SE

Se ognuno si sorprendesse ad ammirare

Un cielo trapunto di stelle nei noviluni di primavera

Per poi desiderare che tutto si rinnovi ogni sera

 

Se ognuno potesse raggiungere

Il posto dove l’azzurro del mare

Col celeste del cielo si va a mescolare

 

Se ognuno potesse godere

Dei raggi del sole come basilischi

Senza il timore di correre rischi

 

Se ognuno potesse guardare

Gli occhi trasparenti di un bambino

Senza doversi ritrarre a capo chino

 

Se ognuno ogni mattina

Si soffermasse a parlare allo specchio

Con se stesso di un giorno più vecchio

 

Se ognuno potesse contare

Giorno per giorno sul proprio lavoro

Che non cambierebbe con tutto l’oro

 

Se giunti a sera ognuno potesse presentare

Le proprie azioni all’universale coscienza

Con nel cuore la certezza dell’innocenza

 

Se ognuno potesse parlare

Con parola suadente e veritiera

A chi per timore più non spera

 

Se ognuno volesse opporsi

Con buonsenso vigore e onestà

A chi degli altri rispetto non ha

 

Se ognuno potesse credere

Che il bene non è nel quieto vivere

Ma in ciò per cui si può scegliere di morire

 

Se ognuno dinanzi al dolore

Tentasse di non fuggire con ignominia

Ma si opponesse anche se con parsimonia

 

Se ognuno potesse accettare

Senza ribellione e senza affanni

il sempre più veloce progredire degli anni

 

Se ognuno potesse cambiare

Tutto ciò che ha fatto e che ha detto

Il mondo sarebbe perfetto?


LA PAURA

Più forte dell’amore

Del dolore più duratura

Più di invidia, felicità, risentimento ed ira

Più lunga del ricordo

È la paura.

E dall’inizio dei tempi

Per me l’impegno della vita

Non fu forse che da essa

La paura fosse bandita?

Negli occhi attoniti di mia madre

E nel suo sorriso belluino,

Al buio di una ruvida spelonca,

Nel fragore dei tuoni

E al baluginare dei lampi,

Incontrai per prima la paura.

Non era solo il freddo il suo tremore,

Non era solo il freddo

Il mio disperato clamore.

Nemmeno quando artigliai il suo seno

E il calore del suo corpo

Con l’inerme bocca avidamente succhiai

Vidi dai suoi occhi sparire la paura.

Era forse il mio pianto il suo terrore?

Di sicuro era il mio.

Alla luce del giorno fu più dura

Ritrovare anche sulla fronte di mio padre

La paura.

Il sole mitigava il mio rabbrividire

Solo per poco, fino all’imbrunire,

e per eliminarlo dal mio corpo implume

alle fiere strappai la pelle.

E se per ignote lande errai

A rincorrere animali

E sugli alberi saltare e sui cespugli

E alle piante i frutti rubare

Non fu forse per chetare

La paura di morir di fame?

E il fuoco, sottratto alla natura o ai numi?,

Versai in tripodi e bracieri,

Per vincere finalmente la paura

Di non vedere, dal fondo delle stelle,

Il sole sorgere al mattino

E sentire il suo calore sulla pelle.

E per sopportare l’ansia

Di non sapere la ragione del mio destino

Ed alleviare della morte il terrore

Non inventai fuori dal mondo i numi?

E per vincere la malattia ed il dolore

Fedele sposo della paura

Il corpo tutto investigai

Tagliai aprii amputai

Addirittura sostituii una parte.

Studiai senza riposo.

Feci ecatombe di piccoli animali

Per aprire nuovi orizzonti

Per la ricerca di rimedi universali.

Ma irrimediabile rimane la terribile sentenza

Di non poter sottrarre la mia natura

Al dolore e tanto meno alla morte.

E per domare la paura dell’Unico’

Del Nume Pantocratore,

Per sentirlo a me più simile e vicino,

Per volerlo padre misericordioso,

Non gli uccisi addirittura il Figlio?

E per incatenare la superstizione,

Della paura non unica sorella,

E disarmare vuote promesse

Di falsi sacerdoti e di stregoni,

Non misi al lavoro le menti più belle,

Per trovare rimedio alle varie novelle?

