IL CANE MORTO

Fu un giorno di dicembre che il vecchio agricoltore, che faceva da spalla a Damiano nei momenti in cui il barbiere raccontava qualche aneddoto per far ridere i suoi clienti, riuscì a monopolizzare l’attenzione di tutti i presenti con il racconto di un evento capitato ad un bracciante che spesso lavorava per lui.

Nel mese di dicembre nelle nostre campagne c’è la raccolta delle olive. I braccianti raccoglitori di olive si ritrovano la sera nella piazza principale del paese per contrattare l’ingaggio per uno o più giorni di lavoro. Di solito si formano spontaneamente squadre di raccoglitori, tra loro amici o solo conoscenti, di quattro o cinque elementi a seconda della quantità di frutto sugli alberi e della grandezza degli olivi. La mattina sono già in strada prima ancora che il cielo cominci a rischiararsi, a bordo dei Motom, motorini poco costosi e resistenti, si fermano per pochi minuti nei bar che aprono a quell’ora proprio per loro, bevono un caffè, fumano una sigaretta e poi tutti via, ognuno per la propria destinazione. L’animazione del corso dove i bar sono aperti dura pochi minuti:grida, battute di scherno, scoppio di risate tanto più fragoroso, quanto più è silenziosa la strada principale del paese. Scomparsi i raccoglitori ritorna sovrano il silenzio per un’altra ora, poi il paese si sveglierà rumorosamente ed un altro giorno si consumerà nell’immobilismo endemico dei nostri paesi. Nel piccolo podere di zio Peppe, un anziano contadino benestante conosciuto da tutti nella piazza delle contrattazioni perché era il più esperto nel comporre le varie squadre di raccoglitori, mezza versura di terra con un centinaio di olivi, raccolti intorno ad un piccolo falò fatto da rami di olivo ridotti in piccoli pezzi, per riscaldarsi un po’ in attesa delle sei in punto per poter iniziare la giornata lavorativa di sei ore, quattro braccianti fumano silenziosi in attesa anche del quinto componente la squadra. Il cielo a quell’ora è ormai quasi tutto chiaro ed in meno di un’ora sarebbe sorto il sole, che avrebbe sicuramente aiutato i raccoglitori nel loro duro lavoro. La sera prima zio Peppe aveva formato una squadra di cinque persone per raccogliere le olive della mezza versura di terra, che distava un paio di chilometri dal paese: con cinque uomini in due giorni, aveva calcolato, avrebbe raccolto le olive. Dalle loro bocche esce il fumo inalato, aumentato di volume dal condensarsi del loro fiato mescolato col fumo. Si guardano interdetti, Nicola non è mai stato assente, non ha mai mancato alla parola data, anzi non ha mai tardato di un minuto. Guardano l’orologio dando segni di impazienza e Vincenzo azzarda: “ Forse uno dei bambini si sarà ammalato e la moglie che è tanto precisa quanto fastidiosa, l’avrà bloccato per andare dal medico”:

“Potrebbe essere lui malato, gira una brutta influenza, la chiamano l’asiatica e arriva dalla Cina o dal Giappone o da quelle parti e avrà pensato bene di rimanere a casa” pensa ad alta voce Gino.

Federico il più allegro della squadra ammicca e poi a bassa voce, quasi stesse svelando un gran mistero :”So io dove doveva andare ieri sera con la moglie, anzi dove lo aveva costretto ad andare quella strega: ha la faccia dolce, la voce gentile, ma prova a non fare quello che dice lei, una strega, diventa una strega”.

Matteo sorride e con l’agilità di un gatto si arrampica sul primo ulivo del primo filare,seguito dagli altri tre; hanno atteso più di mezz’ora ed oggi toccherà loro di tornare più tardi a casa. Erano amici e colleghi e andava fatto. Ognuno sceglie uno dei quattro rami principali, si stende prono su di esso e con le mani fatte ad imbuto, strofinando le verdi frasche staccano dai rami le olive che cadono con leggeri tonfi sui teli stesi ai piedi dell’albero, larghi abbastanza per abbracciare tutta la chioma dell’ulivo. Poi scendono e staccano le olive dei rami più bassi, infine raccolgono i teli arrotolandoli in modo da non far perdere nemmeno un’oliva e dopo averli spostati sotto l’albero vicino, rifanno tutto allo stesso modo. Hanno spogliato già tre o quattro alberi del loro frutto, quando in lontananza si sente lo scatarrare inconfondibile del motorino di Nicola. Tutti e cinque, compreso zio Peppe, si rallegrano per l’arrivo di Nicola, così in due giorni completeranno il lavoro e potranno andare presso qualche altra partita più grande, con la possibilità di racimolare qualche giornata di lavoro in più. Federico, sempre in vena di scherzetti, si raccomanda agli amici:” Quando arriva nessuno che risponda al suo saluto, facciamo gli offesi, e tu zio Peppe gli devi togliere dalla giornata un’ora di lavoro e ci devi comprare un pacchetto di sigarette”

