All’improvviso

Il mio sogno percorre due strade
restano divise nel posto dell’incontro
conoscono ogni sensazione del bacio
tengono la loro polvere per il vento
piccoli sguardi sollevati dal desiderio
chiuso nelle foglie di un autunno futuro.
Il mio sogno si rivolge al mattino
cullato dalle parole di una sorpresa
posata rugiada sui fili di tela paziente
attende la sua sera per volare nella tua
sorride nel solco di un grido d’abbandono
inanimato giace ad ogni profumo del tuo piacere.
Il mio sogno raggiunge la tua mano
copre il buio un faro scoperto a caso
cercando una stella insperata io navigo
orizzonte senza meta il tuo sapore d’estate
mi accendo in ogni tuo passo.


Incontro

Sono venuto per te nelle tue musiche
abbandonato a sensazioni inesperte
ad un incontro nemmeno sognato
costruito con lente carezze dell’anima
accudito con la pazienza del vasaio
amalgamato tra la creta del desiderio
e la polvere del bisogno.
Sono venuto per le tue labbra
incuriosito dalle pieghe dell’ignoto
come a bere l’assenzio nuovo
nemmeno con l’abilità dell’amante
non con il pensiero del condottiero
non con la mia mente accorta
sapiente filtro delle emozioni.
Sono uscito dalle tue braccia
come si esce da un sogno
svegliato dalla sirena del tempo
lasciando un bacio appeso
al confine della mia follia.


 

Della vera storia di un Cantastorie
di una Dama
e di un Capitano

tratta dalle epistole di un Cantastorie e
dal diario di bordo di uno yacht a vela

