatto caso, poche righe, riconobbe subito la calligrafia di lei:
“Amore, dormivi così bene che non ho potuto svegliarti, i bambini oggi hanno una gita scolastica, li porto al pullman e poi vado in città per delle commissioni!
A questa sera, cerca di non fare tardi!
Buona colazione e buon lavoro!
Con amore la tua Jean.”
Sorrise commosso dalla dolcezza della sua donna… Sua, poteva ancora definirla sua, ne aveva ancora il diritto?
Cancellò il pensiero, era troppo doloroso…
I suoi figli, due gemelli di dieci anni, Lilien e Steven, erano eccitati da giorni per quella gita, ma lui, preso com’era dai suoi problemi di coscienza, se ne era completamente dimenticato.
Jean aveva fatto in modo che tutto andasse come doveva, perfino la casa era perfetta, del resto come sempre.
Quando si erano sposati Jean era una docente di liceo alle prime armi, aveva lasciato l’insegnamento alla nascita dei gemelli, era stata una sua libera scelta, di cui non era mai sembrata pentita, neanche nei fortunatamente rari momenti di crisi finanziaria, era comunque riuscita a far filare tutto, ed era merito suo se da otto anni ormai abitavano in una splendida casa, lei era il perno centrale della famiglia, ed in fondo al cuore Jack sapeva che anche la sua brillante carriera era merito della moglie, era difatti grazie ai sacrifici di lei, al suo addossarsi ogni problema e responsabilità, che lui aveva potuto concentrarsi sui suoi studi e sulle sue ricerche, ed ottenere di presiedere ad una così importante cattedra di una delle più prestigiose università del mondo.
Da sempre per Jean la famiglia era stata la cosa più importante, da sempre, fin da quando non erano che loro due, vi si era dedicata anima e corpo e l’aveva amato in maniera così totale da essere al di sopra di ogni umana aspettativa.
Fece colazione, con calma si preparò, del resto la sua lezione cominciava alle dieci, avrebbe avuto tutto il tempo. Oziò in giro per casa fino alle nove ed un quarto, dopo di che uscì, stava chiudendo la porta quando sentì il telefono squillare all’interno della casa, si disse che non poteva essere nulla d’importante a quell’ora, sicuramente qualche scocciatore o forse la sua non adorabile suocera (si era sempre chiesto come Jean potesse essere la figlia di quella donna, erano fortunatamente così diverse, ma quella mattina non riuscì a porsi quella domanda di routine, altrimenti avrebbe dovuto ammonirsi ancora, un altro motivo per cui la povera dolce Jean non meritava ciò che lui le stava facendo alle spalle), così decise di lasciarlo squillare e salì in macchina.
Giunto in facoltà trovò sul tavolo un biglietto, non capendo corse al centralino. Gli dissero che avevano chiamato per lui dall’ospedale, la moglie aveva avuto un brutto incidente con l’auto.
Corse frastornato in ospedale, gli fu detto che la moglie era ancora in sala operatoria per un’emorragia interna, poteva solo aspettare e pregare, e così fece:
“Signore, ti supplico, sai che non sono bravo in queste cose, io non ti ho mai pregato né onorato, non ricordo neanche le preghiere imparate al catechismo da bambino, so di non essere degno di rivolgermi a te, ma sono disperato, se lei morisse… Oh Dio ti supplico salva lei e prendi me, i nostri figli hanno bisogno della loro mamma… So di meritare tutto questo dolore, ma lei no, non lei!”

