DEL TEMPO

Parte I

Se dall’ora in cui il mattino spira

venga la luce,e il suono s’oda

largo di chiarore,

uguali tornano gli occhi,

riportano l’eco i sospiri,

la memoria uguale ritorna

e dello specchio il riflesso perpetuo.

E va, figura luminosa,

lo sguardo sfolgorando;

imbianca la parete

e più vivo punge il dono.

Così il colore trema

sul volto del cielo

nel morente sonno;

e lo ripetono nelle strade le lampade

quando,alla notte compagne

con essa si spengono.

Una pace come la solitudine vasta

in silenzioso attimo s’apprende

ed è silenzio che tra lampo e tuono

si consuma:

in clamore declina,delle vie.

Oggi s ‘affretta l ‘attesa nel passo,

speranza a speranza s ‘ avvolge:

né delle cose che il giorno riaccende,

tutte sappiamo nel cuore.

Attesa di sorriso,di ricambiato sguardo

attesa di silenzio piena,

che sulla via allunga

l’illuminata melodia.

Qui silenti gli occhi ancora

e gli orecchi vedrai

ma di colore in colore

di nota in nota trapassare;

e il più e il meno negati

della mente sola,fantasia:

i toni mutano,i suoni…

ma uniforme il ritmo che tutti comprende.

E ciò che ombra era

lume diviene

e ciò che è lume pace.

Di macchine,di strade alto frastuono

scalfire non possono voci;

ma luce al silenzio lo mescola

si perde tra occhi e finestre.

Attesa e abitudine :

più cose può dire il silenzio.

Ansia crescente

quando colore è la terra

e,di raggi vivo lume piovendo,

in altezza si leva

ed il respiro non ha altro dove

che il cielo in cui si volgono

l’ora lucente e il moto di fulgore.

Vedrai l’indifferenza

di chi l’aria di luce divide

e ripartisce uguale

istante ad istante sommando

nel giorno

in somma infinita.

Sotto il cielo si piega

l’occhio incurante e corre le vie:

dei minuti non ode

il vibrante ritorno,

il passaggio incessante

da azzurro ad azzurro

immobile onda nell’onda.

E amori misurarsi con l’ora vedrai

o abbandonarsi alla crescente luce,

di attimo in attimo avvicinare distanze

e dagli stessi soli destati

l’assenza mutare in presenza splendente

la lontananza in legame di sguardi.

Così che fissi al lume gli occhi

alla luce strappino il sogno.

Trasparente delle pupille il battito

che attraverso distanza rifulge

e da specchio a specchio ritorna.

Ma sempore scorre infinita la luce

e inascoltato il richiamo

finchè in lei non s’acquieti.

 

 

Sulla città posa

colori si svelano sotto il suo sguardo:

di nuovo il nero e il verde

appartengono all’albero….

ed all’amato il colore splendente

riflesso dell’amante.

Nell’attesa si tende solitudine

di luce perpetua il suo colore,

legame con altre solitudini.

Sulla città infinita spiega

di essere soli infinito dolore,

e quest’è onda che solitudine e amore

insieme bagna.

Vedrai ad uno stesso segno

la gioia e la pena indirizzarsi

ed in tranquillità fiorire:

sulla fretta spargere

il balsamo del pianto

perché a sé stesso ignaro, sappia

la ricchezza del seme.

E quanti maledicono la luce

maledicono lo scorrere

la fatica dell’andare.

Nella fretta dimentichi

il tempo inaridiamo,

estirpiamo da fronde radici.

E il luminoso flusso del mattino

di speranza a rimpianto annodarsi

dividiamo dall’ora lucente,

che fu la fine e l’origine,

sprigionata dai suoi doni.

 

Già l’ora era che volgeva il tempo

in quella parte del sole abbacinato

dove s’aspetta che alto del suo lume

celi le ombre e nel chiarore l’aria

in suo respiro luminoso annulli.

Già l’ora era ma tacito quietava

momento e tempo insieme il colmo lume

che terra e luce

in circolarità d’attimi saldava.

E immobili nel mezzogiorno vide

lucenti case il sole e muti uomini stanti

nella calura e nel biancore grigio

che terra e cielo Estate non divide.

Estate era, feroce

splendeva l’ora meridiana il sole:

come la luce al mezzogiorno

spegne le ombre e più alta dilaga

così spegneva l’ora gli attimi e gli istanti

in forma di eternità effimera incarnata.

