Il risveglio

Non vado quasi mai a letto tardi, talvolta, su di un canale di film cult guardo film d’autore, adoro i film d’essai, il cinema indipendente e mi attardo perché mi piace seguire il finale. Sono film intimistici come di recente “L’attesa” dalla regia di Piero Messina, visto allo Studio Capitol o “Non essere cattivo” del regista Claudio Caligari all’Auditorium di Piazza Libertà. Il sabato notte, invece. mi alzo, ma sempre qualche volta, per il programma televisivo di Raitre “Fuori orario” scelto da Enrico Ghezzi. Arte cinematografica che mette spesso in relazione la letteratura con il cinema. Ho visto anche “Il giovane favoloso” ispirato alla vita di Giacomo Leopardi. Verso le sette mi alzo, ma io sono pronto prima, senza svegliare mia moglie preparo il caffè e mangio una brioche, poi accendo i led dei miei tre acquari e metto nell’acqua il mangime per i pesci, preparo la ciotola per il gatto randagio che ho adottato, per il quale ho un feeling particolare. Si fa coccolare solo da me, riesco io solo a prenderlo in braccio ed accarezzarlo, mia moglie la morde. Il mio cucciolo pechinese, invece, mi chiama a tarda notte, ma non sempre, quando ne sente necessità, per uscire in giardino e fare un po’ di perlustrazione. Mi alzo molto presto perché mi piace prepararmi psicologicamente per il lavoro che devo affrontare e tutti questi preparativi mi servono per avvicinare un lavoro che non amo troppo: l’assistente amministrativo. Dopo la doccia, lunga e rigenerante, mi vesto in tutta fretta, prendo le chiavi dell’auto e il cellulare avviandomi al garage e poi, dopo aver messo in moto la macchina, via di corsa verso il lavoro con un po’ di rimpianto per ciò che preferirei fare a casa, magari scrivere al computer un bel racconto che potrebbero, nella fantasia, trasformare in un bel film d’autore indipendente.


 Introverso

Appoggiato al cuscino e con gli occhi chiusi a sognare ed immaginare in una serie infinita di immaginazioni bislacche, insolite alla sua età: 18 anni compiuti da un bel po’. Matteo apre e riapre un raccoglitore di fotografie di quand’era bambino, sognante e stralunato le tocca una ad una. Entra in camera sua la madre e lo chiama per la cena ormai pronta da dieci minuti, si attarda ad osservare scrupolosamente le immagini di se stesso sul dondolo, con la palla tra i piedi e si chiude in un mutismo irrazionale mentre lentamente, a tavola, avvicina il cucchiaio della minestra alle labbra carnose e rosee. Attorno a sé il silenzio, solo il latrato del cane lupo che scorrazza nel giardino di casa sua e la sorella la sfiora di fretta con lo sguardo fregandosene altamente se lei vuole parlargli, non vuole nessuno, pensa solo alla carriera da militare che vuole intraprendere: sarà un bravo soldato, forte ed ubbidiente. Ma il padre agogna per lui il mestiere dell’architetto, lui che a malapena usa le squadre da disegno tecnico. Estatico osserva la sua famiglia come si trattasse di extraterrestri, in realtà tutti gli vogliono un gran bene, ma lui non accetta nulla, solo se stesso e la voglia di fuggire in Israele a difendere la patria. Poi si sdraia sulla poltrona del salotto, tutto raggomitolato come un riccio che si difende da un attacco pericoloso coi suoi aculei, e guarda la tv senza entusiasmo: una soap opera brasiliana che lo turba e che disprezza perché è la 100^ puntata e si è stancato della protagonista, innamorata per la quarta volta ed insoddisfatta perché non vuole sposarsi con ragazzi affascinanti, ma poco danarosi e provenienti da strati sociali non pari al suo, lei è figlia di un petroliere.


