DIALOGHI CON IL PADRE E ALTRE POESIE

un frullo d’ali

con le ali serrate sui fianchi attendi
l’ordine perentorio di partire

ora puoi andare non ti trattengo
(lo so da tempo che non ci riuscirei)

lasciami solo quell’esile filo
che sale sino alla pallida luna

quel ramo verde d’ulivo serrato
nel becco sincero della colomba

vai corri su quella scia trasparente
che si staglia nell’azzurro del cielo

quando arrivi però fammi uno squillo
l’attenderò tranquillo nella sala
d’aspetto dell’affollata stazione.


noi sapevamo

anche le cose nascoste o mai dette
bastava solo incrociare lo sguardo

la mia strada appena un po’ più tortuosa
scorreva sempre parallela alla tua

se protendevo la mano sentivo
l’affanno docile del tuo respiro
quando ostinato seguivi il mio passo

a tratti una siepe si frapponeva
ogni tanto ci si dava una voce
certi che non ci saremmo mai persi

l’orgoglio profondo di essere padre
e quel sorso di buon vino bianco
che ci rinfrancava lungo il cammino.


svegliami

quand’è ora e t’accompagnerò

ho appeso i vestiti qui sulla gruccia
di legno proprio ai piedi del letto

lavati e stirati ci sono anche i tuoi
le calze lunghe e la maglia di lana

con un abbraccio e una stretta di mano
attraverseremo il gelido inverno

tanto lo sai che ci reincontreremo.


le cose imbucate

spero proprio che tu abbia preso tutto
anche la vecchia cartella dei sogni
impossibili ormai dimenticati

le cose imbucate chissà dove
dicevi – le ritrovi all’improvviso
quando oramai non ti servono più

ora hai tutto il tempo per riordinare
quei sogni e chiedere a chi di dovere
perchè i compagni di tutta una vita
sono rimasti sogni e nulla più.


in mongolfiera

viaggiamo nel blu della notte a bordo
d’una mongolfiera sotto la luna

ci guardano salire a bocca aperta
un po’ increduli e un po’ invidiosi

sospinti dal vento faremo il giro
del mondo appena in un batter di ciglio

nel diario terrò gli appunti di viaggio
per dare conto del nostro coraggio.


qualche domanda assurda

dimmi da lassù cosa vedi?
t’arrabbi ancora quando ascolti la Tivù?
c’è un telecomando per cambiare canale?

oggi io non la guardo
mi fa troppo male
specie sentire le notizie del telegionale

dicono che siamo liberi di scegliere
un telequiz o una telenovela
un film d’amore o dell’orrore
un serial dedicato alla polizia
che indaga sorprende e trascina via

la realtà non si può cambiare
col classico colpo di spugna

ricordo quanto amavi i western
quando il cattivo dopo tante malefatte
le prendeva di santa ragione e finiva in prigione

era la tua rivincita virtuale
stare col giusto sconfiggeva il male.


un permesso speciale

ogni tanto puoi scendere da lassù?
chiedi un permesso speciale
per qualche vicenda da sistemare
o qualche cattivo da rabbonire

possibile che non sia possibile?
solo su da te ci sono regole rigide?

qui le fa il capo di turno
col suo codazzo di gente perbene
ti ricordi? la chiamano democrazia

spero che le regole vostre
le abbiate decise insieme

è vero qualcuno che comanda a volte ci vuole
basta che non ne approfitti troppo

ma dimmi lassù ci si aiuta tra parenti
o la base di tutto son le tangenti?

che si fa se c’è qualcuno da rottamare?
anche su in cielo si comincia a pregare?


qualche domanda ancora

Lucifero dicono tentò un’improbabile rivoluzione
pochi arditi poi l’inferno per consolazione

sarà anche vero ma non gli hanno tarpato le ali
fa voli pindarici il dio di tutti i mali

cattura prede e consacra molti nuovi amici
promettendo a tutti loro che saranno più felici

forse te l’ho già chiesto
ma dimmi da voi c’è un po’ di nepotismo?
il Capo ha figli e figliastri
qualche Santo tra i tanti preferito
o in fondo siete tutti uguali
angeli angelici che volano con le ali?

lo so son troppo curioso
però vorrei sapere se val la pena
di patire qui per l’eternità.


racconti

qui seduta al mio fianco mi hai letto
tutti i tuoi libri sui re e sulle fate

gli amori contrastati di principi
e principesse con draghi infuocati
perfide streghe e intriganti badesse

ascoltandoti provavo a scordare
un poco l’affanno sotteso del cuore

tu quale principe vorresti diventare?

ho disciolto piano piano il dolore
sul filo lieve delle tue parole.


lo spazio

i giardini fioriti vanno incontro
alle amare nostalgie dell’autunno
le voci dei fanciulli maturano
nell’inquietudine dei primi silenzi

lo spazio percorso dai nostri passi
disegna i confini dell’esistenza
aperture rinunce e recinzioni
rimangono incise nella memoria

ogni trottola vacilla e poi cade
quando si spegne la spinta d’inerzia
il tempo racchiuso nel suo silenzio
non scorre via ma ci guarda passare.


pagine vuote

sul diaro ho saltato due pagine
sfogliando le ho intraviste per caso

un improvviso vuoto dell’anima

due facciate candide e coraggiose
pronte a sfidare l’oblio del destino

lì non c’era nulla o c’era già tutto
quello che non saprò mai raccontare.


io vivo di te

io vivo di te
nell’acqua inquieta dei tuoi pensieri
nel segreto dei tuoi occhi sinceri

io vivo di te
nell’arco acceso del tuo sorriso
tra le ciocche scure dei tuoi capelli

e non voglio essere altrove

da te riparto ogni mattina
elaboro trasformo incontro
perdo reincontro e poi ritorno

e si consuma piano il tedio
il sapore agro-dolce
di questo nostro andare.