di Alessandro Lizioli con i disegni di GianLuigi Lizioli

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Capitolo 1

Il Cantastorie

Eccomi qui dopo un anno, immerso in questo silenzio profumato di attese sotto il sole e di lavanda ormai arsa. Eccomi qui sulla terra davanti ad un diario che non so se continuerà, ora che il Capitano fa rotte sempre più lunghe. Sono riuscito a cantare qualche storia ancora, che ha indubbiamente affascinato il mio pubblico, ma devo ammettere un poco di sorniona stanchezza che intrallazza conversazioni futili con i miei pensieri. Ora che nulla appare all’orizzonte, che non ho di fronte a me un mare infinito di luce ed acqua e che il mio desiderio di veder apparire la nave del Capitano al largo del porto si fa sempre più acuto e resta sempre più insoddisfatto, ora che la mia voglia di raccontare non è più giocosa e tersa come le ali del vento, forse non resta che affidare ad un pubblico diverso l’intera storia.
Ci sono stati tradimenti, nel senso più morale della parola, come in tutte le storie. Tradimenti verso i propri ideali, istinti che come macchie di inchiostro hanno tracciato segni oscuri nel destino dei protagonisti. Anche il Capitano ha tradito sé stesso, a modo suo, ovviamente, come sa solo fare lui. A noi che lo osserviamo, a me, che gli sono fiero amico, le sue azioni sembrano solo bizzarrie, stranezze, capitomboli di un saltimbanco che vuole provare un gioco difficile. Per lui sono veri e propri solchi nell’anima,audaci e sofferti, tracciati con il coraggio di chi guarda in faccia il vento. Sempre.
Se ho tradito anch’io ? Dunque è questo che vi preme conoscere ?
Certamente, ancora più del Capitano. Io sono un traditore nato. Perché non ho regole o, meglio, le sfumo. Non posseggo quella logica stringente del bambino che ha bisogno di credere in qualcosa, che ha necessità di piazzare una regola bell’apposta per spiegare il proprio gioco. Che ha ancora, poi, bisogno di cancellarla per poter essere fiero di averne fatta di più nuova e di più bella.
Io no, non sogno regole, io le adopero.
Nel senso che le uso per raccontare cose, gesta, vicende; nel senso che le accalappio con il mio acchiapparegole e le sottopongo ad esperimenti sempre più strani per osservare le loro mutazioni. Non sono un marinaio io. Non sono uno di quelli che accetta la regola per il bene della nave.
Non ho navi da comandare, né da gestire. Io racconto. Quindi, dicevo, mi approprio delle regole e le tengo appese a testa in giù, oppure le coloro, oppure le cuocio nel magma fuso della ragione, oppure le mangio con la narrazione, oppure le smonto in regoline sempre più piccine finché non si possono più vedere. Paff! Sparite.
Quindi tradisco. Ve lo vedete voi il tizio con le sue belle regole avanzare e tronfiamente portarmele e, magari, condividerle fin quando io le prendo le guardo, le accalappio e piano, piano gliele smonto, mangio, dissecco, affetto, trapano, contorco, fondo, sminuzzo, abbatto, chioso, dilanio, contesto e, finalmente, racconto la purea così consolidata in modo che il poveretto non ci si ritrovi più con il conseguente vacillìo e rapida giravolta a fiondarsi immediatamente dal fornitore per reclamare la pochezza delle stesse e la fatica che ha fatto a comprarle e farsele proprie ?
Oppure tradisco i concetti. Sono un equilibrista del filo dei concetti. Invero, io non mi sono mai premurato di sapere cosa fosse un concetto. Un bel giorno mi hanno detto: eccoti un concetto! Non è un’idea, per il fatto che è troppo concreto. Non è una regola, perché non contiene limiti e poi perché non lo posso acchiappare con il mio acchiapparegole. Quindi cos’è, mi chiesi ? Poi un giorno il Capitano mi diede una mano a comprendere. Mi parlò del vento (non avevo dubbi al proposito!) e si dilungò molto, ma proprio molto, sul fatto che il vento è una cosa che molti sentono, ma che non è mai la stessa. Una volta è la forza che scoperchia le case, una volta è quello che fa muovere la barca, una volta è quello che rinfresca la pelle, una volta è una cosa strana che viene generato dalle pressioni, una volta è la passione, insomma il vento è un concetto.
Allora è fatta, ho detto. Io prendo i concetti e li adatto, li manipolo e vengono buoni per le mie storie. Che parli di Ulisse o che parli di Napoleone, i concetti sono sempre validi. Ecco che allora prendo un concetto concettoso lo metto di qui, poi lo riprendo o metto in un altro contesto e di là viene un’altra cosa. Ah, che bel tradimento!
Sapete cosa ho scoperto andando su e giù per le corti a raccontare?
Che i concetti, prima o poi, li tradiscono tutti. Non vi pare bello?
Si va fieri di fare una cosa che va di moda.
Ecco, mi sono di nuovo dilungato e vi ho portato a spasso. Dopo un anno, iniziavo, mi ritrovo nello stesso posto da dove è partito tutto. Credo che sia arrivato il momento che vi ragguagli un po’ di più sugli avvenimenti.
Il Capitano non c’era. Anzi, era proprio ancora da venire. Si annusava nell’aria che stava arrivando, invero. Sapete, quando vi capita di sentire accadere qualcosa. Chi lo chiama sesto senso, chi ci mette un mezzo di meno e un mezzo di più, ma in ogni caso si riconosce sempre la stessa sensazione. C’era di mezzo il mare: quello da tanto tempo stava di mezzo.
Non si tratta della storia del dire e fare, anche se forse il Capitano abbia ben unito le due cose, ma per il momento era solo una lontana chimera sentita forte nel trambusto dei ricordi e nella voglia di fuggire.
Eccomi, allora, qui a raccontare. Sapete ormai bene che passo la mia vita a raccontare delle cose che stimolano gli altri ad agire, delle fiabe che trovano un percorso nel cuore del mondo umano, delle storie che lasciano una traccia tra la musica del sentimento più nobile che viviamo.
Passo a raccontare con un cartello in mano che dice ‘Mettete una buona parola per questo cantastorie!’.
Mettete una buona parola perché a furia di raccontare e raccontarsi ha perso le parole per farlo. Ormai viaggia da solo sulle note assemblate ad arte da uno sguardo o un desiderio. Quindi, mettete una buona parola affinché le sue storie si arricchiscano di soggetti, traccino solchi di una personalità, mimino le azioni fortunate dei guerrieri e suggellino le pagine con i baci delle dame più eteree.
Mettete una buona parola nell’incavo del suo orecchio, così l’artista, che vive eremo nella montagna di ghiaccio, possa sentire e riprendere il suo colorito di sempre, rubizzo di vino e gioviale alla compagnia.
Ora vivo un poco distante dal mondo che appare: sempre nell’ombra del mondo che si sogna. Questo certamente è colpa del Capitano: dal momento che è arrivato nella mia storia ha costruito un muro interminabile tra questi due mondi, sapendo che non avrei mai potuto più restare in quello che appare.
Possiedo ancora occhi, questo è certo, perché chi mi conosce bene mi ha visto osservare, ma non sopporto gli apostrofi e le troncature ormai da anni. La fluidità del sogno è in contraddizione con la brevità del mondo spicciolo. Non sopporto neppure le note a piede di pagina, le intestazioni, gli orpelli e le classificazioni. A volte digerisco male anche gli indici.
Mi dicono di essere un poco irascibile. Forse. Di certo possiedo un pessimo carattere che tengo nascosto, molto ben nascosto, tra le cianfrusaglie dei miei corroboranti bicchieri di vino.
Come tutti i cantastorie, capita, a volte, che sognando o, meglio, vagabondando tra i sogni si incontrino fate che spiegano cosa vi è oltre il luccicare del mondo. Allora mi fermo, stropiccio gli occhi e continuo a guardare meravigliato queste lucciole di fate che danzano intorno.
Prendo appunti per costruire una nuova storia da raccontare alle persone che mi vengono a trovare.
Ci si delizia molto lungo la linea del sogno, sapete?
Vi racconterò del sogno, non dubitate, ma non ora, non prima di avervi portato dove si è cominciato, dietro la faccia della persona impegnata dove c’è solo un’anima impegnata a decorare i sogni.
Sapete che i sogni sono tali solo quando sono decorati?
Il mondo in cui viaggia il vostro cantastorie è un piccolo sogno e, come tale, compare e scompare al ritmo delle notti e dei desideri. Capita, però, che a volte si intrufoli in questo mondo un passeggero, viandante di altri mondi, che si siede e comincia a raccontare.

