Le arterie dell’esserci

Nel silenzio di una mattina qualunque,
mi contorco.
Si sentono l’ululare delle sirene delle ambulanze,
i clacson, i rumorii umani, quei pochi che si riescono
a distinguere da dentro casa.
Fuori tutti si muovono caoticamente, animati da desideri e impulsi
elettrici.
Dentro si sta,
seduti, accovacciati sui propri pensieri.
Ombre su ombre si confrontano e si imprimono
nei primi ragionamenti della giornata.
Penso parole svuotate dal mio troppo ragionare, parole insipide,
solo ricordi sbiaditi di sensazioni passate, evocazioni di modi
di essere ormai obsoleti.
Il senso delle cose si perde in questo mio pensare e
gli occhi non sembrano volersi abbandonare al sonno.
Il sonno è dei giusti – qualcuno mi suggerisce – di chi se lo
merita.
Ribelle, resisto al buon umore e mi abbandono alle ombre,
in attesa di un risarcimento, di un tempo devoluto,
di una leggerezza sequestrata e poi rispedita al mittente,
in attesa di una mappa per orientarmi
che mi indichi la via da percorrere.
Il senso, il tono, il modo,
le arterie dell’esserci.


La figlia di Andrea

A te che ti affacci timidamente tra noi,
con gli occhi sgranati e uno sbadiglio spalancato sulla bocca,
figlia di una scelta incosciente, figlia di chi ti ha aspettata
con ansia,
figlia di noi.
A te che fai largo in questo mondo rotondo che sempre gira, pur
restando se stesso, che sempre mente e sempre si mortifica e si
pente.
Il pianeta dei grandi e delle loro bugie, delle favole e delle
fantasticherie, di – domani è un altro giorno-, di – che ci sto a
fare qua-, dei pensieri insonni e degli amori timidi e delicati,
delle notti di stelle, al mare, quando soffia il vento e il mondo
sembra sincero e pulito.
I giorni di noi, semplici e complessi quali siamo,
in un perpetuo conflitto con una natura che non comprendiamo,
attaccati a radici che non sappiamo capire,
a evoluzioni che non sappiamo prevedere e
a piogge che non sappiamo accogliere.
In questo golfo di sud, dove tutto ha avuto inizio e tutto si
consuma,
si schiudono percorsi sempre nuovi e sempre uguali a se stessi
e tu, beniamina di promesse future, inizi a tua volta il tuo
girovagare.
Così, tra gli ulivi tenaci e il vento salato, celebriamo il tuo
arrivo e ti doniamo alla saggezza e alla pazienza degli alberi,
maestosi guardiani del tempo che tutto sanno e tutto conservano.


Treno blu

La campagna a quest’ora somiglia al deserto,
con i suoi promontori spugnosi di piante rade e compatte.
Sta per albeggiare e il cielo si tinge di un blu luminoso.
Sa di freddo e di lontanissimo,
delle mattine pigre alle scuole elementari,
dei risvegli gelidi di inverno la mattina presto,
di coperta di lana.
Il treno va in direzione contraria allo sguardo
e sembra portarmi in luoghi sconosciuti,
non riconosco niente, non mi oriento,
vedo solo una coltre blu ingiallita ai margini
per l’imminente affacciarsi del sole,
che avvolge boschi e qualche sporadica abitazione.
Occhi negli alberi e nelle loro sagome,
scivolo in un sonno morbido
che sa di treno e di blu.