la mia terra

corrosa e corrotta è la mia terra
un nido di vespe e di calabroni
tedia il suo corpo stinto e stralunato

adornata di Grazie e Primavere
di Veneri straripanti dal mare
difesa tra il fango nelle trincee

ora la mia terra è prigioniera
mille vampiri stanno sulla preda

nella speranza di un giorno di sole
languono i germogli di primavera.


il mal di poesia

tesa più a stupire
che a farsi capire
a digiuno da solide emozioni
non vale più di tante canzoni

non scrive temerari accordi
per lettori coraggiosi e forti
non parla di chi attraversa il mare
né di belle parabole con la morale

non dà notizie di popoli lontani
non ama neppure i rossi tulipani
adagiata nel limbo dell’impreciso
si decanta seriosa senza un sorriso

non denuncia chi l’ha diseredata
si lamenta solo di non essere ascoltata.


ramo d’ulivo

ho visto bruciare le spighe di grano
e il vento mulinare sopra gli sterpi
sull’orlo del precipizio avidi avvoltoi

è difficile mutare la storia
con le ali tarpate dall’inganno

sognare aquiloni nel cielo di primavera
forse ancora ci tiene in vita

un tempo bastava bruciare un ramo d’ulivo
per cacciare il maligno e la tempesta


atto d’amore (1° parte)

a volte un atto d’amore
sboccia in un limpido fiore
e quel fiore che incanta
ci chiede amorevoli cure

si disseta e diventa una pianta
verde di foglie e profonde radici
con l’acqua che cade improvvisa
nelle fresche notti di primavera

scampato ricordando quel fiore
anche l’inverno si fa più lontano
ora un bambino ci tiene per mano.

atto d’amore (2° parte)

l’atto d’amore che ha generato una vita
gettato nel ventre del tempo
cerca tenace di sopravvivere
nelle braci consunte tra gli alari del camino

ma bisogna soffiare forte a bocconi
per ravvivare i tizzoni sotto la cenere
aggiungere foglie e rami
al primo levarsi di fiamma
per stare al caldo anche d’inverno.


cicale

cicaleggiano tutto il giorno
sull’albero virtuale
estasiati dalla visuale
dell’annunciata aurora boreale

vincitori prescelti della lotteria
hanno puntato sul cavallo vincente

fanno a gara per conquistarsi i gradi
da colonnello e saltano da un destriero
all’altro come equilibristi di un vecchio circo

ogni tanto qualcuno cade
nonostante le corde e le reti di protezione

ma sopravvivono pensando
che se stanno saldi sul cavallo giusto
avranno sempre un’invito al gran ballo.


storia del verso

come sciolse il verso la sua misura?
e perchè ridurlo a un metro tra le rime?

sembra di non poterne fare a meno
di legare tutto a un ordine interiore

da tempo non serve una coercizione esteriore
ognuno lavora su una propria dimensione

non dobbiamo temere la confusione
l’universo stesso è un caos immane

chi lo guarda però da un senso alla sua apparenza
calcola distanze e dimensioni e trova un’armonia

fuga l’angoscia dell’incomprensibile
approntando una teoria liberatrice

anche l’incongruo rispetto del non rispetto
può essere lo scopo che ci misura
e diventare quel canone che ci cattura.


dilemma

che senso ha la forma
senza il contenuto?
si pensa forse che la forma
includa pure il contenuto?

certo pensare solo al contenitore
libera da ogni obbligo morale
almeno in apparenza vuol dire
comunque da qualche parte andare

ma c’è un’intima armonia
fra quel che faccio
e quel che voglio sia.


parole (7 gennaio 2015)

non ho che le parole
ora che lo scoppio ha dilaniato i cuori

resteranno per un po’ le bandiere a mezz’asta
poi tutto tornerà come prima
fino al prossimo scoppio che dilanierà altri cuori

non ho che le parole
ora che la pioggia vorrebbe mondare la terra

c’è sempre un guanto per lanciare la sfida
e l’infame vendetta a tutelare l’offesa
all’insaziabile Dio della notte

non ho che le parole
ora che ci sgomenta l’antica maledizione

Abele è morto e i figli di Caino
prosperano sulla nuova Torre di Babele
abbattono la vita nel nome della redenzione


le viole

oltre la siepe tra l’erba del fosso
con le ragazze cogliemmo le viole
fiorite dopo il gelo dell’inverno

saltellando allegri tornammo a casa
il sole brillava negli occhi chiari
tiepido ma acceso sull’orizzonte

trattenute a mazzetto tra le dita
il profumo di quelle viole ardite
cantava allora il canto della vita


Abbasso i vincitori

In questa nostra civiltà tutti osannano il vincitore. A lui tutto si perdona, per lui si aprono tutte le porte: “al campione vincente non si nega niente”. Tv, radio, giornali, riviste, genitori e professori, tutti ci invitano al successo.
Chi ha successo è amato e riverito. Chi ha successo ha imboccato la strada della verità e della giustizia. Il mondo ne è testimone.
E allora io dico: << abbasso i vincitori >>, se hanno sempre ragione, se ce li propongono sempre come modelli da imitare. << Abbasso i vincitori >>, che anneghino nel loro successo. << Evviva gli sconfitti >>, chi s’accorge d’aver sbagliato, chi cambia strada prima che gli arrida il successo, chi non vende sempre i suoi talenti.
Un vero poeta lo sa: chi vince sempre non ha più niente da dire, per questo ogni volta lo trovi dalla parte dei perdenti.