Che bello raccontare! Che bello disegnare nel cuore una sottile rete di fili intrecciati, per riuscire ad accalappiare i sogni cattivi.
Lo sapete che i sogni cattivi sono orbi? Non conoscono le strade e si perdono facilmente in quell’intreccio armonico di rete di fili. Se poi ci aggiungete le perline che luccicano, li disorientate e li fate cadere tra le piume degli uccelli che li portano via ed al mattino muoiono quando gli uccelli aprono le ali e si scaldano al sole.
Già, i sogni cattivi. Che brutti viandanti che sono. Spesso mi soffermo a pensare come si faccia a dar loro il benservito.
Sapete anche che non è bello interrompere i cantastorie, perdono il filo ma, d’altra parte, non è possibile cantare storie tutta la vita.
Provo allora a cantare storie brevemente. Non per tutta una vita. Nemmeno per la piccola parte della vita, tanto di noi cantastorie la vita ormai non sa che farsene.
C’era uno che alla luce della fiaba che lo attraversava vedeva tanti colori. Blu, gialli. Bello! Li sapeva anche metter giù, dico sulla tela, con i pennelli.
Bello era il suo grano, belli i suoi fiori. Belle le cose che raccontava, ecco era un vero cantastorie. Si, uno di quelli che ci si ingarbuglia solo a pensarci, per come vive, per come cuce i fili degli acchiappasogni.
Non l’ho conosciuto di persona, noi cantastorie ci attraversiamo, ci incrociamo e facciamo storie per tutto. Lui, però doveva essere speciale, è bello avere dei colleghi illustri.
Io non sono illustre, nossignori. Non ci tengo tanto, forse. Mi piace scaraventare sulla carta i sogni e descriverli. Oh, di questo son specialista. I sogni, per essere tali vanno vissuti! No, non nel sonno, che quello è il papà del sogno; vanno vissuti realmente nel transitare nelle ore, nel debole e fioco bagliore di un sole che profuma d’inverno. Nelle spire del vento di mare, come fa il Capitano.
Questi sono i sogni che entrano nel cuore degli uomini.
Tra questi vorrei raccontare quello più ambìto, più recriminato dagli uomini. Lungo le vie si sente il brusio che fa il desiderio di averlo, possederlo. Ci fosse un acchiappasogni in grado di catturarlo sarebbe venduto a peso d’oro. Oh, che dico? A peso di aria giacché un acchiappasogni, come gli acchiapparegole, non è molto pesante.
Dicevo il brusio. Tutti, ma proprio tutti, quando mi metto a cantare mi chiedono di raccontare un sogno d’amore. Che bella parola, che bel suono fa la parola amore. Ancora più bello del suono di bacio.
Sapete, sono le vocali, le labiali, le socchiuse o. Ci si riempie la bocca, l’anima, il cuore.
Amore, amore, amore!
Alcuni, ostinatamente, ci aggiungono anche per sempre. Come se amare già fosse facile, figuratevi amare per sempre!
Eppure il nostro viaggio comincia da qui, da questo sogno che deve essere per sempre.
Che bella cosa il viaggio!
Il viaggio comincia da dentro. Comincia da un pezzo di immagine che si ficca dentro il tuo panorama quando stai guardando fuori dal finestrino, fuori dall’orizzonte di una finestra, fuori da te. I cantastorie non guardano tanto fuori da sé, tutti presi a ricordare i passaggi fondamentali, le emozioni dei personaggi, le date degli avvenimenti. I cantastorie poche volte guardano fuori. Forse è per questo che, quando lo fanno, si meravigliano e cercano di spiegarsi cos’è quello che stanno guardando e, all’improvviso, fugace come un battito d’ali, appare un’immagine che si scaraventa nell’anima. Poi, te la porti dentro. Lì, in quel trambusto che sa di nuovo inquilino, di regalo inaspettato a tal punto che ti domandi se non si sono sbagliati, che in realtà era per un altro, lì comincia il viaggio.
A volte le immagini diventano emozioni, soprattutto quando, guardando fuori, di fronte vedi una persona. Non un soggetto, un viso, un paio di gambe o che altro: proprio una persona. Ti si impianta dentro, l’immagine, e non c’è sforzo che tenga: finché non inizi un viaggio con lei non ti dai pace.
Comincia un piacere immenso che è quello di raccontare. Fiabe, avventure, momenti, concerti di emozioni, parole fatte per far risuonare la cassa armonica dell’anima.

