Poesie
POESIA D’AMORE
Se non fosse che t’amo
non saprei nemmeno il tuo nome
ma ti amo, credo, e da tempo
non abbastanza forse, vedi l’eterno…
Non so nemmeno cosa ti potrei offrire
non conosco il mio amore
e straripo d’errore.
Ma tu sei tu che voglio
non so come, non so dove, non so quando
ma ti voglio così tanto
talmente tanto
che non me ne ricordo.
Sei una nobile pianta che germoglia nel mio cuore
Tredici, sei e altri numeri che non riesco a decifrare
c’è anche del sette, del tanto sette
talmente tanto sette che mi mette sete
ma non v’è alcun problema
tu sei un abisso di cose segrete.
Tradotto in soldoni questo amore è un oceano
talmente sconfinato che non vi sono annegato
tu mi centrasti ma non m’hai abbattuto
sono vivo per miracolo e sono fottuto.
Qualcuno giocherà questi numeri
vincendo l’invincibile
nel caso io perderei tutto
anche te, tanto so che se vai
non verrai senza me
senza te, senza noi
Sei troppa per averti
ma sei tutto per amarti.
Foglia verde, non ti vedo da una vita
Sei cresciuta? Sarai morta, appassita e rifiorita
non mi stanchi e non mi manchi
non ti vedo e non ci credo
posso solamente amarti.
È tutto ciò che mi concedo.
CRISTO NEL KIMBERLEY
Gesù Cristo, impalato su di un baobab non poté capacitarsi della sconfinatezza
di questa terra rosso mestruo polveroso, sprofondando verso l’alto
si trovò a tu per tu con il cielo nero puntinato d’infinite stelle ed esclamò ululando
una frase strozzata e senza senso, se vista con gli occhi della ragione.
Lo incontrai per la mia via, era nero come il carbone, scottato da secoli e millenni di sole e nudità.
Non mi vide nemmeno ma colse la mia ombra che strisciava sugli arbusti.
La riplasmò come fosse terracotta, ma cotta a tal punto da ardere
e sbriciolarsi al suolo tra le dune e le spine.
Nella sua apparente insignificanza egli era il centro del mondo, perlomeno del suo.
Era semplicemente lì in quel medesimo istante, null’altro.
Non so nulla di lui, se non che moriva e resuscitava ogni giorno al tramonto e all’alba
tra i ruggiti delle zanzare e il ronzio dei dingos assetati d’immondizia ed amore negato.
Un giorno moltiplicò i pesci ed i granchi e trasformò l’acqua in birra in lattina
per i suoi fratelli deambulanti che danzavano inebriati ogni notte
fino al ritorno del dannato sole che ustionava la terra evaporando il liquido dei radiatori.
Quando incontrò il serpente nel deserto se lo fece attorcigliare addosso
godendo della sua consistenza viscida e della morte anticipata dei ratti
che popolavano il tetto del suo tempio, dove i fedeli portavano i cani a fare la cacca
recitando rosari a un comune feticcio ligneo raffigurante sé stesso
candeggiato e lucidato alla perfezione.
Qualcuno afferma di averlo più volte visto cavalcare un coccodrillo di notte nel cielo
tra i milioni di anime dannate che l’affollano vagando nervosamente senza meta né scopo.
Si dirigeva forse verso quell’unico faro bianco che noi chiamiamo luna
e lui chiamava semplicemente madre.
Un giorno lo vidimo sfrecciare via lontano tra whisky e musica dell’uomo bianco, santo pioniere.
Il suo corpo nero e secco rimase con noi ma lui non c’era più.
Poco ci importa.
Ce ne sono già troppi di Gesù.