NULLA (Elisa Delucchi, 2006)

La sveglia! Maledetta! La sveglia ha interrotto un sogno bellissimo che stavo facendo! Ne sono sicura… Non riesco a ricordarlo! Provo a chiudere gli occhi, penso… niente!

Il tepore che riscalda il mio corpo sotto le coperte sembra avermi stregata…dalle fessure della tapparella e cerco di vedere se fuori c’è un po’ di luce o è ancora tutto buio…E’ buio! Mi rigiro sotto le coperte e una lieve brezza gelata percorre il mio corpo partendo dal collo, arrivando fino all’osso sacro. Sacro… Quante volte mi sono chiesta perché si chiamasse così, eppure non avevo mai cercato spiegazioni… ci sono della cose nella vita che un momento sembrano avere un importanza grandissima, quasi determinante e poi, improvvisamente, appena ti volti e vedi un’altra cosa puf! Scompaiono. Te le ritrovi di fronte altre mille volte e, magari, altre mille volte ti sembrano importanti ma c’è sempre qualcosa che si sostituisce a loro sul podio dei tuoi interessi e rimangono piccoli misteri irrisolti.

Irrisolti! Quante cose si lasciano irrisolte nella vita! Ricordo che spesso mio padre mi accusava di iniziare tante cose e di non portarne a termine una! Innegabile! A volte mi sentivo sconfitta da questa realtà ma negli anni mi sono resa conto che forse non basterebbe una vita per portare a termine in modo del tutto compiuto anche il più semplice progetto.

Agli occhi di chi mi conosce meno, però, io sono una che realizza tanto! In effetti… Laureata con il massimo dei voti, ho tante persone che mi vogliono bene, amici quanti basta… insomma tutto! E se uno ha tutto in qualche modo deve pur esserselo guadagnato! No?!

Si! Ora sono carica ora mi posso alzare e rincontrare il mondo di sempre quello che ogni maledetta mattina mi strappa da un bel sogno e mi ributta negli impegni, nei pensieri e nelle responsabilità!

E’ tardi! Come sempre! Mi sembra di stare nel letto un secondo ed invece sono passati quindici minuti! Mi alzo dal letto i miei piedi si infilano veloci e scaltri nella comoda e calda tana delle ciabatte azzurre che ogni sera puntuali li lasciano uscire e ogni mattina li aspettano per accompagnarli in bagno…

Mi lavo, mi vesto mentre la macchinetta del caffè si lamenta sempre più forte finchè non corro a consolarla e per premiarmi di questo gesto di bontà mattutino mi regala l’aroma e il gusto del risveglio. La caffeina percorre la mia essenza e… finalmente mi sveglio!

Come ogni mattina, da un mese, non ho nulla da fare! Mi siedo davanti al computer e inizio a stampare il mio curricolo per inviarlo alle varie aziende… Fingo di essere impegnata di avere mille progetti… In realtà mi sento svuotata…

Dopo tanti sforzi ho finalmente raggiunto la mia laurea. A pieni voti ho soddisfatto le aspirazioni di parenti e genitori… le mie! Eppure il destino si è preso gioco di me… Mi ha confermato che sono diventata grande, che non è più il tempo di temporeggiare di progettare un futuro lontano con la tranquillità di chi sa che quei progetti arriveranno tra anni…No! Lui non ha aspettato che pochi giorni e poi… Eccolo! Spietato! Mi ha detto a chiare lettere: “ora non mi devi più rispondere alla domanda cosa farai da grande! No! Ora sei grande! E devi rispondere ad un’altra domanda che cosa stai facendo?”.

Nulla!