Ancora mi perdo, come sempre. Dicevo del viaggiare. Partire, si sa da dove si parte. Uno si ritrova ad una stazione. Gente va e viene, episodicamente riconosci qualcuno, talvolta, raro, inizi a conversare. Sai da dove vieni. Buffo è che nel raccontare la conversazione con gli altri si basi sul passato.
Come stai? Si tutto bene, sono appena arrivato da…(metteteci una città vi prego!). Sai, ero fuori per lavoro.
Questa cosa mi crea proprio uno stato di ilarità! Questo dire “ero fuori per lavoro” mi scatena un sussulto di buffoneria acuta. Fuori da dove ? Fuori dal solito passato di trastullo quotidiano? Fuori dal noioso intercedere presso le solite cose ? Fuori da un mondo quotidiano che vorresti portare con te in ogni passo ? Oppure fuori da ciò che non puoi dire, del quale ti senti geloso.
Non tutti si sanno raccontare quando sono impegnati in altre città, in altre emozioni. Avete provato a chiedere cosa hanno visto quando erano in giro?
Ma si, ero fuori, dovevo fare questo, quell’altro: sai una fatica! Meno male che è finita, io di questi viaggi non ne posso più!
Ecco, i viaggi della gente. Insomma, della gente che non viaggia, che solo sposta il suo corpo da un posto all’altro. Altro è viaggiare come persona.
Partire si sa da dove. Non si sa dove si arriva. Questo è il viaggio. Non quello in cui uno parte per andare a, diciamo, Roma. Poi lì vi troverà l’amico, il lavoro, il parente, il Colosseo. Insomma, uno parte per qualcosa di già pronto. Sa già dove arriva e cosa trova.
Il viaggio vero è un circolo di desideri. Si parte non per arrivare, ma per mettere in moto il nostro desiderio di conoscere.
Ho un grande rispetto per i viaggiatori, quelli veri. Un grande affabulatore, cantastorie famoso anche lui, mette addirittura insieme le due parole, in sorta di aggettivo, del viaggiatore: viaggiatore viaggiante.
Adoro questa geniale assonanza.
L’affabulazione porta un poco alla pazzia e la pazzia nient’altro è che un lungo cammino dentro il viaggio stesso, quasi a vederlo da dentro e da fuori contemporaneamente; quasi a confondere la meta con il percorso e la strada con un sogno.
A volte vado incontro a monotonie narrative, mi lascio sovente trasportare da singole canzoni che continuano a frusciarmi contro, quasi a corteggiare un lungo e affascinante pensiero. Per viaggiare bisogna essere affascinanti e affascinati. Ci si deve porgere bene, con quella sua delicatezza quasi ottocentesca che profuma di galanteria astuta, ingannando il corteggiato che sa già dove si vuole parare, ma non dice e si lascia delicatamente trasportare negli anfratti della seduzione.
Il viaggio, questo viaggio, inizia da un incontro che ebbi tanto tempo fa con una missiva arrivata chissà da dove. Devo dire che ero bello e impelagato in una fanfara di cose da fare, impegni, trasferimenti corporei, tradimenti e cosucce d’altro genere, per cui non mi immaginavo certo di aggiungere altra legna da ardere in un camino che già sbuffava di intemperanze caloriche. Tuttavia, la lettera emanava un candore ed un profumo che ricordavano molto da vicino le galanterie di cui si accennava ed io, conscio di lasciarmi condurre in una tale pazzia, cominciai a leggere questa bizzarra, affascinante e disperata richiesta:

Illustrissimo signor Cantastorie, ho sentito parlare di Voi, e ho pensato che siete forse proprio la persona giusta. Mi permetto di disturbarVi, e di rubare un po’ del Vostro tempo e della Vostra attenzione, perché avrei bisogno di chiederVi una grossa cortesia, o, forse, potrei anche richiederVela come una missione: so che Vi occupate di cuori, e che siete specialista nell’ascolto. Ebbene, la mia richiesta sarebbe proprio in merito ad uno di questi cuori. Ne conosco uno, vedete, molto, molto grande, che forse è fin troppo grande, e a volte dà l’impressione di far persino fatica a stare insieme. Lui pensa che sia goffaggine dovuta alla ciccia, ma chi lo conosce bene continua a chiedersi come fa ad andarsene in giro continuamente un cuore così ingombrante. Nessuno sa se sia pesante o leggero, perché non è molto facile avvicinarlo, ma da lontano si intuisce chiaramente che non è proprio un palloncino che volteggia nell’aria. Forse è proprio per alleviare la fatica del suo peso che, a quanto si dice, ami moltissimo immergersi in mare, e stare immerso per ore. E sembra che sott’acqua abbia sempre bisogno di bombole: deve essere un cuore che consuma un sacco di ossigeno, che non si ferma mai, nemmeno in acqua. E anche a pensarci, uno direbbe, ma perché non se ne sta fermo e tranquillo, al posto che continuare a voler viaggiare, a tutti i costi, con tutto quel peso… E invece nessuno ricorda di averlo mai visto un attimo riposare. Illustrissimo signore, non so se da questa descrizione riuscite a configurarvi la situazione. Non so se possa esserci una soluzione, se Voi siate a conoscenza di qualche sistema per alleggerire i cuori o per farli viaggiare un po’ più agevolmente… Non so, tipo carrellini, monopattini, senza pensare a strampalerie tipo ali, benché nel caso in oggetto potrebbero essere l’ideale… Illustrissimo signore, avrei molto piacere se riusciste a valutare la cosa di persona, avrei molto piacere se riusciste ad incontrare questo cuore, magari, voi che siete un esperto in materia, riuscite a riassestarlo un po’, magari basta stringere qualche bullone, controllare la convergenza per ridargli un po’ di assetto nel muoversi… Non so se i cuori sofferenti si trattino con cacciavite e olio, scusatemi, non vorrei interferire nella materia di Vostra competenza… Ne varrà la pena, fidatevi. E’ un cuore che ha da raccontare molte cose, che ha un gran bisogno di essere ascoltato, ascoltato come penso solo Voi, Signor Cantastorie, sapete fare; ascoltato da una voce libera, ascoltato e mai giudicato, ascoltato perché non debba essere più così spaventato di essere troppo grande e così impressionato ogni volta che si guarda e non riesce neanche a vedersi tutto e così stanco di trascinarsi dietro tutto da pensare ogni tanto che convenga perdersi qualche pezzo e così goffo da aggrovigliarsi su se stesso ad ogni movimento. Vi prego, signore provate a cercarlo! Per la verità non saprei dove indirizzarvi di preciso, non so come bene come si rintraccino i cuori… Potrei dirvi di ricercarlo su qualche barca, che maneggia vele e forse vorrebbe essere una vela anche lui, ma forse lì è troppo indaffarato, forse potreste rintracciarlo sott’acqua, lì lo troverebbe sicuramente disponibile ad incontrarVi, ammesso che per Voi sia facile distinguere i cuori subacquei, soprattutto dai cuori dei pesci, ma forse i cuori dei pesci non gironzolano con la macchina fotografica e le bombole. Se però esistono anche le pagine gialle dei cuori, lo troverà sicuramente sotto “cuori molto grandi”, (taglia XXL).

In attesa di Vs cortese riscontro, Vi ringrazio infinitamente.

Un cuore taglia M

Ecco questa è la missiva, arrivata tanto per caso tanto che nemmeno sapevo dove m’avrebbe portato.
Dicevo che preso com’ero dalla ridda di pensieri e affari che mi tormentavano senza posa, non posi molta attenzione al garbo, alla delicatezza, al modo così inusuale di chiedere un aiuto. Mi limitai a rispondere, non senza un po’ di fretta ed in ritardo.

Gentile Cuore Taglia M,

sono a rispondervi in ritardo come tutti coloro che fanno questo mestiere: cantare le storie dei giorni a venire ed anche passati. Spiace quindi a me, che sono in viaggio, non tempestivamente aiutare e prendersi cura delle richieste soprattutto quando urgenti. La descrizione fatta del nostro Cuore taglia XXL è commovente e molto toccante. Di certo sento a volte parlare di Cuori così impegnati, ma è difficile incontrarli. Il problema, caro Cuore M, è che essi sono per definizione nascosti. Suvvia, come potrebbero portarsi in giro un ingombrante presenza ? Sono, ecco, lievi seppur pesanti; semplici seppur complicati. Sono in verità cuori di bimbi. Non ho conoscenza se Ella ne possiede uno di questi bimbi, ma forse penso di sì: tanta è la passione che Ella ci mette nel descrivere ciò che conosce bene. Di vele parla Lei. La vede di lontano quella vela che porta natanti per i mari perigliosi ?