Gita al faro

Un lupo della steppa, come Siddartha, giunge nella radura dell’Essere e scopre l’infinito. Nelle sue meditazioni e rimembranze coglie l’attimo fuggente con un fanciullo, filosofo morale. Va alla ricerca del tempo perduto, ma soprattutto la Mandragola come se fosse un Dio, lui che è solo un principe. Legge “Il mondo come realtà e rappresentazione” di Schopenhauer, facendo una critica della ragion pratica e scopre di essere per il Nulla. Un Superuomo, che pasce le sue pecorelle, ma sempre soggetto alla nausea, dopo il congedo e lo studio matto e disperatissimo, che lo portano ad andare là dove lo porta il cuore,  con quasi cent’anni di solitudine alle spalle insieme ad un uomo, come Penelope alla guerra, scopre una lettera ( Indirizzata a un bambino mai nato ) e dopo una pioggia nel pineto s’avvia indugiando solo e pensoso per i deserti campi. Trova un tesoro nel campo e depone lì un fiore delle mille e una notte, lui, l’innocente, così parlò Zarathustra. Al di là del Bene e del Male, sente qualcosa nel’aria, Ufo costellazione miraggio? Quest’uomo ha un cuore di tenebra, ma come nello Zibaldone si sente un passero solitario e dedica a Silvia un Canzoniere in cui scrive di una Gerusalemme liberata dai Malavoglia, famiglia sicula di Aci Trezza, uno nessuno centomila euro in tasca, sente lo sciabordio delle “lavandare” ( ? )  e immagina la Divina Commedia dove brucerà nell’Inferno per Espiazione conclusiva. L’amante lo brama dal desiderio, Il muro gli spiega che è come una siepe, ma più ostile, alla sua persona e personalità che impedisce di avere un baricentro, o un centro di gravità permanente. Poeta maledetto alla pari di Arthur Rimbaud e Paul Verlaine, poeti estremi, per un Amore impossibile, un Amor fou, eppure come un primo vere di un sogno di una notte di mezza estate, mai come Romeo e Giulietta, piuttosto Paolo e Francesca, chiede una tregua per riposare nella radura dell’essere e, come in “Totem e tabù” nutrirsi anche di locuste e miele selvatico con una voce allucinatoria che grida come voce nel deserto. Invano. Confessa di aver amato e tradito come la Maddalena, ed aver lavato e profumato i piedi al Figlio di Dio e a lui sono perdonati i suoi numerosi “peccati”, perché in fondo ha tanto amato, nessuno tocchi Caino, lui che ha ucciso il fratello Abele, geloso ed invidioso per la predilezione all’altro, da parte di un Padre misericordioso verso il figliol prodigo, che ama. Un cuore di tenebra, ma memore della gran bontà dei cavalieri antiqui. “Di me medesmo meco mi vergogno” It’s not my fault! Il mio torpore e l’ansia di prestazione fa dire: “Siamo rovinati!”. The waste land. Terra arida e acida. Senza piogge catartiche, un clima africano torrido e umido. Piove a pecorelle. Quo vado? Come un commesso viaggiatore chiedo una valigia blu. L’importante è finire!


“Va’, pensiero!”