Nulla è una parola che i ragazzi con cui sono cresciuta nel periodo dell’adolescenza e con cui tuttora trascorro ore piacevoli non usano! Benché sia italiano questa parola si usa tanto in Toscana e veramente poco nei Paesi dell’Italia del nord. Il Nord… io vivo al nord… tra tutti i punti cardinali è sempre stato quello che mi affascinava di meno… io amante dichiarata dell’agosto torrido, del caldo insopportabile, il nord lo avevo sempre associato al freddo. Avevo sbagliato! Vivo da anni un una cittadina dove l’estate comincia ad aprile e finisce a novembre e parlo dell’estate intesa come bagni al mare, costumi e latte solare… Il latte solare! Quante volte da piccina mamma me lo aveva spalmato sulla schiena. Vivevo quel momento come un supplizio che mi allontanava dall’unico improrogabile impegno: la ricerca dei granchi! Poveri!se solo avessero saputo! Forse loro lo sapevano… infatti scappavano. Già! Mio cugino dopo averli catturati staccava loro le chele per paura che lo pizzicassero e li infilava nel secchiello… io lo accompagnavo nella sua ricerca armata di retino e secchiello convinta che un giorno sarei diventata anch’io un’abile cacciatrice… Quel giorno non venne mai! Avevo veramente paura di quei poveri animaletti ed ero convinta che ogni volta che correvano veloci non lo facessero, come diceva mio cugino, per scappare ma nella mia mente essi preparavano un contrattacco e di solito era indirizzato ai miei piedi. Correvo via urlando e, quante volte, preda della scoordinazione dovuta alla paura, ho fatto cadere il secchiello pieno di granchi! In quel momento tra le grida di mio cugino prode guerriero la vittoria di quel esercito di mutilati era sancita! Ed io colpevole della triste sconfitta ma, salva, correvo dalla mia mamma a mangiare la mia fettina di pane e pomodoro.

Il pomodoro… Non so esprimermi sull’America, nazione interessante, poliedrica, piena di contraddizioni, esempio della più grande democrazia di tutti i tempi dove forte è la sperequazione delle ricchezze , dove le multinazionali regnano sovrane, dove la pena di morte viene riconosciuta come giustiziera dell’illegale comportamento degli uomini. Quello che so è che Cristoforo Colombo ha scoperto una Nazione ma, soprattutto, ha importato il pomodoro… Frutto succulento che nutre lo sguardo, croccante fuori e sugoso dentro… Ricordo ogni volta che lo azzannavo nell’orto di nonno… O che lo mangiavo d’estate sul terrazzo seduta sulla sedia di plastica rossa ma non rossa come il pomodoro, lei era come diceva sempre nonna “cotta dal sole” e si era sbiadita tanto da essere in alcuni punti rosa. Su di lei guardavo, mentre mangiavo, il castello medievale. Il mio paese! o meglio, quello di mia mamma… Io ero nata al nord in una giornata di pioggia, fredda ma ero cresciuta lì, dove tutti dicono “nulla” e dove per un bel po’ di tempo ho creduto che avrei vissuto.

Niente è come si crede… niente è come si crede da bambini per lo meno! Quante volte ho guardato il cielo… e quante volte il cielo mi dava delle risposte! Sempre! O quasi… e ora… Nulla! Non solo non trovo più risposte nel cielo ma aihmè non le trovo propria da nessuna parte.

Quando ero una bambina chiedevo fino all’esasperazione ai miei genitori il perché di tutte le cose e, loro,come due grandi incredibili pozzi di sapere avevano sempre una risposta… loro sapevano davvero tutto! E io… nulla! Ma pian piano mi riempivo di nuove conoscenze da ostentare a scuola davanti alle compagne più antipatiche. Certo di compagne antipatiche a scuola ne avevo avute davvero tante! Alle elementari soprattutto: io ero fuori da tutti i gruppetti! Io ragazzina del nord, anche se al nord stavo solo d’estate e per le feste, io ragazzina timida all’ennesima potenza, io ragazzina che aveva fatto quello che nessuno dovrebbe mai permettersi di fare se vuole un posto nella rigida gerarchia della classe: il primo giorno di scuola avevo pianto e avevo preteso che la mia mamma non si separasse da me!