Venne interrotto da uno dei medici :
« Il signor Collins? Venga con me dobbiamo parlare!»
«Dottore la prego mi dica che sta bene?»
«Mi dispiace, ma non posso, ma lei non deve perdere la speranza! Sua moglie è giovane e forte, se il Signore ci accompagna riusciremo a salvarla, ma purtroppo devo darle una cattiva notizia: non siamo riusciti a salvare il bambino. Mi dispiace!»
«Cosa? Steven era con lei… oh Dio non è possibile …(pianse disperatamente) dov’è? Dov’è mia figlia?»
«Si calmi, credo mi abbia frainteso, sua moglie era sola in macchina, non so dove siano i suoi figli, io parlavo del feto, sua moglie ha perso il bambino che aveva in grembo.»
Gli occhi di Jack cominciarono a ballare non riusciva a connettere, né a focalizzare, il medico capì:
«Mi dispiace, credevo lo sapesse…»
Jack corse via sconvolto, aveva bisogno di stare da solo, quell’incubo non poteva esser vero, sua moglie stava male…
I sensi di colpa gli stavano divorando l’anima, si sentiva dilaniare il cuore, era a pezzi, come aveva fatto a non rendersene conto?
Era diventato così estraneo alla quotidianità della famiglia da non capire che sua moglie fosse incinta?
O forse aveva mentito talmente tanto a se stesso da non riuscire più a guardare alle necessità dei suoi cari.
Ad ogni modo ormai era tardi, non si poteva tornare indietro, avevano perso un figlio e lui si sentiva colpevole per questo, ma doveva sperare, sì, poteva solo sperare che la moglie si riprendesse.
Era al capezzale di Jean ormai da due ore, quando qualcosa si spense in lei mettendo in allarme la macchina alla quale era collegata, accorsero medici ed infermieri, lo pregarono di uscire, rimase a guardarla da dietro i vetri, poi uno dei medici uscì e con aria avvilita sussurrò:
«Sua moglie è entrata in coma, le condizioni sono peggiorate, non nutriamo grandi speranze che spossa sopravvivere alla notte, mi dispiace.»
Il sangue gli si gelò nelle vene, il cuore sembrò stesse per scoppiargli nel petto, un pensiero insopportabile gli si insinuò nella mente: come avrebbe potuto spiegare ai figli cosa era accaduto, come avrebbe potuto prepararli al fatto che la loro adorata mamma non li avrebbe più accompagnati negli anni a venire che non avrebbe più potuto rimboccar loro le coperte?
Loro erano tutto per la donna, ma lei era per loro un punto di riferimento, la mano che li curava, il sorriso che li sosteneva…
No, non si poteva straziare il cuore di un bambino con una notizia simile. E poi, sarebbe stato in grado di occuparsi di loro da solo?
Insomma tutta la sua preoccupazione e la sua paura potevano essere riassunte nel suo egoismo, lo stesso che l’aveva spinto a travestirsi da maschio insoddisfatto della sua vita e gli aveva lasciato credere che se solo per una volta si fosse lasciato andare, concedendosi una scappatella nessuno ne avrebbe sofferto, anzi, nessuno l’avrebbe mai saputo… E poi…
E poi una giustificava la successiva, se era riuscito a farla franca una volta, perché negarsi quell’innocente ora di piacere che gli avrebbe ridato il buon umore e quell’inebriante ventata di giovinezza?
Ma ora, ora non poteva più nascondersi, il solo pensiero di perderla lo uccideva, facendogli maledire le sue distrazioni, aveva quarantadue anni, se ne sentiva addosso cento, non si sentiva più né attraente, né sexy; il voler fermare il tempo, l’idea di sentirsi ancora un ragazzo non era più così allettante, già, aveva dimenticato qual era stata la cosa che aveva reso belli quegli anni di giovinezza: aver trovato Jean sulla sua strada, e soprattutto aveva dimenticato quale fosse il suo più grande desiderio all’epoca: poter passare il resto della sua vita con la sua donna, crescere con lei, invecchiare con lei…
«Amore mio, come ho potuto? Come?»
