Una sera qualunque

Avrei voluto essere li, con te, guardarti negli occhi e restare in silenzio ad ascoltare il tuo cuore. Poi, però, qualcosa è cambiato, tu ti sei voltata a guardare l’arrivo di questa nuova primavera e hai distolto lo sguardo da me. I tuoi occhi li hai diretti verso gli ultimi capricci di un inverno arrivato alla fine e non ne hai avuto più alcuna paura, hai detto soltanto, anzi no, ora a pensarlo, non hai detto proprio nulla e la sera ci ha allontanato. Ti sei incamminata senza voltarti ed io sono rimasto da solo a indirizzare lo sguardo verso di te, consapevole che tu non ti fossi voltata, solo una fioca speranza in me voleva che questo accadesse, però non è andata così e la malinconia allora mi ha sopraffatto. In me soltanto un senso di vuoto, neppure uno spiraglio di luce davanti, allora ho alzato la testa verso i lampioni che solitari e seminascosti dalle fronde degli alberi rilasciavano una flebile luce su strade che si diramano quasi senza ragione, in questa città già preparata alla sera. Sono rimasto ancora immobile, tu non ti vedevi più ormai già da qualche minuto e solamente il suono di un clacson mi ha riportato alla ragione reale di quei momenti che avrei certamente voluto non accadessero. Ho messo le mani in tasca e i pugni le hanno gonfiate, non ho trovato sollievo per questo e mestamente sono tornato indietro chiuso in mille pensieri. Non ho capito il perché tutto questo è successo, quali cause ci hanno portato a perderci su sentieri che noi credevamo fossero amici, poi si è alzato un po’ il vento e ho tirato su il bavero del mio giaccone e mi sono raccolto chiudendomi in esso. Ho guardato in terra cartacce che si disperdevano ovunque insieme a foglie impazzite e la pioggia d’un tratto ha iniziato a cadere. Allora sono entrato in un Bar per ripararmi e bere un caffé, quelle luci all’interno però davano quasi fastidio per quanto fossero forti e così sono subito uscito per nascondermi ancora nel buio che la strada sa dare. Ho guardato in su l’acqua che martellava il mio volto e non mi sono curato nemmeno di cercarmi un riparo, non ne ho sentito il bisogno, volevo soltanto schiarire le idee e sotto la pioggia mi è sembrato potesse accadere. I rumori di auto che andavano quasi tutte veloci come a voler accelerare il tempo per sbrigarsi e togliersi da sotto quell’acquazzone inatteso, mi hanno riportato alla giusta realtà e anche la gente che andava di fretta sembrava disorientata e spaurita da ciò che accadeva. Il mio pensiero allora si è allontanato ancora di più e non mi sono più preoccupato di nulla perché in quel momento ho pensato: io quel che dovevo l’ho fatto. Subito dopo, così come era iniziato, all’improvviso è smesso di piovere e tutto a un tratto la mente come d’incanto si è liberata dal giogo che solo l’amore sa mettere a chi è innamorato.


Ho fatto un sogno

 

Ci sono cose che non riusciamo a rendere comprensibili con la razionalità con cui normalmente dovremmo, così, come neppure so spiegare il perché soltanto alcune volte io riesca a ricordare i miei sogni. Normalmente a me non accade, non li rievoco quasi mai, il mio inconscio non lo concede, tuttavia questa notte ne ho fatto uno e al risveglio stranamente è rimasto ben impresso nella mia mente. Di solito questo succede sempre quando il sogno si fa premonitore di qualcosa che si è appena compiuta o subito prima che la stessa possa avvenire. Ho sognato che eravamo di nuovo insieme, in una stanza della mia casa, tu eri seduta su una sedia accanto alla finestra con il corpo proteso verso di me ma con la testa rivolta a guardare fuori e rimanevi in silenzio. Di tanto in tanto ti voltavi per guardarmi negli occhi mentre io mi trovavo in piedi di fronte a te. A guardarti, avevi un’espressione buia, direi vuota, con lo sguardo perso e rivolto lontano, oltre i vetri, come a voler dimenticare qualcosa avvenuta da poco. Il volto però non mi è sembrato triste, ma spento e perso al di la delle cose. Io ero vicino a te, a parlarti di noi, delle storie di un tempo ormai già passato e tu non mi prestavi molta attenzione. Di tanto in tanto prendevo il tuo volto tra le mie mani accarezzandolo dolcemente mentre tu mi guardavi senza mostrare nessuna reazione apparente, solo con rimpianto direi. Questo gesto l’ho ripetuto più volte mentre si continuava a conversare fra noi. Non ricordo però nessuno degli argomenti toccati, come nessuna delle parole pronunciate al risveglio è rimasta scolpita nella mia mente. Rammento soltanto quel volto avvizzito, quasi senza espressione, sciupato da un dolore interiore e teso a qualcosa che non so riconoscere, solo reminescenze passate e mai più rivissute, e che tu eri li, sola con me a guardare smarrita nel nulla, senza avere più quella dolce espressione che ricordavo di te. Non ti vestivi più di quella vivacità spumeggiante, quella voglia di vivere come una volta, quando arrivavi a valanga così impetuosamente, da sembrare un ciclone che si abbatte sul mondo per donarmi un sorriso o un abbraccio che per me erano beni preziosi. Al risveglio ero molto turbato e tutto sudato, solo allora nel rendermi conto è salita l’angoscia dentro di me, cosa mai ti è successo, quale evento è avvenuto o dovrà ancora accadere, per fare in modo che io ricordassi proprio quel sogno e non altri. La mia percezione è stata quella di sempre, come ogni volta che si presenta qualcosa che non dovrebbe… ma accade, e adesso! Come faccio a capire quell’ansia, tutte quelle inquietudini manifestate dal tuo sguardo incapace di parlare, senza più alcuna espressione, rivolto solo verso di me come ad annunciare fra poco un evento e a cercare un aiuto che io non so dare! Cosa mai ti sta succedendo! Cosa devo aspettarmi da quel sogno che non avrei voluto sognare!