Io, ghettizzata dietro le imponenti mura della solitudine che, nonostante i deboli tentativi, non avrei più abbattuto grazie all’impegno di compagni e maestre fino all’ultimo giorno di scuola. Quello della quinta elementare si intende!

La quinta elementare… non mi ricordo niente di quel anno se non un giorno in cui le maestre mi fecero preparare la cartella prima della fine della scuola. Ero sul secondo gradino dei cinque che ci sono all’ingresso della prigione dove ogni mattina si esaurivano i miei sbadigli e dove libri e parole si sfogliavano davanti al mio disinteresse, quando nonno mi disse “si deve andare via perché nonna sta male”.

Non so cosa mi abbia reso sempre così perspicace quando si parlava di morte, non riesco a pensare a nessuna età della mia vita che io ricordi in cui lo spettro della fine non fosse in me amara consapevolezza.

Quel giorno sapevo così bene che nonna era morta che non mi preoccupai all’idea che in quel momento soffrisse.

Soffrire. Ho così paura di star male… Io inguaribile pessimista quando mi rinchiudo nel mio guscio, dispenso consigli positivi e speranze quando parlo con gli amici quando esco. Falsità? Non credo. La chiamerei piuttosto volontà. Già! Volontà di donare, a chi voglio bene, tanta speranza. Crescendo le speranze di ognuno di noi diminuiscono, spesso i sogni vengono chiusi a chiave nei cassetti, si raddoppiano i fili agli aquiloni perché si sa che il vento li fa volare ma può privarcene se diventa troppo forte e noi non vogliamo rinunciare a quello che è nostro anche perché non crediamo più alle favole che ci raccontavano in base alle quali quel aquilone sarebbe volato chissà dove.

Le favole…quante me ne avevano raccontate per farmi smettere di tenere il ciuccio. Una mi aveva proprio convinta: dovevo buttare il mio ciuccio in mare per donarlo ai pesciolini che continuavano ad aprire e chiudere la bocca in attesa che io, e proprio io glielo dessi. Ebbene, un giorno, tra gli applausi compiaciuti di nonna e mamma decisi di buttare in mare il mio compagno di nanna per poi, in preda alle lacrime, farmene comprare uno nuovo la sera stessa al ritorno dal mare.

Certo è, che se mai avrò un figlio, gli racconterò tantissime favole e mi auguro che lui le conservi sempre tra i suoi pensieri come ho fatto io che fino ad un anno fa ho creduto con tutta me stessa alle favole soprattutto a quella che ogni persona è completamente padrona di se stessa e del suo destino.

In realtà, tutte le volte che si parla di padroni, ci si dimentica che, per essere tali, ci devono essere servi e questo oggi l’ho imparato bene!

Essere servi di qualcuno non è semplice ma nemmeno difficile se ci si convince che i voleri e le richieste del nostro padrone coincidono esattamente con le nostre esigenze e i nostri desideri.

Desideri… ne avevo avuti davvero tanti nella mia vita… la cosa strana dei miei desideri era che non erano mai fissi! Cambiavo i miei desideri da un secondo all’altro, ruotavano in continuazione ma pensandoci bene erano sempre i soliti tre: passato, non dimenticarlo; presente, viverlo; futuro, possederlo.

Possedere il mio futuro! Si!Avercelo già in mano sapere come sarà o perlomeno che ci sarà… esserne certi! Certezze! Ecco cosa mi manca oggi… Quelle certezze che i miei genitori avevano quando io ero bambina e gli facevo delle domande. Mia madre alla mia età aveva già me… io non ho nulla! Che certezze saprei dare, io, a me bambina? Nessuna. Ma soprattutto cosa rispondo alla domanda che il destino mi ha fatto ieri, mi fa oggi e mi farà domani: “cosa stai facendo?”.

Inevitabilmente tradisco le mie speranze e ora che è sera, che è l’ora per i miei piedi di abbandonare le comode tane azzurre delle mie ciabatte e per la mia schiena di raddrizzarsi parallela al mio materasso so che anche oggi la mia sola risposta è “nulla!”.