Ma pentirsi non servì a tornare indietro e la vita proseguì lungo il suo corso, Jean non riuscì a superare la notte, la sua prematura dipartita lacerò il cuore di Jack spietatamente.
Si trascinò a lungo per casa, in quella casa che senza di lei era diventata fredda e buia, si sentiva impazzire, non riusciva a vedere altro che lei, adesso che lei non c’era più.
L’impatto con i figli fu straziante, nonostante la nonna paterna avesse cercato di prepararli.
Il giorno seguente, dopo un commovente funerale, dilaniato dal sentirsi ripetere quanto lei l’avesse amato e quale persona meravigliosa fosse stata, mentre i parenti uscivano svuotando la casa… In quel momento si rese conto che lui ed i figli non avrebbero più goduto dell’amore di Jean…
«Papà voglio la mamma, quando torna la mamma?»
La piccola Lilien non riusciva ancora a comprendere, ad accettare, ma neanche il padre…
Non avrebbe mai immaginato in vita sua che si potesse soffrire così, non sapeva capire se fosse più doloroso il suo lutto, o vedere i suoi figli soffrire a quel modo, in un’età in cui avrebbero dovuto preoccuparsi al massimo di un giocattolo rotto.
Tornato a lavoro, più per la necessità di non impazzire che per volontà, rivedere quei giovani volti non lo faceva più sentire al settimo cielo, ma all’inferno, costretto a rivivere quell’incubo e la pena per i suoi peccati… Una punizione… L’angoscia…
Uno di quei sogni che nella vita si spera sempre di non dover fare mai…
Poi la sentì, urlava il suo nome…
«Jack, Jack, apri gli occhi, svegliati, Jack, mi senti amore?»
Aprì gli occhi, la vide, lì, lei era lì, bella, bella come quando l’aveva conosciuta, dolce, premurosa, gli asciugava il sudore, le lacrime dal viso, lo baciò, gli rimboccò le coperte, come fosse uno dei figli, poggiò il viso sul petto di lui, gli prese la mano sinistra, la strinse nella sua, in quello stesso istante Jack si accorse di aver dimenticato la sua fede nella tasca dei pantaloni…
Si sentì un traditore, mentre cercava di calmare il suo cuore impazzito capendo che quello che era orrendo come un incubo in realtà era solo questo, un incubo.
Jean glielo confermò con la sua voce dolce «Dormi amore, era solo un brutto sogno!»
Guardò l’orologio, le sei del mattino, erano tre ore circa che si era addormentato, un brutto sogno, nulla di reale, cercò di rilassarsi, poi si riaddormentò, cullato dal battito regolare del cuore della donna.
Qualche ora dopo si svegliò, lei non c’era, guardò nelle camere dei figli, rendendosi conto che era come rivivere il suo incubo, un dejavu, ma Jack non credeva a queste cose, non credeva nelle premonizioni, né in niente del genere, così sceso in cucina fece colazione, anche se lesse il biglietto della moglie con un fremito al cuore… il pensiero di saper già che l’avrebbe trovato accanto al caffè lo fece rabbrividire…
Le stesse identiche parole…
Uscito il telefono squillò, ma lui non lo sentì, o forse aveva dentro di sé tanta paura di non riuscire a sfatare il suo sogno da preferire fingere di non aver sentito.
Mentre guidava accarezzava la fede che si era rimesso al dito, sperando in cuor suo che la moglie non ne avesse notato l’assenza.
Una volta in facoltà non si avvicinò nemmeno al suo ufficio, andò direttamente in aula e più tempo passava durante la sua distratta lezione, più si convinceva che non sarebbe accaduto nulla; questo almeno finché non sentì bussare.
«Professore, scusi per il disturbo, ma è urgente!», questa la premessa, mentre il sangue gli si gelava nelle vene, «Hanno chiamato per lei dall’ospedale, sua moglie ha avuto un incidente…»
Corse disperato in ospedale, non stava accadendo, non era reale, forse stava di nuovo sognando…