Illusioni di un attimo

Buongiorno a te… senza nome. Sono qui a pensarti, proprio in questo momento che mi trovo al lavoro, in questa grande città che non si sopporta e seppure qui a Roma oggi non è così caldo, non si respira ugualmente e non si riesce ad uccidere neppure la noia. Da te invece, il tempo che fa? Come si presentano oggi le tue gentili colline… e le vigne all’intorno? Credo siano ormai gonfie di grappoli dagli acini di mille colori che pendono fin quasi a terra e riempiono di gioia lo sguardo di chi è fortunato e li osserva. E l’aria è così profumata di quegli odori speziati come lo è il finocchio selvatico, come le foglie di menta che si raggruppano ai lati di un sentiero campestre, e magari c’è anche del rosmarino che sbuffa in modo disordinato e fiorisce negli angoli più disparati del campo? E i papaveri, ce ne sono così tanti da riuscire a spezzare con il loro rosso colore tutta quella monotonia di un verde che già di per se riesce a distendere i sensi? Accanto, poco più in la, che fa lo spaventapasseri che adesso può anche distrarsi perché la calura sui campi di grano appena tagliati ne attenua il lavoro e gli uccelli non hanno più di che beccare per arrecare dei danni? Già lo vedo guardare lontano con quell’aria triste a cercare qualcosa che non può arrivare, tanto meno riuscire a vedere, perché è fatto di paglia e così non può neppure sognare. Io è in questo modo che immagino quelle piccole alture che ti circondano e incorniciano il paesaggio dove alla sera i boschi si fanno più scuri e distendono ombre porporine su chi si attarda ad uscire dai rami distesi così pienamente, come a voler abbracciare il tramonto che silenzioso arriva come ogni giorno. Le case, con mia la mente adesso le vedo che già si illuminano e la gente rientra nelle abitazioni per unirsi al pasto della sera insieme alle loro più care persone, le quali con tranquillità dialogano alla fine del giorno per raccontare ognuno di se. In città, questo privilegio più non lo abbiamo, corriamo fin dal mattino presto per rincorrere un autobus, per aggrapparci ad un tram che stride sulle rumorose rotaie che a guardarle girano in tondo. Restare prigionieri dentro un groviglio di auto che sembrano avere smarrito anche la strada, dove ognuno è preso dalle proprie inquietudini e non guarda più il vicino, non sa nemmeno da dove egli proviene. Anche alla sera, che dovrebbe attenuare le ansie, tutto corre più in fretta e la notte arriva sempre all’improvviso, seppure già poco prima annunciata. La cena per noi cittadini si riduce soltanto a un pasto frugale e veloce, poi via, davanti al televisore e i ragazzi al computer o a smanettare sul telefonino. Il dialogo così muore ogni volta e sempre più spesso non ci si incontra più nemmeno in casa, tanto è il da fare che ognuno di noi si è creato. Tutto ciò sono solo illusioni e la vita intanto scorre veloce davanti a volti sempre più tenebrosi, sempre più spenti, dove la solitudine diventa la sola compagna più cara e seppure ti trovi in mezzo alla gente, ne senti l’angoscia comunque… e ogni giorno aumenta sempre di più. Non farci caso, sono solo i pensieri di una mente ormai disordinata e confusa, che non trova più alcuna ragione per restare a vivere in questa città millenaria che è bella, sì, ma che non fa vivere più. La mia mente voleva solo regalarsi l’illusione di te e di un giorno sereno che puoi vivere tu!


