Ho visto (Elisa Delucchi, 2014)
Ho visto lo sguardo di un bambino
nutrirsi di ogni immagine,
di ogni gesto,
di ogni espressione,
nell’intento di crescere.
Ho visto lo sguardo di un uomo
scrutare
attraverso il buco della serratura
avido di certezze,
desideroso di speranze.
Ho visto gli occhi di un vecchio
incorniciati dal groviglio delle strade percorse
li ho visti fissare un orizzonte sempre più vicino
con la consapevole triste gioia
che ogni interrogativo
relativo all’ignoto futuro
sta per essere svelato.
Parole (Elisa Delucchi, 2015)
L’essere umano ha bisogno di raccontare, di dare un senso alle proprie esperienze, alla propria vita, condividendola con i propri simili.
Lo ha fatto da sempre: ha urlato nelle agorà le proprie convinzioni, ha espresso i propri bisogni e ha ironizzato sulla propria e sull’altrui condotta suscitando il riso. Poi, ha scritto, ha scritto molto per lasciare un segno indelebile di sé e delle proprie emozioni.
Gioie, amori, tristezza e depressione, trasformate magistralmente in parole che, accomodate con dolce compostezza sulle pagine di taccuini sgualciti o vomitate con arroganza, nascondevano sempre la stessa speranza: la speranza di essere lette, sentite, condivise.
Come urla strazianti, come grida d’aiuto, come voglia di dichiarare a tutti un amore o un dolore troppo grande per rimanere imprigionato in quel piccolo anfratto che è il cuore umano.
Un bisogno forte, prepotente che ha invitato a scrivere parole destinate, nella maggior parte dei casi, a rimanere in un cassetto, nascoste, incomprese, prigioniere di quaderni poco interessanti, destinate a sbiadirsi nel tempo, comunque importanti e liberatorie per chi, con ardore e speranza, con amore e dolore, le ha partorite.