Un medico gli disse che sua moglie era stata coinvolta in un brutto incidente «Ha delle perdite, niente di grave, ma per il bene suo e del bambino sarebbe meglio tenerla sotto osservazione fino a domani, per precauzione…».
Jack tirò un sospiro di sollievo, crollò su una sedia in corridoio, la notizia della gravidanza di Jean non lo sorprese, ma ne fu felice, sarebbe stato un nuovo inizio per loro, pianse disperatamente, mentre ringraziava Dio… Jean stava bene, l’incubo sarebbe rimasto un incubo, nonostante le coincidenze.
Più tardi un poliziotto, che aveva interrogato la moglie, gli spiegò che un uomo aveva perso il controllo dell’auto scaraventandosi sull’auto di Jean, lei era riuscita a scendere dall’auto, aveva perfino cercato di aiutare l’uomo per il quale però era ormai tardi, «Signor Collins, si ritenga baciato dalla fortuna, per come è andata, è un vero miracolo che sua moglie ne sia uscita viva!»
Andò da lei, le avevano dato dei calmanti, per via dello shock, le prese le mani tra le sue, le baciò piangendo come un bambino, riuscì solo a dirle che l’amava, nient’altro.
Restò accanto a lei tutta la notte, rimuginando sulla sua vita, su come un attimo avrebbe potuto distruggere tutto e su come lui aveva rischiato di perdere ciò che di più caro aveva al mondo, per un motivo che nemmeno ricordava più, né riusciva a spiegarsi… era felice, soddisfatto di ciò che aveva, quindi perché?
L’unica risposta fu che cominciava a sentirsi vecchio, dunque era stato solo un capriccio, questo lo fece sentire stupido ed egoista…
Era stanco delle sue menzogne, ma nello stato di Jean, no non poteva rovinarle questo momento ferendola così, né poteva rischiare di procurarle ripercussioni sulla sua salute o sul bambino… Per il momento era meglio tacere…
Tornò alla sua vita, alla sua famiglia, cercando di sopperire alle sue mancanze indossando i panni del super marito e del super papà, ormai era come se il brutto sogno fossero state le sue scappatelle, si era svegliato e ne era felice.
Ma una sera, rientrato capì che era arrivato il momento, che da tempo rimandava. Lei era nella camera del piccolo Alex, aveva già un mese, seduta su una sedia a dondolo, lo cullava deliziata da quello spettacolo incredibile che era il suo bambino, lo sentì entrare, gli fece cenno di far piano, il bambino dormiva, lui si inginocchiò ai piedi della donna, che si dondolava sulla sedia, le accarezzò le ginocchia, i loro sguardi si incontrarono:
«Jean, io… vorrei…»
Lei gli accarezzò una guancia, sorridendo, poi guardò il bambino….
«Anch’io Jack, anch’io devo dirti una cosa…»
L’uomo tremò, poggiando il viso sulle gambe di lei, che prese ad accarezzargli le tempie…
«Sono felice che tu abbia deciso di tornare da me, da noi, ti amo più di ogni altra cosa al mondo, tu e i nostri figli siete la mia vita… Jack… Io non potrei mai vivere senza di te, ma ti scongiuro… Non farlo più, è un dolore che non potrei più sopportare.»
Lei dunque sapeva, aveva sempre saputo, ed aveva aspettato paziente che quel momento di follia avesse fine, ma per quanto ancora avrebbe potuto sopportare, se quel sogno non l’avesse riportato a casa?
Pianse disperatamente continuando a ripetere «Ti amo Jean, ti amo, ti prego amore perdonami… Ti amo Jean, ti amo, ti prego amore perdonami… Amo te ed i bambini più di qualunque altra cosa al modo, amore credimi non… Io non desiderò altro che voi nella mia vita io… Ti prego amore perdonami!»
La vita è un lungo cammino, sbagliare è umano, perdersi, smarrirsi nell’abisso delle paure, temere i mostri che vivono dentro di noi e che riemergono quando siamo più deboli spingendoci a scappare fuori da noi, ma a volte basta una piccola cosa a riportarci a casa…
Bisognerebbe riuscire a leggere tra le righe… Credere in quei piccoli segni che la vita c’invia… Anche se spesso sembrano solo sogni o sciocche coincidenze.