Sogni confusi

Ci sono notti che riesco a ricordare meglio di altre ciò che nel sonno mi accade. Una volta ho sognato di camminare in un parco a piedi nudi, stranamente non c’era nessuno e non si udiva neppure alcun canto di uccelli all’intorno. Che strano mi chiesi, nemmeno un rumore, nessun sassolino o rami schiacciati al passare di piedi che avanzano incerti senza avere neppure una meta. Sentivo tutto ovattato, come fosse rallentato dal tempo, il quale appariva passare più lesto del soffiare del vento, ancora di più di un veloce aeroplano e così da rallentare perfino il pensiero. Arrestai di colpo il mio passo confuso, l’incedere vago dettato dal nulla, e mi accorsi di essere ormai arrivato in un posto a me ignoto. Alberi grandi e maestosi, cupi però, come oscura può essere solo la notte più nera, ma non ebbi alcuna paura, anzi, cercai di capire quello strano momento, quelle ombre più oscure di un nero mantello. Cosa stessero nascondendomi fu la domanda più ricorrente nella mia mente che non capiva, ma non riuscivo a vedere più in la del mio naso, ad un palmo oltre la mente, cosa fosse nascosto ai miei occhi, quali cose non avrei dovuto vedere. Mi sforzai nel cercare di uscire dallo stallo raggiunto, da quella strana impossibilità di poter avanzare e lasciarmi così, quella oscura visione dietro di me. Ogni sforzo però sembrò vano e l’affanno fu l’unica cosa provata al momento. Pochi passi e improvviso ecco un chiarore liberarsi fra i rami, i quali sembravano tender le foglie come fosse una mano protesa per aiutarmi. Finalmente, pensai, questo buio è finito, tutto torna ad esser normale e la luce farà ritornare il giusto equilibrio dentro di me. Mi avviai confortato verso quel chiarore improvviso, nella direzione di quella luce che sembrava indicare finalmente il giusto cammino. Mi spinsi ancora più avanti seppure con un po’ con timore ed arrivai vicino a quei rami che lasciavano filtrare dei raggi. Giunto proprio sotto di loro, mi colse un’improvvisa armonia che pervase il mio cuore. Mi fermai nuovamente, questa volta la pace finalmente arrivò dentro di me per mettere fine alle mie inquietudini finora provate. Non sentivo più nulla, solo il riposo dell’anima e un benessere strano, non ancora provato, un qualcosa che non riuscirei a descrivere per farlo capire. Tornai ai miei pensieri che finalmente avevano riacquistato la voce e guardandomi intorno, questa volta udii anche dei canti di uccelli, bambini gioiosi gridare e rincorrersi. Ora tutto era di nuovo tornato alla luce reale, come essa deve essere e alla fine recuperai anche la mia rettitudine. Adesso il mio sonno era sereno e quel sogno poteva ancora continuare, ma all’improvviso ecco un sordo rumore, proprio nell’attimo in cui ero riuscito a ritrovare nella luce il cammino. Quel rumore improvviso mi aveva svegliato, così come aveva interrotto quella visione, proprio quando ero stato salvato da qualcosa che non riuscirò più a ritrovare e capire, come non potrò mai più vedere cosa ci fosse una volta arrivato e superata la luce. Che strano! Certe volte riesci a sognare in modo migliore, ma non sempre sei in grado di poter ricordare e dare un senso a quella visione.


 

