SIBILLA

E’ meglio che tu sparisca!!!
Potrei amarti da perdere il senno,
oltre la misura di una vita compita…
la saggezza dell’età,
quando le docili abitudini addomesticano il vivere.
Sparisci! O azzannerò i tuoi piedi e mi nutrirò dal tuo seno,
avviluppati, stretti nella zattera dorata alla deriva, privi di parole.
Scappa! Ti amerò senza futuro, nella gabbia più adorna e cieca
che già inonda i miei occhi di solitudine.
Nella grotta dentro i monti sarò avvinghiato ai tuoi fianchi
e fisserò lo sguardo tuo sulle volte di calcare,
squarcerò il sacro silenzio con gli urli d’amore
e avrò il volto di mille palazzi, il sorriso di tutti gli amanti.
Lì, ci ameremo senza ritegno, per questa vita che scivola tra le mani.
Fuggi, Sibilla dagli occhi di fiume,
il mio sguardo sferza la tua vetta,
e tu, ignara, accendi e plachi i miei anni,
intrisi del vivere…
a due passi dal verde del bosco.

03/07/2003 Stefano Diotallevi


IL DIRIGENTE

Non hai uno specchio nella tua dimora
La tua casa… quella che credi sia la tua casa,
è disadorna, priva di ricordi.
Attendi la sera… già, la sera…
e passeggi, Pacifico, conversando del tuo piccolo mondo.
Di giorno, sai, il giorno… quello col sole, le nuvole, i monti a te prossimi,
le spiagge, le donne, il mare…
Di giorno, dicevo, rinnovi i tuoi lenti passi e lasci che i Capi, ossuti e laidi,
ti indichino la via per un tondo e prospero futuro,
dove il silenzio è d’oro e le sconfitte sono del gruppo.
Rinnovi le tue convinzioni quando i Nani ti chiamano “Capo”
e ti è più facile rintuzzare le urla che guardarti allo specchio…
Ma non hai uno specchio nella tua dimora…
in fondo… non hai una dimora… hai una cantina,
una sciatta cantina, dove fabbrichi volti, abbozzi sorrisi e…
ammazzi gli Angeli, quelli che urlano!
E li rendi eterni piazzati, confusi nelle orde di Nani che ti chiamano “Capo”.
Ridi, a volte, sovente a sproposito,
e il tuo ridere è ebete, chiassoso,
è come un peto nel mentre di un bacio.
Non mi guardi negli occhi
e la tua presunzione è pari all’umana pietà che provo per te.
Sì, oggi riesco a sentirti mio fratello!
Ma se mi avvicino mi bagni le ali.
Fradicio, torno a sorridere, ogni volta più ricco della mia sventura.
Tutti quanti dentro Nani
digeriamo il giorno e ci ridiamo alle spalle…
Nani privi di specchi
senza fissa dimora.

05/05/2004 Stefano Diotallevi


OLTRE IL COLLE S.MARCO

Volerei volentieri, con occhi sbarrati, sopra il colle S.Marco; sulla sedia in vetroresina seminuova, aggrappato dal terrore ai braccioli a scatti, sospinto a velocità folle con i capelli inchiodati al cranio; con il cuore in gola.
Avanti, più su!
Irreale sogno di una notte di mezza estate; sopra le antenne idiote ed i cavi ad alta tensione appena intravisti.
Sopra le illusioni delle signore con i bigodini in testa, oltre la meta più alta degli stolti arrivisti.
Fino a tramutare il blu in nero, il fresco in ghiaccio, lo spazio in tempo, il pensiero in eterno.
Dove sei, Dio!
Non ho più cognizione ne’ paragone, non sento dolore, non avverto rimorso, gioia ne’ età; chi mi dirà chi soffre, chi muore, chi ama, chi? Non c’è più spazio intorno a me, ne’ ho più ragione di sentirmi umano.
Dove sei, Gesù!
Quanto è infinita la trappola?
Quanto è sconfinata questa eterna burla senza calore e quanto insignificante sono io, seduto e polverizzato.
Tendimi la mano, Gesù!
Dammi solo la prima chiave;
rendimi eterno perchè io possa capire oppure sparami in qualche frammento di universo senza memoria affinchè torni ad essere un granello essenziale, senza coscienza, del tuo eterno “puzzle”.
Oh, no!
Sei solo un faraone e non ho pietre per il tuo tempio.
Quanti volti e nomi ti hanno dato solo per abbozzare una risposta, per non sentirsi soli… ma…. sono solo, freddo, impaurito… dammi la mano, scendi con me ovunque tu voglia, giochiamo a nascondino insieme, magari con due ragazze e prendiamoci in giro nel dolce lazzo di chi saprà farsi desiderare di più.
Parliamo, ti prego, dopo l’amore, parliamo di noi, di te; scendi con me e cercheremo insieme chi si è perduto, parleremo insieme a chi saprà ascoltarci
Torna umano ancora o rendimi Dio!
Dio mio, quant’è grande la mia vanità e quanto questo freddo e questa velocità non bastano a placare il mio “essere umano”.
Frantumami, ti prego, contro qualche asteroide di passaggio così dovrai svelarmi cosa c’è oltre la morte, così vedrò uno stadio più avanti…
Ma sono morto di già?
Oltre il colle S.Marco, frivolo ragazzo grigio,
avrai sedie di acero senza risposta.

09/07/1990 Stefano Diotallevi