Caduta libera

La prima cosa che senti è la botta di adrenalina, che poi è il motivo per cui lo fa la maggior parte delle persone. Le endorfine ti mandano il cervello a mille e per un attimo sembra tutto più vero, più degno di nota. Un orgasmo improvviso che ti scombussola i neuroni.

Ce ne fossero di cose che fanno lo stesso effetto.

La gente triste beve o si droga per annebbiarsi le idee, per rendere tutto un po’ più tollerabile, o solamente per provare qualcosa. Credo che il principio sia più o meno lo stesso, solo che qui invece di stordirti gradualmente hai la sensazione di ricevere uno schiaffone in faccia e un pugno allo stomaco, mentre gli organi interni si divertono a rimescolarsi un po’. Gettarsi da un aereo a migliaia di metri da terra e affidare la propria vita a un pezzo di stoffa attaccato a delle corde e piegato in uno zaino. Una barzelletta. Eppure è una scienza esatta, c’è una teoria, c’è un esame, c’è un brevetto.

La prima cosa che controllano quando lo fai amatorialmente è la salute.

Eccessivamente sovrappeso? Resti a terra.

Problemi al cuore? Resti a terra.

Crisi respiratorie? Asma? Resti a terra.

Attacchi di panico? Depressione? Schizofrenia? Resti saldamente ancorato a terra.

Io ero sano come un pesce. Ho fatto questo lavoro per quindici anni. Migliaia di lanci all’attivo, migliaia di persone venute lì per vivere una manciata di secondi di vita autentica. La quintessenza dell’universo in un folle e idilliaco momento di caos controllato. Solo chi l’ha provato almeno una volta nella vita sa di che parlo.

Vorrei tanto poter ricordare com’era.

L’impatto inatteso dell’aria che ti sferza la faccia, il senso di vertigine e di assoluta impotenza, il freddo glaciale di un cielo che sembra solido. Tutto ha perso colore ormai, tutto ha perso consistenza.

Ora ogni lancio è solo l’ennesimo giro di giostra.

Abituarsi a un’emozione simile significa declassarla, svilirla fino a farla cadere nella sfera dell’ordinario, significa spazzare via tutto ciò che va da “incredibilmente interessante” in giù sulla scala delle emozioni. Niente ha più lo stesso fascino.

Ho ballato con la morte ogni giorno per gli ultimi quindici anni. Che cosa dovrei fare ora?

Arrivai allo spiazzo appena prima delle otto. Il primo lancio era previsto per le nove. André stava già nella baracca di fianco all’hangar che chiamavamo “ufficio”. Il caffè nella sua latta gli disegnava un ricciolo di vapore davanti agli occhi.

“Come andiamo ‘sta mattina George?”

“Con l’aereo André, come al solito.”

“Sempre voglia di scherzare. Ho fatto il caffè.”

“Grazie, vado a controllare gli zaini e arrivo.”

Ovviamente la strumentazione, le imbracature e i paracadute erano sottoposti a severi controlli a intervalli regolari. Qualsiasi cosa vada storta quando sei in aria a tremila metri d’altezza vuol dire una bella portata di terrore in caduta libera con frittata umana per dessert. Per sicurezza li controllavo comunque prima di ogni lancio.

“Tutto apposto?”

“Apposto.”

“Senti George, ultimamente mi sembri un po’ spento.”

“Passami la moca.”

“Oggi giornata piena: due coppie al mattino e tre gruppi al pomeriggio.”

“Tandem?”

“Solo quelli al mattino.”

“Allora dov’è Francis?”

“Arriverà.”

Verso un quarto alle nove la prima coppia arrivò, e appena dietro di loro Francis, sulla sua stupida jeep da deserto del Gobi.

“Buon giorno.” Tutti salutarono tutti.

Ripassammo le istruzioni che avevamo già ampiamente esposto durante il primo incontro. I tuffatori sembravano eccitati. Lo sembrano tutti di solito.

André mise in moto l’albatro d’acciaio, mentre io e Francis aiutavamo i clienti ad indossare le tute e poi ad assicurarsi a noi con le imbracature per i lanci doppi, i cosiddetti “tandem”. Era necessario spiegare bene a tutti quanti che il paracadute era uno solo per entrambi e che tirare la corda in un momento di panico prima di raggiungere la quota di apertura significava mettere in grave pericolo la vita dell’istruttore al quale erano attaccati, oltre che la loro.

C’è di buono che quando è in gioco il loro culo, le persone tendono ad ascoltare le indicazioni.

André si portò davanti a noi con il motore acceso. Una volta sul mezzo, la faccenda si fa seria. Finché stai a terra e mimi ai clienti la posizione migliore da assumere in aria, orizzontale con le braccia e le gambe spalancate, tutti lo prendono come un gioco divertente. Quando però cominci a salire e la terra diventa sempre più distante fuori dal finestrino vedi le facce perdere colore.