L’ albero della vita
Attraversando la mia vita, arrivai un giorno nei pressi di un campo. Da ogni parte mille colori lo circondavano e alberi maestosi ombreggiavano i bordi di poderi già coltivati. Taluni si mostravano traboccanti dell’oro del grano maturo, altri invece tappezzati da ogni specie di fiori di campo e un intenso profumo di rosmarino selvatico aleggiava all’intorno. Questo campo, a guardarlo invece era spoglio, quasi senza vita e niente su di esso nasceva. Mi fermai per guardarlo con più attenzione e colpito… cercai di capirne il perché. Si presentava arido e ai miei occhi, incolto ed abbandonato, lasciato nel tempo a tutti coloro capaci solamente di calpestarlo.
Per un attimo indugiai quasi smarrito, guardai attentamente tutto intorno e per come era ridotto capii che non doveva più appartenere ad alcuno. Qualcosa dentro di me però suggeriva che avrei potuto fare qualcosa per aiutare quel podere così trascurato. In quel momento trovai il coraggio di osare e con profonda umiltà chiesi allora al campo il permesso di seminare, ma lo feci così rapidamente senza neanche rendermi conto, se mai, ne avessi le capacità di poterlo fare. Dal campo però non ricevetti nessuna risposta, come ad indicare soltanto indifferenza. Per un attimo trattenni il respiro e rimasi anche esitante, poi, con il tacito assenso mi decisi e iniziai a recintarlo. In qualità di contadino, di colui il quale sappia seminare, di come va trattato un terreno incolto, non ne avevo nessuna esperienza in quanto tutto mi si era presentato semplice nella vita fino a quel momento. Non avevo mai avuto la necessità di lottare per ottenere qualcosa che avrei voluto veramente, ma questa volta però mi resi subito conto che tutto era diverso. Non si mostrava affatto un compito facile: “Restituire la vita a qualcosa di sterile che si era già arresa”. Pur tuttavia, trovai la determinazione necessaria e iniziai coll’estirpare tutte quelle erbacee che da tempo dominavano incontrastate e provai subito la sensazione che intimamente quella terra infine potesse appartenermi. Quando il campo fu completamente ripulito e preparato, lo arai profondamente fino a cancellare totalmente tutte le tracce di chi era stato capace solamente di calpestarlo. Sparsi poi del concime per rendere finalmente fertile quello sterile terreno e quando lo ritenni pronto lo seminai con cura ed amore, proteggendolo da tutti quegli animali che volevano solo beccarne i semi. Lo irrigai tutti i giorni con acqua pura di sorgente aspettando senza mai stancarmi che il mio lavoro potesse dare quei frutti tanto sospirati. Ci volle ancora del tempo per vedere spuntare i primi germogli e dopo continuai ancora ad averne cura fino a quando diventarono piante dai frutti meravigliosi e fiori che si mostravano nei loro stupendi colori. Aspettai con pazienza che i frutti maturassero, andai avanti a vigilare per tutta la primavera e infine… finalmente arrivò la mia estate. Frutti e fiori potevano finalmente essere raccolti e soltanto allora mi fermai a guardare appagato per gli effetti del mio duro lavoro. Un giorno che non mi aspettavo, improvvisamente delle nubi scure e minacciose si addensarono avvicinandosi impietose, così in fretta, da non lasciarmi neanche il tempo di poter fronteggiare quelle forze della natura che: con la grandine, si abbatterono distruggendo in un solo attimo tutto il lavoro speso negli anni. Non potei che restare a guardare senza alcuna possibilità di reagire a così tanta furia e sventura, abbattutesi prive di misericordia su ciò che ero riuscito a fare mio. E anche dopo, passato l’ uragano, i pochi frutti che fui capace di salvare mi furono rubati e alla fine… la mia terra tornò ad essere come l’avevo trovata: “Incolta, arida e calpestata”. A seguito di tutta quella sventura le forze mi abbandonarono nel vedere intorno a me tutta quella desolazione, ma inaspettatamente in un angolo semi nascosto del campo, tra i rami spezzati, un nuovo germoglio, forse sopito nel tempo… Era nato. Fu proprio quell’uragano ad essere in grado di risvegliarlo in mezzo a tutti quei detriti e quel fango ed ora… Soltanto il passare del tempo potrà dimostrare se un giorno riuscirà a diventare un nuovo albero dai frutti meravigliosi.


 