Era così la lucerna quieta come

l’ora di silenzio e luce che circolo

agli uomini rendeva ciò che linea e corsa

e retta e fuga, in avanti senza posa sprona.

Uomini e case così, e moto e strade

silenti parvero scandire ora e luce fuse nel desiderio

e nel tacere lento

che si profuse.

Ma tacque, trattenuto il respiro,

le finestre al riparo dal sole velando

la donna, e gli occhi nell’istinto chiuse

e sapendo e sperando che la stasi

non diversa dal moto si dipana

nè posa mai, come quello,

il dibattersi suo lento ,e di accordare

degli istanti al trascorrer breve

le immobili lunghezze e le memorie,

ove si vede

tenere infisse le radici il moto

del tempo nel suo ruotare.

Così la stasi il moto, e il moto questa quieta

così sentiva nel velar di tende

la donna accogliendo un segreto nella lente

sue parole a fior di labbra scandite e sillabate

“se mai ho compiuto un gesto nelle palme

consunte delle mani fra le tende

e i mobili del lavoro quotidiani

se ho conosciuto attimi che eterni

mi paressero e un senso alle mie mani

stanche dessero di sempiterni

ed incompresi gesti questo,

che nella luce si consuma, prende

di eternità sapore e il resto

della giornata pieno essere attende.

Non si è fermato il tempo ma la pace

che nell’ora e nella luce si raccoglie,

mutato tempo non mutato serba.

E di noi si rinnovano le sorti.

Non so perchè nè come ne porti

il senso ma salire

lo sento con la luce agli occhi

ad agli orecchi in formicolio

ronzante ridiscende”

Così diceva e si riempiva il cuore;

così in ogni tempo

della lucente pace sentir possiamo l’attimo che tende

al cerchio immenso,

e cinge noi nel suo chiarore.

L’attimo che ci prese e prende

nell’imediato sfavillio del mezzogiorno,

l’iride che ci fa di noi obliare

per riportarci in noi dal logorio

del quotidiano sperperare; l’energia

che dentro noi si accumula

dov’è più vita spenta

(e dove appare non è più desolazione)

e nei territori scende

dell’anima interiori per risvegliarci;

lo sfolgorio che addita

la via alla luce del ritorno in noi,

e dice

che dei lunghi anni e lunghi amori

che ci trascorsero in avvicendarsi alterno

di là da noi e in noi esiste

uno specchio eterno…

 

Parte VII

“Così noi durante il sonno

abbondanati al buio luminoso i corpi,

e chi non dorme ci guarda dormire….

Fonda è l’ombra che conduce

col lento camminare a nostra tomba,

socchiude a noi ancora un altro sonno…

di sole schiarirà solo incrinando al fiume lenta l’acqua del fluire

che pare eterno, promanerà di luce?”

Nell’aria cominciò voce cantando

che non parve o tua o mia

ma oltre andava nel chiarore puro

del giorno che alla terra suo girar riavvia:

“E’ del tempo la fine -si arretrava-

che lento tende lo spavento duro

negli anni che scorrono veloci:

raccolgo memorie di bagliori

e conservarli devo, ma più atroci

passano attimi ed istanti ancora

nel mentre che a un mondo di frastuoni

che udire crede  ed è insordito,

ed alla fretta di un popolo di automi,

a rutilanti  feste in cerchio l’ora

di sottrarre senza posa cerco.

E’ questo tempo che al tempo il senso scema

che felicità pretende nel consumo,

al tempo che solo già frecce saetta

è questo il tempo che la meta offusca?

Ma sempre impaura morte e tempo

l’indecifrabile sua fine brusca”

Disse così voce cantando nell’aria

della sera che sul canto

le orme sue allungava

e lontanando si arrestava.

O ora che certa ti appressi

alla luce più agognata

o voce che il tormento tuo dicesti

dal nostro murmure indistinto sgorgata

se il puro sguardo figgi nel profondo, ora,

vedrai noi te seguire nel profondo ancora.

Erano i raggi della sera sì lucenti,

risplendevano i passi nella nuova aurora

e al luogo conducevan dei viventi

che morte sfece e morti son tenuti.