Provi a pensare che quella vela si porta dietro il vento dell’innocenza e della speranza e vedrà quante miglia le farà. Ci penserò a quel Suo Cuore, e le ritornerò notizie. Veda il mare e si tranquillizzi, risponderò presto. Con ossequi, suo Cantastorie

Comunque sia andata la mia risposta, con le sofferenze alla fine ci si intende. Si, si avete capito bene, ci si intende nel senso che si comprendono quelle degli altri e allo stesso tempo se ne diventa esperti.
A maneggiarle, sissignori !
Maneggiare una sofferenza non è da tutti. Ci vuole delicatezza, serietà, competenza e un pizzico di estasi.
La sofferenza è uno stato dell’anima, un desiderio che quest’ultima pone davanti a tutti, a volte un bisogno.
Come si può maneggiare uno stato dell’anima. Diceva qualcuno che il Paradiso non è un luogo, ma uno stato dell’anima. La citazione risulta di pessima qualità ed il cantastorie che l’ha inventata non me ne vorrà molto per il fatto che era stata inventata il lingua spagnola e l’abbiamo qui tradotta in modo non molto musicale: non da cantastorie.
Quindi possiamo sentire una sofferenza come possiamo sentire lo stato dell’anima. Se così è potremmo azzardare qualche ipotesi sul Paradiso.
Oh, si, certo che è più facile immaginare lo stato migliore che lo stato peggiore. Ci addestriamo con il Paradiso ogni giorno, ma non con la sofferenza.
Io personalmente ho l’anima scalcinata. È talmente piena di cicatrici che quando si trova in Paradiso chiede gli occhiali da sole per la troppa luce.
Parlando di sofferenza mi viene in mente uno zaino bello grosso, uno di quelli che fai solo fatica a vederlo, poi, quando sai che devi ricominciare il viaggio te lo issi comunque, di nuovo, in spalla.
Ecco, io a volte mi detesto. Parlo di una cosa e poi riesco a portarmi lontano verso altri pensieri, senza capo né coda. Che nervi !
Dicevamo che continuano le sofferenze. Continuano nel senso che sono un continuo con il nostro cuore taglia extra extra large (XXL per farla breve).
Ci sono aspetti del nostro personaggio da taglia forte che nessuno ha ancora compreso. A parte la contraddizione (se mai lo sia) di vivere tra molte sofferenze e cercare di descrivere l’amore, a parte vivere con persone che gli fanno solo del male in ogni istante e cercare di comprendere la loro storia, a parte amare sempre e oltre il possibile richiesto, rimane l’ultimo problema: vive in un mondo non suo dal quale va e viene timbrando un cartellino di presenza.
Figuriamoci se uno così non è del tutto pazzo!
Sapete, al tempo di quella missiva non sapevo ancora chi fosse il Capitano, eppure me ne avevano già tracciato un bello schizzo e sarebbe già bastato questo per poter dire al Cuore taglia M: grazie per la fiducia, ma sono impegnato. Si rivolga a qualcun altro!
Così sono stato via: ho viaggiato, nel senso dello spostamento del corpo. Un cantastorie in fondo è un viaggiatore che non rinuncia ai suoi viaggi. Così ho avuto l’opportunità di farne uno. Viaggiare, come dicevo, è un segno di libertà, di concretezza libera. Si viaggia per conoscere, i più viaggiano per conoscere gente. Mi ricordo un parente che viaggiava sempre. Tornava dicendo di avere amici americani, turchi, portoghesi e quant’altro ancora. Credo sia solo ora.
Alla fine uno viaggia veramente per fuggire da qualcosa o per incontrare qualcosa. Secondo voi, uno così, che vaga per il mondo in cerca di un incontro che gli confermi di essere vivo, di essere desiderato, compra il biglietto di sola andata? Io non credo. Credo, invece, che si scelga sempre un biglietto open A/R. Non si sa mai!
Invece io, rispondendo a quella lettera, ho staccato un biglietto di sola andata, come tutti i cantastorie e sono partito per un viaggio vero.

Ho scoperto alcune cose che mi hanno meravigliato; un giusto peso di dolore ha pagato la tariffa e a volte ho avuto paura di non riuscire a trasmettere, di aver rotto l’apparecchiatura, ho avuto il terrore di infilarmi a capofitto in un vuoto di spazio e tempo, tomba eterna delle emozioni.
Come per incanto, sono riuscito ad emergere.
Ah, scusate! Ma certo che non vi ho detto dove sto viaggiando: e dove secondo voi che conoscete questo cantastorie, se non nel mare !
Questo è il più grande regalo del Capitano, quando mi ha fatto conoscere il mare. Quando sono partito per la prima volta, dopo la prima lettera, sono davvero andato alla ricerca del Cuore taglia XXL, chiedendomi se ci fosse davvero, se qualcuno l’avesse davvero incontrato. Così, erudito dalle indicazioni datemi, sono partito per il posto in cui era più verosimile trovarlo: il mare.
Certo che il mare è proprio bello, sapete ? Più grande di lui c’è solo l’amore. Sfido io che gli ET vogliono far rotta sulla Terra. Perché, in fondo, la Terra è Mare ed il Mare è un grande gioiello fatato.