Sogni confusi

Ci sono notti che riesco a sognare meglio di altre e ricordo i miei sogni. Una volta ho sognato di camminare a piedi nudi in un parco, stranamente non c’era nessuno e all’intorno non si udiva neppure alcun canto di uccelli. Che strano mi chiesi, nemmeno un rumore, nessun sassolino schiacciato al passare di piedi che avanzano incerti, senza avere neppure una meta. Tutto ovattato, come rallentato dal tempo, il quale appariva passare più spedito del vento, ancora di più di un veloce aeroplano e così da rallentare anche il pensiero. Arrestai di colpo il mio passo confuso, l’incedere vago dettato dal nulla, e mi accorsi di essere ormai arrivato in un posto a me ignoto.
Alberi grandi e maestosi, cupi però, come oscura può essere solo la notte più nera, ma non ebbi alcuna paura, anzi, cercai di capire quello strano momento, quelle ombre più oscure di un nero mantello. Cosa stessero nascondendomi fu la domanda più ricorrente nella mia mente, ma non riuscivo a vedere più in la del mio naso, ad un palmo oltre la mente, cosa fosse nascosto ai miei occhi, quali cose non avrei dovuto guardare. Mi sforzai nel cercare di uscire dallo stallo raggiunto, da quella impossibilità di poter avanzare e lasciarmi così, quella oscura visione dietro di me. Ogni sforzo però sembrò vano e l’affanno fu l’unica cosa provata al momento. Pochi passi e improvviso ecco un chiarore liberarsi fra i rami, i quali sembravano tender le foglie come fosse una mano protesa per aiutarmi. Finalmente, pensai, questo buio è finito, tutto torna ad esser normale e la luce farà ritornare il giusto equilibrio dentro di me. Mi avviai confortato verso quel chiarore improvviso,
nella direzione di quella luce che sembrava indicare il giusto cammino. Arrivai sotto i rami che lasciavano filtrare dei raggi e giunto proprio sotto di loro, una pace improvvisa pervase il mio cuore, mi fermai nuovamente, questa volta la quiete arrivò fin dentro di me, non sentivo più nulla, solo il riposo dell’anima e un benessere strano, non ancora provato, un qualcosa che non riesco a descrivere per farlo capire. Tornai ai miei pensieri che finalmente avevano ritrovato la voce e guardandomi intorno udii dei canti di uccelli, bambini giocosi gridare e rincorrersi, ora tutto era di nuovo tornato alla luce, come il reale deve essere e ritrovai finalmente la mia rettitudine. Ora il mio sonno si era fatto tranquillo e il sogno poteva ancora continuare, ma all’improvviso un sordo rumore, proprio nell’attimo in cui ero riuscito a ritrovare la luce. Quel rumore improvviso mi aveva svegliato, così come aveva interrotto quel sogno, proprio quando ero stato salvato da qualcosa che
non riuscirò più a ritrovare e capire, così come non potrò mai più vedere cosa ci fosse una volta arrivato e superata la luce. Certe volte riesci a sognare in modo migliore, ma non sempre sei in grado di poter ricordare.


 

A volte i pensieri funesti sono fugati e torna il sole ad abbellire questa giornata.
Le nubi finalmente, per oggi hanno deciso di allontanarsi e tutto d’un tratto ritorna alle banalità quotidiane. Le scritte sui muri ora sembrano un po’ meno sgraziate, meno sporche di prima. Dio! Quanta vita è passata dentro di me, quanta strada percorsa. Parole confuse, frasi disordinate, ritornano tutte e stranamente ora hanno più senso. Lontani, divisi dagli anni trascorsi a rincorrerci, ma nella mente uniti per sempre, e tutto ora assume un sapore diverso. L’amarezza però non scompare, essa ha scelto dimora nei nostri cuori e dentro di noi… la tempesta. Dio! Quanto amore è passato dentro di me, quanti giorni gioiosi da ricordare, ma mille sguardi immorali ora sono in agguato, quante donne ci sono in cerca di un uomo. Fare finta di niente in questa vita che ci consuma in fretta davanti a mille occhi invadenti che ti scrutano a fondo senza alcuna misericordia. Dio! quanto dolore dentro la mia anima inquieta, ora esplode senza nessuna indulgenza e mi tiene sveglio nelle notti che non vogliono finire mai. Incancellabili sono i ricordi di allora che riempiono tutti gli anfratti della mia mente. Non c’è più posto per nuove idee, ne un po’ di spazio per custodire le voci che riportano stanche parola ormai dette e ridette, senza avere più alcun senso e perdute nel vuoto dell’infinito. Dio! Quanto tempo è passato da allora, quante emozioni ormai trascurate e in qualche parte, lontana, man mano, una luce dopo l’altra si spegne sui viali del cuore. Il buio ora è sceso improvviso e i dolci ricordi non vi passeggiano più. Soltanto sogni angoscianti a ballare una danza spettrale e sembrano prendersi gioco di me in questo tempo che cambia in ogni momento,
dove io non mi riconosco. Dio! Dove sono finite tutte le gioie che solo ieri mi appartenevano e oggi invece non fanno più parte di me? Dove è finito tutto quell’amore traboccante di allora e riverso verso di me? Ormai non rimane più tempo per pronunciare ancora frasi che abbiano un senso compiuto? Adesso rimangono solo alcune parole ostinate, pronunciate soltanto per colpire e ferire a morte il mio cuore.