L’aria di questo motivo riecheggia nella studio: “Va’, pensiero!”. E’ un vago e incerto anelare a un movimento federalista che lui un po’ aborriva. Ama il Mar Jonio e Tirreno ( Visto solo alla TV ) e tutti gli amici del Sud, di cui apprezza l’ospitalità e l’apertura, a differenza di noi settentrionali così chiusi e introversi. Il suo cognome, Cassia, rievoca Cassio che, insieme a Bruto, ha ucciso a pugnalate nel 44 a.C. l’imperatore Caio Giulio Cesare. Ricorda la via Cassia, vicino al Ponte Milvio ( Ricordate i lucchetti chiusi degli innamorati? ) a Roma, che porta in Toscana. Il teatro Cassia lì vicino. Inoltre omonimo di un famoso musicista, compositore e produttore discografico romano Cassia Giuseppe, detto Pino, proveniente da Siracusa e morto a Roma nel 1982. Di Cassia Giuseppe è la canzone lanciata da Mina “Città vuota” e “Bisogna saper perdere” di Lucio Battisti e dei Rokes. Nessuna parentela. Però nelle vene gli scorre sangue italico, latino d.o.c., a giudicare dalla derivazione del cognome, lui che è figlio di bergamaschi purosangue. L’Urbe: “ Roma caput mundi”. Ora, è proprio una Casa editrice di Roma che lo valorizza come artista: “Pagine”, diretta dal popolare e famoso scrittore Elio Pecora. Come se tutto porti da dove si è venuti. Un amico gli ha detto che Cassia deriva etimologicamente dal latino “cassus” “svuotato”. Bello anche questo erotismo. Il padre gli ha detto che invece Cassia è un errore anagrafico e che il vero cognome è Cascia! La città di S. Rita, in Abruzzo. Ma è attendibile l’interpretazione? Un  cugino del nonno ha corretto il cognome a Roma. E anche questo gli piace. Ma qual è la verità? E’ che lui è uno scrittore, al di là del cognome, che poco importa! Gianfranco, in arte Jeffrey. Il padre avrebbe voluto Franco perché il Gian l’aveva fatto precedere la madre, al battesimo, dal nome del nonno materno Giacomo ( Di cui l’abbreviativo Gian ). Ah, la famiglia! Sono nato il 3 Aprile 1964, 400 anni esatti dopo la nascita di William Shakespeare, il 3 Aprile 1564, a Stratford upon Avon, famoso drammaturgo e tragediografo, lo scrittore Daniel De foe e Irving Washinghton, scrittore USA. Come anche Miguel Bosè, attore, cantante, show-man italo-spagnolo, figlio della famosa attrice Lucia Bosè e del torero Domenguin. Gianni Fiorellino, cantautore italiano. Come l’attrice Catherine Spaak, cantante e ballerina francese, Doris Day, attrice USA, gli attori Marlon Brando ( 2004 ), Eddie Murphy, Alec Baldwin. Il regista italiano Carlo Lizzani, il politico, co-fondatore del partito Popolare in Italia, Alcide De Gasperi. Helmut Kohl, statista tedesco. Maxi Lopez, calciatore argentino. E tanti altri. Credo negli influssi astrali, nel mio stesso giorno di nascita hanno avuto i natali personaggi artistici e importanti, di talento o di rilievo. Il mio è un segno zodiacale di grande azione creativa. Ha bisogno di agire e organizzare, sono originale, “sui generis”, rifiuto di venire manipolato e dominato in qualsivoglia modo. Egotico ma coraggioso, apprendo avidamente e con perspicacia, nutro la necessità di raggiungere sempre nuovi obiettivi e realizzare sempre nuove idee. Provo un’inconscia privazione del tatto diplomatico, il mio coraggio nasconde in verità una sostanziale incertezza. Godo di buona salute. L’Ariete classico e tradizionale è sempre in movimento, impulsivo sino alla temerarietà, spontaneo fino all’eccesso, “perde” quasi sempre nei propri rapporti con gli altri per generosità e dono di sé. Devo sempre primeggiare e sentirmi arrivato, nella scrittura, nella politica e, in genere, nella professione. Non sono riflessivo e sono incostante, agisco continuamente, cado e ricado, ma mi rialzo sempre, prima o poi. Leale e incapace di rancori forsennati, dimentico le offese per fare perdonare i miei errori. Attacco di petto, come l’Ariete vero, l’animale. Abiuro la menzogna e rigetto la bugia. Dotato di molto orgoglio, voglio essere il migliore più per amore dell’azione che per il desiderio delle conseguenze. Il mio amore più importante è la Libertà e l’Amicizia; dopo, ovvio, l’Amore.