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Dicevo che avevo paura, come tutti i viaggiatori. Paura che il mare fosse troppo cattivo con me, invece, come poteva essere prevedibile e come è noto solo ai marinai, mi ha regalato incontri memorabili. Quanto amo, oggi, il mare.
Quando si lascia abbordare, accarezzare, che ti avvolge tutto, ti mostra segreti e tesori è proprio un dio benevolo. Anche l’amore, credo, è come il mare, con quel modo di accoglierti e con quella sua vitale forza travolgente.
Prima di partire ricevetti un’altra lettera, ancora insistente, che, forse, mi diede poi la vera forza di staccare il biglietto per quel viaggio.

Illustrissimo signor Cantastorie, mi permetto di cercarla ancora… La ringrazio innanzitutto per aver accolto la mia richiesta di ricerca, resto in attesa di sue notizie,certo del suo appassionato interessamento.

Ma non solo per questo la cercavo… Mi chiedevo se lei, esperto di cuori e affini,riesce ad incontrare solo i cuori che si raccontano, o se ha anche esperienza con quelli per esempio che non hanno nulla da raccontare, anche se avrebbero una gran voglia di colorarsi di un sacco di cose raccontose, oppure anche di quelli che non si sanno semplicemente raccontare, o anche di quelli più strampalati che non si riescono a raccontare solo con dei segni in bianco e nero su un foglio, che fanno un po’ fatica a tradursi in parole.

Lei possiede una tavolozza di colori? Perché, vede, forse lo saprà già bene, forse ha già avuto a che fare con cuori che si raccontano solo a colori, tipo le statuine tristi segnatempo, rosa e azzurre… Beh, le statuine segnatempo sono tristi, perché non possono mai decidere di che colore vestirsi, se piove sono azzurro triste e col sole rosa tristi. Se mi capita di incontrarle, spesso nei negozietti delle stazioni, vorrei sempre regalar loro almeno una scatola di pennarelli, che si pastrugnino un po’, che deve essere di una tristezza star lì, rosa e azzurro, azzurro e rosa, a vederti tutti i treni che ti partono via un tiro di sputo, e tu immobile lì, azzurro, rosa, azzurro. Questa non è una richiesta urgente e appassionata, solo un pensiero, se proprio non avesse che da trovar da occupare il tempo (cosa che non penso proprio le capiti mai), ma comunque veder di poter dare un po’ di speranza a queste povere creaturine da stazione, almeno farle viaggiare un po’, ogni tanto una carrozza speciale statuine, anche solo una gita al lago, sono anche in genere piccole e molto discrete di carattere, magari con una buona parola alle ferrovie…

Ma veniamo a noi. Fortunatamente non mi è capitato di nascere statuetta, ma ho la fortuna di potermi sentire addosso, di momento in momento, il colore che respiro, e ho la fortuna anche di non respirare mai azzurro e rosa triste. E quando i colori li respiri, ti restano solo dentro, non ti si squagliacchiano addosso che tutti ti vedono di che colore sei. Sì, a volte capita, che ti senti un camaleontello tutto verdoccio e vorresti solo nasconderti… Ma per lo più i colori ti restano solo dentro, li senti solo come profumi, e fuori si vedono solo i vestiti, sempre uguali a come li hai messi al mattino. E il guaio, anzi l’inghippo, sta proprio lì, in quelle volte che vorresti raccontarti a profumi e colori, ma non trovi nessun vestito del colore di nebbia gialla un po’ assonnata, o marroncino un po’ arricciato ma tranquillo, o blu schizzo scappo via nontoccateminonvogliovederenessunonessuno, o gialliccio acidiccio, che in verità sarebbe un vestitaccio che non se lo comprerebbe nessuno, piuttosto consiglierei di mettersi al collo un cartello di divieto di sosta, così uno lo sa, e fa meno impressione del gialliccio.

Anzi, forse tutti simili vestiti non se li comprerebbe nessuno mai, no, non ci vorrebbero vestiti, i tuoi colori si sbiadirebbero col sole, e tra i puzzi dei treni, e poi che ti interessa che tutti quelli che ti vedano sappiano che oggi sei proprio di un blu… No, non cerco vestiti

Solo che ogni tanto questi colori li senti talmente forti che vorresti proprio buttarli fuori, forse anche solo x vederteli tu stesso come ti stanno addosso, forse basterebbe anche solo una macchia, una pennellata di quel colore, e riusciresti a vedertici riflesso

Forse solo una tavolozza, signor Cantastorie, maneggiata da qualcuno che ci sa fare, forse basterebbero un pennello e un po’ di buone paste di colore Per riuscire a raccontare ad esempio quel grigio nebbia che mi traspira oggi, grigio limpido luminoso, un po’ argentato no non così, così sembra quello delle Fiat metallizzate, più … più … più satinato, meno lucido, ma non opaco; è la nebbia, col sole dietro un grigio silenzioso, ma che non ha nulla dell’immobilità, un grigio fine leggero, un grigio appena appena, provi ad aggiungere una puntina di bianco, ma che non sbatta in faccia forse… no così sembra grigio cemento ! Deve essere più trasparente, lo diluisca un po’ ma che non venga acquerellato, deve restare intenso coprente e un po’ granuloso, deve dare l’idea dei riflessi, del rilievo, della terza dimensione E’ un grigio in profondità, un banco di nebbia, capisce, non può piazzarmi lì sta roba tipo cacca di piccione ….