Ci stavamo avvicinando alla quota di lancio. I tizi erano una coppia di sposini, sulla trentina. La classica cosa stupida che si fa per cercare di partire in quarta. Solitamente o lo facevano appena sposati, o appena dopo un divorzio. È incredibile cosa arrivi a fare la gente per cercare un’emozione forte. A me era toccata la moglie, a Francis il marito. Lei era mingherlina, si chiamava Doris e a quest’altitudine era tutta un tremolio. Sparava risatine nervose e si torceva le mani. Il marito sembrava un po’ più sicuro. Aveva un viso sereno. Tutti erano troppo concentrati su quello che stava per accadere per dire qualcosa. A un tratto la spia rossa sul pannello di fronte alla cabina di pilotaggio si accese e la voce di Andrè gracchiò qualcosa nell’interfono.

“Forza Icari, è ora di spiccare il volo.”

Doris eruppe in una risatina incontrollata.

Agganciati alla sbarra di sicurezza, feci avanzare la donna verso il portellone laterale e lo feci scorrere di lato. L’aria era frizzante. Andrè rallentò e stabilizzò in un perfetto volo orizzontale. Misi la mano sul gancio, Francis e il tizio erano alle mie spalle.

“Ci siamo Doris, è il momento. Aggrappati forte alle cinghie che partiamo.” Ignorai la sua testa che si muoveva a destra e sinistra. Chi tace acconsente. Sganciai la cintura di sicurezza dalla barra e spostai il peso in avanti verso il portellone aperto. Volente o nolente Doris cominciò a precipitare sotto di me. Alzai lo sguardo per controllare il lancio di Francis. Tutto regolare.

Il momento dell’adrenalina arrivò praticamente subito per Doris, che cominciò a lanciare versi strozzati come un tacchino il giorno del ringraziamento.

Le nuvole erano di un bianco dozzinale.

Da qualche parte poco sopra di noi due distorte voci maschili si unirono al coro.

Non si vedevano uccelli lassù, solo delle pareti azzurro-grigio a incorniciare un pavimento verde-grigio.

La figura mostruosa di un uomo con due teste e otto arti entrò nel mio campo visivo.

Eccoci lì, a precipitare attraverso il cielo per cercare di sfuggire da quello che ci aspettava all’atterraggio.

L’uomo allungò un braccio per cercare la mano della moglie. Lei teneva le mani davanti alla maschera protettiva e probabilmente non aveva ancora visto nulla oltre l’interno dell’aereo. Francis piegò leggermente verso di noi per tentare di avvicinare i due. L’uomo tentò di urlare un paio di volte, ma le voci di tutti erano stridule e venivano facilmente portate via dal vento. Presi il braccio sinistro di Doris all’altezza del gomito e lo allungai verso la mano tesa del marito. Sentire quella stretta parve darle coraggio. Aprì gli occhi e allargò anche l’altro braccio per sentire l’aria, come quando si mette la mano fuori dal finestrino.

Si guardarono e sorrisero.

Volevano quel tipo di emozione, per quanto trito fosse.

Francis fece una smorfia disgustata da idiota. Gli feci cenno con la testa e piegammo in direzioni opposte come aerei da guerra, costringendoli a separarsi.

“Hai paura, Doris?” – Le dissi all’orecchio.

“COSA?”

“HO DETTO: HAI PAURA, DORIS?”

“DA MORIRE!”

“ALLORA QUESTO TI PIACERÁ”

Oscillai di lato per oppormi al vento e al peso che tirava verso il basso, fino a riuscire in un avvitamento da tuffatore. Doris gridò terrorizzata.

“LA PREGO, NON LO FACCIA!”

Qualche metro più in là Francis e l’uomo si erano piegati in avanti in posizione aerodinamica per provare un po’ il brivido della velocità. A Francis piaceva fare lo spaccone e il tizio sembrava piuttosto su di giri.

Doris si agitava come una forsennata.

“MI FACCIA SCENDERE, LA PREGO, MI FACCIA SCENDERE!”

“COSA???”

“MI FACCIA SCENDERE…LA PREGO!”

“NON LE VA A GENIO IL BRIVIDO? NON É PER QUELLO CHE SI TROVA QUI?”

Piegai in avanti a mia volta, per accelerare la caduta.

“LA PREGO…LA PREGO…”

Laggiù cominciavano a delinearsi delle macchie di colore, le colline, i fiumi…

“LA PREGO…LA SCONGIURO…”

Le città, le strade, i palazzi…

“PER FAVORE…”

Tutte quelle Doris dalla vocetta stridula e quegli ometti senza nome che cercavano solo di accontentare gli altri e crepare in pace…

“LA PREGO…”

Che cosa idiota. Bastava solamente chiudere gli occhi e lasciarsi andare.

Caduta libera.

Non c’era nessun motivo di agitarsi. Il nostro paracadute, la nostra unica chance di salvezza, si trovava esattamente al suo posto, in uno zaino, nell’armadietto dell’hangar.

Tutto era così rilassante, quasi liberatorio.

Ormai potevo quasi vedere le targhe delle automobili che passavano là sotto.

Questione di un attimo.

Doris strillava incontrollata e cominciò strattonare la cinghia in preda al panico. Tanta disperazione per niente.

Poi uno strappo improvviso all’altezza delle spalle. Una spinta verso l’alto. Il vento che mulinava e gonfiava il paracadute che si andava dispiegando sopra le nostre teste. Alla nostra sinistra un groviglio di gambe e braccia sfrecciava verso il suolo.

Grida strazianti di terrore si alzavano da quel proiettile destinato a un disastroso impatto.

Caduta libera.

La prima emozione autentica dopo tanto tempo.