Zio Peppe paziente:”Lavorate bene, non perdetevi in chiacchiere, so io cosa devo fare dei miei soldi.” Tutti riprendono con maggiore lena il lavoro, lo si avverte dai tonfi delle olive staccate cadute sui teli: prima era una pioggerellina, ora è un consistente temporale. Nicola arriva, spegne il motorino che fa un gran fracasso e ha distrutto quel silenzio e quella pace, che prima erano rotte solo dai motti di spirito di Federico, salutando a bassa voce con un “ buongiorno a tutti”,, poi rivolto a zio Peppe soltanto” voi fate i conti poi del tempo che non ho fatto o posso recuperare con un po’ di orario in più, decidete voi stesso” e attaccatosi ai rami più bassi inizia con gran lena il suo lavoro. Lavora speditamente con le mani, ma la sua mente vaga lontano. Federico resta con un palmo di naso perché è Nicola che non vuole parlare con loro. Nicola sta rivivendo la sua tremenda avventura di poco prima. Quella mattina aveva fatto fatica ad alzarsi: qualcuno o qualcosa gli consigliava di non alzarsi! Era stata la moglie Filomena che alle cinque meno venti, aveva aperto le imposte del portone di ingresso della casa al piano terra nella via più importante del centro storico della cittadina e dalla strada entrò la luce del lampione pubblico che distava pochi metri dalla loro porta. La stanza era spaziosa ed ora anche illuminata da una luce che non feriva gli occhi e non disturbava il sonno dei loro due figli. Si era avvicinata al letto e scuotendolo con forza gli aveva sibilato nell’orecchio che era ora di andare a lavorare. Lui aveva risposto con un grugnito, poi si era girato e aveva ripreso a dormire e Filomena questa volta lo aveva scosso con una forza impensabile in una donna piccola e snella come lei. Non si era mossa dal letto se non quando Nicola si era messo a sedere sulla sponda del letto ed armeggiava con i piedi in cerca delle ciabatte. Frattanto Filomena,sempre sottovoce, preparava la colazione al marito, alla luce del lampione, latte caffè e qualche biscotto fatto in casa da lei, e continuava ad inveire contro Nicola: “Oggi non ti va di lavorare oppure avete intenzione di fare sciopero? Vi ho sentito ieri sera mentre parlavate a bassa voce tu e Federico, zitto zitto, fitto fitto, non te ne andare dietro a quello, che è scapolone e non ha figli da sfamare, vai di corsa a lavorare, e non permetterti di scioperare e non ritornare senza i soldi della giornata, in casa non entri altrimenti.” Nicola si era vestito, aveva mangiato la colazione bella calda che gli aveva preparato la moglie, passsandole accanto le aveva dato una pacca e aveva sibilato come faceva lei:”Stai sempre a borbottare, non sei mai contenta!” . Afferrò il motorino e con la forza delle braccia lo spinse fuori accompagnato dall’ultima raccomandazione di Filomena:” Accendilo in fondo alla strada perché fa troppo baccano e possono svegliarsi i tuoi figli”. E così aveva fatto obbediente. Giunto alla fine della strada accese il vecchio motorino e guardò l’ora, mancavano dieci minuti alle sei, era in perfetto orario, la campagna di zio Peppe è ad appena tre chilometri di strada dal paese, dieci minuti sono più che sufficienti. Salì in sella, poggiò il piede destro sul pedale,premette con forza dando contemporaneamente gas al motore e partì di scatto. Risalì verso il corso principale e lo attraversò tutto senza trovare nessun collega: i bar sono illuminati ma deserti, i suoi amici sono tutti partiti, ha fatto il pelandrone questa mattina. Aveva ragione la bella Filomena quando lo rimproverava. Era troppo precisa Filomena, qualche volta era proprio impossibile sopportare le sue prediche, veniva voglia di mandarla al diavolo, qualche volta sembrava quasi che lo facesse di proposito per stuzzicarlo, che gli faceva venire il sangue agli occhi. Però era la migliore mamma che avrebbero potuto avere i suoi figli, era la migliore massaia che c’era sulla piazza e poi quando si stringeva a lui e quando nel letto inarcava le reni nonostante il peso di lui e ansava con il naso e affondava le unghie nella schiena di lui per non gridare di piacere per i bimbi che dormivano accanto al loro letto, lui Nicola provava un piacere così intenso da riempirgli gli occhi di lacrime. Avrebbe voluto gridare, invece sussurrava il nome di lei come una preghiera fino a quando i respiri finivano di essere affannosi e il pulsare dei due cuori più lento. Il pensiero di Filomena lo mise di buonumore e si diresse verso la circonvallazione per prendere la strada interpoderale che portava in campagna da zio Peppe. Arrivato nel punto in cui la circonvallazione forma una curva che sembra non finire mai ed anche in ripida discesa,accortosi della velocità raggiunta dal motorino, impossibile da mantenere in quella curva, riduce il gas e corre quasi in sordina con animo leggero. A metà quasi della curva, vede, alle prime luci dell’alba, abbandonata al centro della strada, una grossa scatola di cartone. Allegro come era, istintivamente solleva il piede sinistro