Oh, signore caro, Ha ragione. Lei è un Cantastorie, non un Disegnastorie e non un Mescolacoloriperbalzanerie Mi scusi tanto, sono riuscita ad inacidirmi anche con lei, e a farle perdere la sua enorme pazienza. Fermiamoci pure qui, la ringrazio infinitamente lo stesso, è stato disponibile fin troppo. La lascio libero ora, immagino che faccende urgenti l’attendano. Ma lei è tanto prezioso che, se acconsentirà a qualche altro tentativo, approfitterò sicuramente ancora di lei e della sua tavolozza. La prego solo di contattarmi appena dovesse rintracciare notizie del cuore a me molto caro di cui le raccontavo giorni addietro. Ossequi e molti ringraziamenti Cuore grigio

Non ce la feci tanto a sopportare tutto. Noi cantastorie siamo a dire il vero un tantino irascibili. Se uno canta storie prima di noi, ci arruffiamo un poco e ci viene la mosca al naso. Mi concedetti, allora una rispostina non molto benevola, ma piuttosto delicata tutto sommato. Avevo allora già sentito parlare del Capitano e sentito le sue storie, avvertito i suoi attimi di cortesia benevola che mi allietavano l’animo. Avevo ancora già appreso del blu del mare e allora mi permisi di essere un poco burbero ed iniziare davvero il mio grande viaggio:

Caro Cuore grigio, ma Lei lo sa che ha proprio un dono di confusionarsi ogni due per tre ? Le ravvivo i colori se è per quello. Se fosse, mio caro, solo per quello glieli volterei a meraviglia. Un tocco di rosso, una punta di giallo, un vermiglio sopraffino. Lei sa com’è! Lo vede quel mio amico Cantastorie coi fiori gialli; quello che gli è dato di volta l’etere e si è messo a tagliare orecchie. Ma si, ch’ella lo conosce ! Bene, quegli, sventurato, si era messo in testa che la vita fosse colore puro e, le dico, la tavolozza, lui, la sapeva usare. Eccome signore mio. Ma divago. Lei domanda se i colori che si aspirano si possono descrivere. Certo che si! Da dove, allora, prenderemmo noi gli sfondi per le nostre storie. Trovo assai spiritoso tutti quegli …icci, …gnicchi, …acci ch’ella mette a fianco di colori puri. Lei, mio caro Cuore grigio, mescola lo sfavillio del tono con il nero. Perdiana, dove lo trova tutto quel nero ? Lasci a casa propria il ladro di colori e provi a mescolare col bianco. Una tavolozza. Venga, signore, venga un po’ a vedere che bella tavolozza che ho qui. Ella non porrà mai il suo pennello finché esso è sporco di nero. Solo il blu è concesso. Il blu profondo del mare si arrangia bene per la nebbia dei nostri attimi. In quanto a quel suo Cuore taglia XXL ne ho sentito parlare di poc’anzi. Pare proprio voglia farla finita con la vita. Spero di rintracciarlo presto e mostrargli qualche storia. Magari di quelle con i colori. A risentirla caro Cuore.

Già, ho detto una bugia. Non ne avevo ‘sentito parlare’, del Cuore taglia XXL, l’avevo totalmente individuato!
Non osavo ancora riferire la sua identità e, tanto meno, il suo recapito. Sapevo che era quasi impossibile tener nascoste queste nozioni, ma non so come ci voleva un ulteriore passaggio prima di affidare le sorti di un viaggio di questa portata ad una Dama così flebile e leggera di sogni. Così disperata nelle richieste che la sua successiva lettera pareva un terremoto:

Richiesta urgente, signor Cantastorie, urgentissima…
una missiva: gli porta cortesemente questo grosso grosso grosso abbraccio al mio cuore XXL, lei che lo incontra spesso…
Non so se sia grande abbastanza per abbracciarlo tutto (ha presente le sue dimensioni…), ma è il meglio che ora sono riuscita a procurare. Mi rivolgo a lei perché ora piove e gli abbracci così grossi, lei lo sa bene pesano e si inzuppano. Io non ho ombrello e devo correre al treno…
La prego… per favore, solo per oggi, poi prometto prossimamente glieli recapiterò solo di persona, anche se, le confesso, faccio ultimamente un po’ fatica a rintracciarlo anch’io questo caro cuore…
Ossequi e ringraziamenti Suo cuore grigio-luminoso-unpo’blu

Treni, ombrelli, acqua da cielo: dove mai vivrà questa povera Dama ?