E ad indagare sulle vie del vero,

Non scelsi forse gli intelletti migliori,

Anche se rimaneva in fondo al cuore

Il timore che non si sarebbe giunti a niente?

E il terrore della violenza del vicino

Mi fece accettare l’autorità di uno

E la paura del disordine e dell’anarchia

Mi fece sopportare anche la dittatura,

E per cacciare via il prevaricatore

Prima imbracciai l’armi

Poi la fatica scelsi della democrazia.

E non inventai forse la guerra

Per debellare la paura della violenza

Prima di tribù, poi di popoli interi?

E acuminai pietre, affilai metalli,

E addestrai uomini e cavalli

Carpii alla polvere la sua nascosta forza esplosiva

Fino a liberare senza più limiti

L’infinita potenza imprigionata

Nel più intimo recesso della natura.

Ma continua ad assillarmi la paura

Di non riuscire più a controllarla, se scatenata.

E per vincere le difficoltà di interpretare

Le invisibili leggi del mondo

E i fenomeni della natura,

E per trovare risposte adeguate

Al bisogno di costruire un universo nuovo,

La sapienza precedente misi al vaglio

Della prova diretta e della riprova,

Fino alla cecità, fino all’abiura.

E per timore dell’errore involontario,

Per dimostrare che era necessaria

Non solo, ma anche bastevole,

La ragione di tutto e di ciascuna,

Non inventai forse altri universi

Più degni del rispetto

Del mio intelletto?

E non rimase e rimane tuttora

In me certa la paura

Di dover inventare ancora e ancora,

Sempre diversi, nuovi universi?

E per paura di morire di fatica

La forza catturai dell’acqua e del calore,

Del vapore, del magnete e dell’elettrone,

Del minerale liquido e gassoso,

Che schiavi, non persone,

In macchine sempre più perfette imprigionai,

Senza riuscire a dominare la paura

Di dover sottostare alla loro dittatura.

E per paura di uno spazio insufficiente

Ad ospitare miriadi di gente

Presi a viaggiare forse senza meta

Su gusci di noce e caravelle

Contro bonacce e terribili procelle

E giungere in nuovi mondi senza sospetti.

E per timore di rimanere per sempre

A strisciare come vermi sulla terra

E a invidiare agli altri animali

Le piume le penne le ali

Non mi misi a studiare

L’aria e i suoi movimenti

E costruire oggetti leggeri e resistenti

Pronti a battere tutti gli uccelli

Prima nella velocità

Poi nei voli acrobatici più belli?

Infine la paura superai

Dell’ignoto infinito senza vita,

Del vuoto senza fine,

Alla ricerca, inutile io temo, di nuovi mondi

Lanciato in spazi angusti e tempi definiti

Nella folle corsa dell’universo senza limiti.

E per paura di non poter più parlare

Con le persone amate e lontane

E non poterle più vedere

perché in un altro continente

non dovetti inventare la radio

da cui ascoltare il mondo intero

e tutto ciò che ne viene dietro?

E per vederci ancora

Pur se per pochi secondi

Non inventai telefono e TV

E Facebook e Twitter

E blog e videoconferenze?

E la felicità di comunicare

Con il resto dell’umanità

Non mi è stata uccisa dalla paura

Di un grande fratello che mi spia

Anche nella più sciocca banalità?

E non è forse per la paura

Di perdere il bene più prezioso

La libertà della propria persona

Per la prepotenza di qualcuno

O per la cieca inane sofferenza di mali senza cura

Che scelsi volontariamente

Delle Parche un anticipato intervento?

E per superare con ragioni insensate

L’ossessione che tutto finisca

In un ultimo rantolo,

Resurrezioni e paradisi,

Visioni e metempsicosi,

Un’altra vita oltre la vita inventai.

Piramidi inutili e quasi immortali

Sepolcri di indescrivibile bellezza

Cimiteri monumentali costruii

Per continuare a corrispondere con amore

Le persone a cui lasciamo le nostre pene.

E ora che sono lì per naufragare,

Nel roteare senza tempo del pianeta,

Nel vuoto nulla dei mondi, infinito,

Superare non riesco

La paura dell’eterno.