Ruben, lo scarafaggio della Valle incantata

In un bosco composto da faggi, pini silvestri, abeti, cedri, querce, mandorli in fiore e numerose altre piante di immenso valore, esisteva una famigliola di scarafaggi. Il papà si chiamava Ruben, protettivo e amorevole con la moglie “scarafaggia” di nome Sibilla, e anche coi suoi tre pargoli: Eros, di 2 anni, Red di 1 anno ed Helen, nata da poco. Viveva per la sua famiglia in quel paradiso terrestre che era il bosco della Valle Incantata. Sì, proprio così, piena di maghi e folletti, che con la forza della magia rendevano a tutti la vita allegra e felice.  Una serie di colline con prati erbosi e distese di erba fine, fine, meglio del prato inglese. Una zona splendida in cui il sole pareva non tramontare mai. Un sole splendido incorniciato da un cielo terso e azzurro come le chiome di certe dame carnascialesche. Insomma, non era proprio il vero Eden, ma ci andava di molto vicino. Era un mondo completamente incontaminato da ogni sozzura, tutti si amavano e rispettavano, e la famiglia di Ruben ne andava fiera, lì non li calpestavano i piedi degli uomini che gettavano immondizia in ogni dove deturpando i sentieri e rovinando la natura, da proteggere ad ogni costo. Quando arrivavano dalle città a fare pic-nic nei week end gli scarafaggi fuggivano fino a quando non levavano le tende dal loro amato paese, lasciando ogni sorta di sporco: lattine, cartacce, bottiglie di vetro ancora piene dei rimasugli della festicciola sul prato: la civiltà degli umani. E quando se n’erano andati, tutti gli insetti della collina ridevano e scherzavano realizzando il loro sogno: restare liberi e puri, scevri da ogni contatto con gli esseri umani. Cicale, formiche, ragni, tutti insieme a rallegrarsi e continuare a vivere lavorando nella Valle Incantata, regno degli insetti, contenti di essere piccoli e facilmente vulnerabili. Il regno animale di quella Valle viveva un periodo particolarmente felice, perché presto arrivarono gli umani a fare i primi scavi per costruire, deturpando il loro habitat naturale. Vennero in tanti, con gru e scavatori uccidendo numerosi insetti e facendone fuggire altri in località protette, dove non potevano essere raggiunti. Restarono nella loro area riservata per salvarsi dalla prepotenza degli uomini, che cementavano dalle fondamenta costruendo edifici e ville che toglievano al paesaggio l’amena caratteristica. Ruben riuscì a salvarsi e con tanti altri insetti si insediò alla cima di una collina, dove gli esseri umani non riuscivano a raggiungerli. Costruirono una tana, perlustrando l’ambiente circostante per rendersi conto del pericolo che avrebbero corso oltre un certo limite. La famiglia riprese a vivere, ma con l’occhio vigile degli spostamenti umani. I folletti e i maghi del paese, venuti a sapere, furono molto rattristati dalla novità, e cominciarono a fare magie contro i lavori sconsiderati. Sparivano gli strumenti di lavoro, gli operai venivano sgambettati cadendo per terra in malo modo.. Insomma, a difendere la Valle Incantata c’erano loro. Erano in ottimi rapporti con tutti gli abitanti e garantivano la loro incolumità. Non esistevano gerarchie nel gruppo, tutti erano considerati allo stesso livello sociale, non vi era un Re e una Regina e il governo era quello della civile convivenza. Le farfalle svolazzando di fiore in fiore, non ledevano mai lo spazio delle api in cerca di nettare, i ragni facevano la loro vita senza creare problemi di sorta. Tutto nel pieno rispetto dell’altro. Il sole si presentava ogni giorno e illuminava il luogo rasserenando gli insetti. Gli uomini che lì erano giunti per edificare, pur disturbati dalle magie, continuavano l’attività. Ma ben presto i folletti avrebbero architettato un piano per farli desistere dal loro impegno. Avrebbero ostacolato il regolare svolgimento delle previste lavorazioni con scherzi  e trucchi. Tutto sarebbe tornato come prima.