la scatola

Sentirsi come una scatola
a volte troppo piena
a volte troppo vuota
a volte troppo piccola
a volte troppo grande

sentirsi come una scatola
non sentirsi mai liberi di essere se stessi
di dire ciò che pensi

sentirsi come un vuoto a perdere
che alla fine a cosa serve?

Sentirsi come la confezione sbagliata di un dono non gradito
ti aspettavi di certo qualcos’altro
sentirsi come un regalo scordato sul tavolo di un ristorante
o in auto
sentirsi come un pacchetto di natale scordato sotto l’albero
e ritrovato a fine anno

Sentirsi come una scatola da imballo
in mezzo ai pacchi vestiti a festa di una gioielleria
vorresti proprio essere altrove

le scatole possono cambiare e diventare gioiose e colorate,
rinnovarsi se vuoi
con un po’ di decoupage

ma per quanto io mi sforzi e tenti di cambiare
non sarò mai la scatola che avresti voluto
né conterrò mai il regalo che ti saresti aspettato

e così poi mi sento

Sentirsi come un pacco mai recapitato
che ha girato tanto in città
talmente tanto da sembrare stanco
talmente tanto sul portapacchi
sotto la pioggia autunnale
da sembrare più vecchio dei suoi anni

scartami e guardami dentro
per una volta non fermarti all’apparenza

scarta la scatola e guarda dentro al mio cuore
senza aspettarti oro, argento, diamanti
né rubini o zaffiri
né tanto meno smeraldi
né carbone nero come pece
ma solo :
la luce della mia anima piena d’amore
il rosso delle mie emozioni
il blu dei miei pensieri
e il verde delle mie speranze e sogni
e il nero delle mie paure

prova a guardare
con gli occhi di un bambino e della sua meraviglia
cosa contengo
prova a guardarmi dentro
senza scappare dalle mie paure
prova ad apprezzare contenuto e involucro
senza stropicciare o strappare la carta
senza strapparmi il cuore…


Bugie per amore

per te inventerò
il tuo mondo delle meraviglie inventerò
e se ti perdessi sarei poi un cappellaio matto
matto e spaventato senza te
senza la sua bambina con gli occhi pieni di meraviglia
ed allora saresti tu, amore, a dover inventare
storie per farmi addormentare
quando persa te, l’inquietudine mi verrà a cercare

bugie per amore
quante inventerò
ma senza te non resterò
e che il cielo di noi abbia pietà
perché se tutto è sbagliato e non si fa
inventerò un mondo fatto di bugie
dove tu sei la mia verità

per te inventerò
per te la nostra verità inventerò
e con l’amore ti proteggerò
sulla giostra costruita per farti sognare ti cullerò
costruirei per te tutte le bugie che non si dicono
e chiuderemo insieme gli occhi sulla verità
per non chiuderli sulla felicità

bugie per amore
quante inventerò
ma senza te non resterò
e che il cielo di noi abbia pietà
perché se tutto è sbagliato e non si fa
inventerò un mondo fatto di bugie
dove tu sei la mia verità

per te inventerò
inventerò per te un mondo che non c’è
di sogni e illusioni lo vestirò
perché l’amore e poesia e invenzione
il tuo mondo delle meraviglie inventerò
sulla giostra per fari sognare ti cullerò
perché la vita ci ha voluti lontani
ci ha voluti tristi e stanchi
sei la mia verità anche se per averti al mondo mentirò

bugie per amore
quante inventerò
ma senza te non resterò
e che il cielo di noi abbia pietà
perché se tutto è sbagliato e non si fa
inventerò un mondo fatto di bugie
dove tu sei la mia verità

in una bugia d’amore.