Dell’universo
Dell’universo
mi hai spalancato le porte
poi hai spento le luci
e te ne sei andata
incompiuta
è la sinfonia
che hai scritto per me
come una scarpa vecchia
trascino il mio dolore.
Chiese l’uomo
Chiese l‘uomo
al buon Dio
perché esiste il male?
non potevi crearci
tutti felici
tutti quanti buoni
e tutti tuoi amici?
ma il buon Dio
seduto sul suo trono
non rispondeva
guardava suo figlio
inchiodato sulla croce
e piangeva.
Tanto fragile ai miei occhi
Non una carezza non un bacio
non già perché tu non sapessi darne
ma perché nel vedermi piccolina
forse avevi timore di sciuparmi
tanto fragile ai tuoi occhi io parevo
or che nello sguardo tuo così profondo
lo stupore trasognato dei tuoi anni
scorgo (e il cuore più non ne sopporta il peso)
inutilmente mi affanno a consolarti
e vorrei compensarti con carezze
del tempo tuo fuggito inesorabile
ma mi ritrovo ferma a contemplarti
tanto fragile ai miei occhi ora tu pari.
Mattinata
Bianche le case
di calce protese sul mare
pigra la gente
si sazia di povere cose.
A un sospiro da me
Ti vedo
là ombra sul muro
mi parli
son spine i tuoi occhi
non sento
mi basta saperti
sei lì
a un sospiro da me.
Ottobre
Lacrime
asciugate dal vento
quel vento di ottobre
capriccioso e bizzarro
che fa cadere le foglie
e poi le invita a ballare
sui marciapiedi
fra i passanti
intorno ai lampioni
madre natura
le aveva illuse
dando loro i colori più belli
ogni volta che a suo piacere
diventa una pittrice naif
e per superare se stessa
si mette a dipingere
quadri d’autore.
Non tu Fabian
Non tu Fabian
non ora
non qui
altri pascoli ti attendono
dove non v’è più il male
perché tutto i male
ha assorbito la morte tua
non ora
non qui
altri prati ti attendono
dove non c’è più il sole
ma una luce più calda e più giusta
e se nella tua lunga corsa
ti sembrerà di udire l’eco
di una voce conosciuta
che ti chiama e che ti piange
ti fermerai per udirla meglio
ti volterai come facevi allora
e scruterai un orizzonte sconosciuto
riprenderai allora la tua corsa
felice
verso un punto lontano.
ORA VA’ AVANTI. RACCOGLIMI DEI FIORI
Qualcuno dice tuo padre sta morendo
e l’auto se ne va prima dell’alba
io corro verso te che stai aspettando
qualcuno dice tuo padre è morto
e l’alba nasce già senza di lui
io corro verso te che stai correndo
un attimo. Parliamone
ora tu ascolti, vedi, senti, intendi
non piango, le lacrime le lascio
a cose più terrene, è tempo di capire.
Aspetta. Ascoltami
e fermati un momento
come quando ero bambina e t’arrestavi
e indietro ritornavi e ti chinavi
ad allacciare ancora le mie scarpe.
Aspetta. Ascoltami
e se tarderai un poco
Lui non potrà mai biasimarti, credo
sei anche tu il padre
che ascolta le preghiere di sua figlia
e se entri nel Luogo dove i canti
intonati dagli angeli udrai.
cerca un posto per me
ma che ti sia accanto
e quando esci, spianami il cammino
certa non sono di non aver paura.
Ora va’ avanti, raccoglimi dei fiori
me li darai là, dove ci vedremo.
DEDICATO A STELLINA
Quando dovrò andare
nessuna aurora
interromperà la notte
capricciosa e selvaggia
m’accostai a te
e per amor tuo
mi feci schiava
ma se forte la nostalgia
avvolgerà i tuoi occhi
corri alla finestra
dove sempre t’ aspettavo
guarda verso l’orizzonte
e grida forte il mio nome
Quella voce nel buio
Aveva piovuto tutto il giorno e ai lati delle case scorrevano rivoli d’acqua che lentamente s’erano ingrossati ed erano scesi verso il viottolo che precipitava nella valle. La casa dell’uomo era fatta di tufi e si trovava proprio nella periferia del piccolo paese, un po’ distante rispetto alla strada principale, quella dove c’erano il municipio, la scuola elementare, la farmacia e l’abitazione del sindaco. Anche quella domenica, come era sua abitudine, l’uomo aveva pranzato a casa della sorella vedova che viveva poco lontano coi suoi bambini, poi era andato al bar per fare due chiacchiere con gli amici e infine, poiché la pioggia non ne voleva sapere di cessare, s’era infilato nell’unico cinema del paese che si trovava appena usciti dal vicolo, nella piazzetta dove sorgeva la chiesa del santo patrono. La locandina attaccata al muro era troppo bagnata dalla pioggia ed era impossibile leggere il titolo del film, ma l’uomo non se ne curò, e visto che alla cassa non c’era nessuno entrò direttamente nella sala. La prima cosa che lo colpì fu quella di essere completamente solo e di questo si rallegrò, perché così avrebbe potuto scegliere il posto migliore che per lui era sempre stato in prima fila; il tempo di posare cappotto e ombrello e nella sala si fece buio assoluto. L’uomo aveva ora un fascio di luce alle sue spalle proveniente da una piccola finestrella rettangolare, così mise gli occhiali che aveva nel taschino, tossicchiò, e mentre una melodia dolcissima iniziava a diffondersi nella sala, guardò verso lo schermo dove era scritto, in bianco e nero, il titolo del film. La prima scena mostrava un bambino bruno che non poteva avere più di sei o sette anni, e che correva dietro a un pallone nel campetto di calcio all’interno di una parrocchia in una splendida giornata di sole. Attorno a lui c’erano altri bambini impazienti di giocare, ma lui si comportava come se fosse solo, senza passare mai il pallone a nessuno.