A una scala venimmo (ma in noi accadde

in noi questo sentiero) “Venuti

– disesero voci come noi indistinte – siete alle scale che cadde

non cade ancora nel basso del ventre

della terra ma si innalza dacchè accadde

che due rami intrecciati furon per un uomo mentre

il legno nell’aria si levava

ed ascendente divenne scala perenne

e luce spira nella terra eternamente.

E’ la terra ventre di balena

che ospitò nei suoi tre giorni Giona

sono i tre giorni della sofferenza piena

che tramutò croce in altezza.

Perciò questa scala non discende

ma il digradare suo è apparente

e la bellezza

dello scendere è il salire”

Fu allora il chiarore più lucente

dell’aria che spiegò le ali e trasparire

nel pulviscolo fece la sua veste.

“ Dice qualcuno che sol le cose morte,

balocchi, bambole e fantocci

eternamente vivon senza vita.

Ma a chi è dato nascere di tempo

di tempo solo vive e viene a morte.

Non lo conforta memoria

degli anni che ha vissuto e vive

brucia dentro sè coscienza,

strugge vita: troppa

del camminare è la fatica.

Nulla torna delle ore a chi vivere è dato

ed è il passato

d’acqua dietro nave il solco.

Ma le morte cose scorre

tempo immobile e consuma

un nulla percorre, che non fiorisce.

E’ dei mortali questo il prezzo del fiorire?

Trasparire, come acqua che dissolve la sua forma,

al tempo esser legati e al fine

di gioire e dolori irrevocati,

morire senza di sè condurre orma?”

 

Così rispose e chiese il murmure dei vivi

che ascoltato le parole dei viventi aveva

ed essi:”la morte non è fine e non è buio

e non è linea il tempo che senza posa scorra.

Alle morte cose non ritorna

ciò che mai esse ebbero in sorte: vita.

A questa vita rinunciare è voto folle

anche se fine e buio fosse morte

per vivere il nulla della cosa

che cominciar non volle.

 

Se anche fine e buio fosse morte

custodire in noi dovremmo

amore forte e fragile, speranze,

ed in eredità portarle ai figli.

 

Già così la vita sè perpetua, nel ricordo, sui cigli

della madre in cui stupore trema

e tremando ferma a noi tramanda

lo sperare che non scema;

già così memoria porta

e riporta indietro il tempo a quella ora

che ai ciechi non ritorna.

 

L’odierno tempo più di altri teme morte

e lontana la fine da sè storna

o in finzione e spettacolo stravolge;

ma più la storna  più preme alle porte

nel secolo che contro sè l’uomo rivolge

l’immagine sua propria e combattuta

l’ha in guerra, nei lager e nei gulag

sconoscendo in sè la sua figura.

 

Così questo tempo s’impaura

ed è esso stesso morte

nella guerra che ancora e sempre dura

nei lager che ancora sono norma

nella moda che bellezza e eternità distorce.

Distorce il tempo ancora che ruotare

fa la terra nel suo giro

e gli uomini che in essa un senso cercano

e nel rapido e lento andar del tempo.

 

Cresce così sul nascere e il morire

sofferenza spietata da sempre,

urge domanda

fino al midollo intride:

perchè cominci il tempo

perchè non sia senza una fine.

Ma è la soluzione in noi riposta

nel nostro essere uomini e non cose:

se non possiamo in terra una risposta

possiamo in noi portare la ricerca

di quell’eternità che dopo morte

in Dio speriamo in Tre persone:

serbare avida i barlumi che ricerca

atea anima o credente

del senso eterno che si spera in terra

e in terra poco si presente.

Nell’amore  impararlo che bagliori

negli attimi promana ; in noi non capire

ciò che a noi segnato appare in sorte:

l’attimo che come muro la visione vela

del tempo che si ineterna

di nostra vita ,perchè non sia morte.

E dell’ateo sia pure  la risposta

che dentro sè solo e nel tempo porti croce:

se nel pensiero terrestre morte è buia

e’ pure in tutti umanità disposta

a far di tempo e sofferenza luce

e a trattenere, in noi il lume ed operarlo:

come Orfeo che non potè alla luce

e a sè Euridice riportare,

piangendo lei, perpetuò nel canto”.

Così dicendo s’andavano smorzando le parole

e il murmure nostro che indistinto

alla scala ci guidò e alla croce

quietarsi prese

fino alla prossima voce.