L’HOTEL  DELLE  ARAGOSTE

Nell’albergo  decadente le porte   sono sbarrate da aragoste.

La  ragazza      arriva   sulla   roboante  automobile .

Un  pallido teschio  le    fa    compagnia  SUL  SEDILE  POSTERIORE.

Rumorosa musica nell’atrio ( Sepultura + Slipknot + Carmina Burana)

Prende una stanza?  Domanda il valletto.

Ha   dimenticato    qualcosa (  o  qualcuno ),  che deve   riprendere ( assolutamente).

Ha  dimenticato le  pillole rosa  nel portasigarette,

la cravatta  nera sul pavimento.

L’ascensore spettrale la   osserva (  LUNGO OCCHIO SUL SOFFITTO)

Poi  si apre e si chiude.

Posso  aiutarla? Mormora un angelo decadente e  imbolsito, stringendo tra le mani un’aragosta.

L’aragosta    si  ritrae nello specchio raggrinzito.

L’angelo  decadente  sbarra  la porta.

La regina di Cuori  ha perduto i  Denari, la Luna , il Tempo e le Aragoste.

Il  suo  sonno indossa lupi  scuoiati e fantasmi di donne mai  esistite.

Dorothy  si è liquefatta nel pallido  prato  ( non ha occhiali né prendisole).

Lei    si è  inginocchiata.

Lui  era il  suo Amore.

Lei  ha perduto i  capelli  e   non  legge  più  Kant.


 PINKERTON

La signora  Morlan  siede  accanto  ad un  clown  con  il volto consumato

da un desiderio  obsoleto.

Ha orbite vuote,

in cui riposano salamandre allucinate, bachi  da seta e una bambola di gesso.

La signora Morlan osserva attentamente il  dottor  Pinkerton.

Egli   le siede accanto.

Ha un volto  mostruoso   e qualche ematoma di troppo.

Una congerie di raffinati ingranaggi  ha  inceppato  il meccanismo salutare.

(All’imbrunire  le salamandre   non riposano più).

Morlan  e Pinkerton  siedono l’una accanto all’altro sul divano scorticato.

Morlan comunica con  gli spettri nascosti  nel volto di lui.

Il loro fiato  è amaro come l’assenzio che hanno ingurgitato a colazione.

 

Pinkerton si trasforma lentamente in un baco da seta.


VANESSA  VAN  STILTEN     E  IL SUO  AMANTE

Non  mi   importava affatto  dei gioielli  intravisti  nella   fantasmagorica  vetrina ,

né  delle  tentazioni  ammaliatrici,

né  della roboante fama millantatrice.

Lo  incontrai  un mattino ( alba di inizio millennio).

Pranzammo  nel  tetro, eccentrico    ristorante (   assuefatto ai cibi  ).

Il  lampadario era storto e rattrappito.

Mi  disse che la moglie era morta.

La sua dolcezza   fu   come  brodo di  tartaruga.

Gli  domandavo  se i  gabbiani  o le folaghe fossero  d’accordo con la nostra  indecisione.

La  sua infelicità  mi avrebbe incoraggiata a sparire , a dissolvermi, o a trasformarmi in figlia dell’aria?

Avrei  scritto  al giullare di corte, chiedendo un  paio di catene per lui ,

Re Mida  senza orecchie.