Poi di colpo la scena cambiò e, sempre con le dolcissime note di una musica in sottofondo, si vide un povero mendicante che, seduto di fronte a una quercia secolare, chiedeva l’elemosina all’uscita di una chiesa.
Daventi a quell’immagine l’uomo rimase profondamente colpito e davvero non credeva ai suoi occhi:: si trattava della piccola chiesa del suo paese! Per una cercare conferma a quello che stava vedendo si guardò attorno, ma la sala era ancora completamente vuota. L’uomo allora rivolse di nuovo lo sguardo verso o schermo. Vide un giovane sui trent’anni che camminava nella piazzetta del paese e con immenso stupore mentre il cuore cominciava a martellargli nel petto riconobbe se stesso. Si, era proprio lui! Ancora incredulo tolse gli occhiali, si voltò di nuovo, questa volta verso il muro da dove proveniva il fascio di luce della pellicola. Anche lì non c’era nessuno, così, più spaventato che incuriosito, tornò a guardare il film. Vide di nuvo se stesso passare davanti a una vecchia gitana con le mani tese verso di lui, poi si vide di spalle, mentre si allontanava dalla piccola piazza.
Martino davvero non sapeva cosa pensare. Avrebbe voluto alzarsi per parlare con qualcuno, per chiedere cosa stava accadendo e perché proprio a lui… ma nel cinema non c’era nessuno. Iniziò a sentirsi come paralizzato per quella incredibile rivelazione di sé, ma rimase immobile, lì dov’era. Subito dopo la scena cambiò di nuovo. Vide la casa di sua sorella nel giorno di Natale di qualche anno prima. Era stato invitato a pranzo, come succedeva in tutte le occasioni importanti. E di nuovo vide se stesso mentre sedeva davanti alla povera mensa, ma notò anche il volto dei tre nipotini, delusi del fatto che nemmeno a Natale lo zio aveva portato loro dei doni. Perché l’uomo, che nessuno avrebbe potuto definire malvagio, non aveva il dono della sensibilità, né quello della gratitudine e dell’amore verso il loro prossimo. E, fatto ancora più grave, di questo non se ne era mai reso conto. A quel punto, deluso e infuriato senza sapere neanche nei confronti di chi, si alzò e andò sotto il fascio di luce.
- Ehi, c’è qualcuno lì? Ma che razza di film è questo? – disse.
Dal fascio di luce gli arrivò una voce. Chiara e limpida, ma decisa, come quella di un attore mentre recita una poesia:
- È il film della tua vita, Martino -
L’uomo non riusciva a credere alle proprie orecchie.
- Il film della mia vita? E chi sei tu che conosci tutto di me, persino il mio nome? E, soprattutto… cosa vuoi da me? -
La voce non tardò a farsi sentire ancora.
- Ho voluto mostrarti la storia della tua vita con alcuni episodi in cui avresti potuto fare qualcosa di positivo, ma non l’hai fatto –
Martino rimase di stucco anche perché, mentre parlava, le scene in cui lui era assoluto protagonista si susseguivano una dopo l’altra.
– Ma cosa avrei potuto fare, eh? L’elemosina a quel mendicante? Non avevo denaro con me quel giorno! E poi…- indicò lo schermo dove vedeva se stesso nella stanza di un ospedale, davanti al letto di una donna anziana.
- Anche quella volta lì… come avrei potuto andare più spesso a trovare mia madre se ero sempre oberato di lavoro? Se avessi avuto più tempo forse…-
- Ma non l’hai fatto – ripeté la voce.
L’uomo abbassò lo sguardo, perché davvero non ce la faceva a continuare a guardare le immagini che scorrevano sullo schermo. Poi, di colpo, così come era iniziato, il film terminò e la sala piombò nel buio più assoluto. Impaurito, Martino si alzò e corse verso l’uscita senza però riuscire a trovarla. Quando finalmente, dopo un tempo che gli era sembrato interminabile, la luce tornò, si accorse che contro il muro, una sopra l’altro, c’erano tanti scatoloni. Ne aprì uno e vide che era pieno di bobine con le pellicole di altri film. Ancora più spaventato uscì dal cinema e subito si accorse che anche lì fuori era completamente solo. La pioggia nel frattempo era cessata e nel cielo, tra squarci di nuvole in movimento, a tratti faceva capolino la luna, ma faceva anche freddo, tanto fredddo. D’istinto Martino portò i pugni chiusi alle labbra per scaldarli col suo fiato poi si voltò verso il muro del cinema. Sotto la luce fioca di una lampadina al neon, scritto con grande lettere rosse su fondo bianco, lesse il titolo del film che aveva appena visto: la voce della coscienza.
Da fianco scuro della montagna il vento aveva iniziato la sua corsa verso il paese. Martino sollevò il bavero del cappotto, mise l’ombrello chiuso sotto il braccio e lentamente scomparve nel buio della notte.