IN RICORDO DEI NONNI

Un giorno, mia zia mi telefonò: Totò …. La nonna non è più la nonna.

Chiusi il telefono e andai. Quando vidi il cancello sormontato da quell’eterno gelsomino, che già prima di entrare ti profuma l’anima, piansi. Piansi di quel pianto disperato che a volte mi prende ancora. Non appena mi calmai, entrai in quel cortile che mi vide bambino allegro, dispettoso e giovane innamorato poco studioso.

Era bella e serena, accarezzai i biachi capelli che mi avevano incantato quando li pettinava allo specchio, e con cura ne faceva una treccia che avvolgeva dietro la nuca fermandola con delle forcine d’osso.

Presi la sua mano tra le mie e ricordai:

Mi chiamai Salvatore e rassomigliai a mio nonno, prima che nascessi, a quell’epoca l’ecografia la faceva il desiderio. Era tradizione che i figli maschi portassero il nome dei nonni; fu così che a mio fratello toccò il nome di mio nonno paterno ed a me il nome di mio nonno “Turi carrinu”. Caso volle che ne avessimo anche i tratti somatici e forse anche caratteriali, tant’è che con mio fratello non mi rassomigliavo. Mio nonno, quale reduce della guerra di Libia, ebbe in premio un posto di lavoro al comune di Messina. Si trasferì in quella città con tutta la famiglia, moglie e cinque figlie, al paese rimase solo mia madre che era già sposata. Quel premio si tramutò in una scheggia dell’ultima bomba, dell’ultimo aereo, dell’ultimo bombardamento americano che subì Messina. Forse nella vita bisogna evitare l’ultimo. Di mio nonno non se ne ebbe più notizia; in quel caos finì in una fossa comune. Mia nonna ebbe un trauma che la fece diventare sorda e non parlò per parecchi mesi, aveva perso il suo unico grande amore. Mia nonna e le mie zie, ebbero per me, sempre, un affetto e un’attenzione particolare. A dire di mia madre sono nato pelle e ossa e così sono sempre stato, il che non è vero, un po’ di carne l’ho sempre avuta.

Era consuetudine della mia famiglia trascorrere l’estate in campagna e, per un certo periodo,venne anche la nonna. A me ed ai mie fratelli, andare in campagna ci elettrizzava, ci scatenavamo correndo per sentieri impervi, io mi arrampicavo sugli alberi, facendo terrorizzare mia madre. Una volta mi impossessai di un’accetta e scaricavo la mia esuberanza sul tronco di un albero caduto, mia sorella, per dispetto, voleva anche lei quell’arnese, mise la mano proprio dove avevo preso la mira. Il risultato fu che il polpastrello del mignolo della sua mano sinistra si spaccò in due e una parte gli manca ancora. Le intenzioni di mio padre, che mi inseguiva, non erano certo benevole, ma io fui svelto e mi rifugiai dietro mia nonna, che con la sua autorità mi risparmiò.

Quando il nonno morì avevo poco più di un anno, a cinque anni, la nonna mi portò con se, con lei stavo bene mi sentivo protetto. Che la nonna mi volesse bene è sicuro, su di me rifletteva l’amore del suo unico uomo, ma ne voleva anche a mia madre che si trovava con tre bambini piccoli nell’arco di tre anni di età. Mi piaceva stare con la nonna, ma ero piccolo e un giorno sentii il bisogno della mamma, mi nascosi sotto un letto e pensando a lei, piansi.

Piansi d’un pianto disperato come mi prende a volte ancora e piangendo mi addormentai

Quando mi svegliai ero in un lettino, mia nonna mi guardava, mi sorrideva e sorrisi anch’io, mi abbracciò e l’abbracciai anch’io. A volte, la notte, mi svegliavo, nella penombra la vedevo seduta in mezzo al letto con la testa tra le mani, piangeva e piangevo anch’io.