dal pedale, stende per quanto è lunga la gamba e assesta un calcio alla scatola con l’intenzione di toglierla dal centro della strada, scaraventandola verso il margine. Nicola aveva immaginato la scatola vuota, invece all’impatto non solo risultò alquanto pesante, ma dall’interno gli parve anche uscire il vagito di un gattino o di un cucciolo di cane. Superato un attimo di sorpresa, pensò prima e subito di essere quasi in ritardo, poi il pensiero che un camion avrebbe potuto schiacciarli lo indusse a frenare, a rigirare il motorino e a ritornare indietro per mettere fuori pericolo il cucciolo o i cuccioli. Il pensiero che potevano essere stati schiacciati non lo avrebbe lasciato presto, anzi lo avrebbe perseguitato per chissà quanto tempo. Raggiunta la scatola, lasciò cadere il motorino per terra e si precipitò ad afferrare la scatola e a depositarla sul margine della strada per adagiarla nell’erba della cunetta che costeggia la strada. Poi delicatamente aprì la scatola e ,Dio aiutami, nella scatola c’era un neonato bello come uno di quegli angeli dipinti sui muri delle cappelle della chiesa della sua parrocchia, paffuto,che dormiva saporitamente con la boccuccia dischiusa e il respiro nasale leggerissimo e sibilante. Il calcione che gli aveva assestato Nicola lo aveva disturbato solo quel tanto che gli aveva permesso di tirare fuori un lamento che a lui era sembrato un miagolio. Rimase a guardarlo basito per un tempo che non seppe misurare, e quando si riebbe dalla sorpresa e cadde in preda alla paura, pensò subito a Filomena. Però non poteva presentarsi a casa con un neonato in braccio e metterlo così sul seno della moglie:come l’ avrebbe preso? cosa avrebbe detto? Cosa avrebbe fatto? Poi ,senza perdere più tempo ,richiuse delicatamente la scatola, la adagiò il più distante possibile dall’asfalto, cercò di nasconderla il meglio possibile tra l’erba della cunetta, si guardò intorno per assicurarsi di non essere stato visto da nessuno, inforcò il motorino ancora acceso e, quanto più velocemente potè, si diresse verso casa. Quando arrivò la porta di casa era ancora chiusa e Nicola nella concitazione del momento cominciò a battere prima piano, poi sempre più forte per far accorrere la moglie. Che arrivò dietro i vetri come una furia scatenata: “Sei impazzito? Lo sapevo che oggi avresti fatto sciopero, ma quel Federico non dovrà più avvicinarsi né a te né a questa casa. La prossima volta vi farò vedere io cosa vi preparo”. “Perché non stai un momento zitta? Perché non mi lasci parlare? Ho trovato un bambino. Un bambino appena nato. Chiuso in una scatola di cartone.” “Ma ti sei fermato al bar? Hai bevuto di prima mattina? Che ti stai inventando?” Nicola le tappò la bocca con la mano destra e raccontò tutto ciò che gli era capitato, terminando con la solita domanda:” Ed ora che bisogna fare? Ho paura ad andare dai carabinieri.” “Carabinieri!…Carabinieri! Ora non è il momento dei carabinieri. Ora corri sul posto, prendi la scatola con dentro il bambino e portalo qui immediatamente. Io frattanto preparo il biberon per dare il latte al piccolino. Com’è? bello?…maschietto o femminuccia?…” “Che dici, pensavo proprio a vedere se era maschio o femmina….” le sue parole si persero nel vento che provocava il motorino di Nicola lanciato alla massima velocità possibile. Rifece tutta la strada di prima, passò sul corso e si diresse per raggiungere la circonvallazione, il paese si era svegliato e cominciava la vita di un nuovo giorno. Giunse alla circonvallazione, ma non ridusse il gas come aveva fatto precedentemente, volava ed alla curva in discesa vide la scatola che aveva messo quasi nascosta nell’erba della cunetta al centro della strada. Un grido di bestia ferita a morte gli uscì dalla gola: al centro della strada una scatola schiacciata, impregnata di un liquido rosso cupo, era quasi incollata con quel liquido all’asfalto della strada. Aveva rovesciato il motorino sul limitare della strada e si era seduto annientato da quella visione e dal pensiero di quel corpicino così brutalmente martoriato. Con il viso tra le mani singhiozzava mormorando:”Perché?.. Perché? Signore permetti queste cose? Chi aveva messo la scatola al centro della strada? E chi lo aveva rimesso la seconda volta sulla strada nella stessa posizione? La stessa persona o due persone diverse? E perché avevano voluto la morte di un bambino a tutti i costi?” “ Hanno schiacciato un cane! Che peccato! Quell’uomo che piange forse era il padrone del cane”. Queste parole dette da tre bambini che con grembiule e cartella si recavano nella vicina scuola elementare lo scossero. Si sollevò, inforcò il motorino e si avviò verso il lavoro. Ed ora girava, stando attento a non schiacciare le olive già cadute sui teli, sui quali era costretto a muoversi,intorno alla chioma dell’olivo di turno a staccare con le mani strette a tronco di cono le olive dei rami più bassi. I suoi colleghi ridevano agli sfottò di Federico nei suoi confronti, mentre un nodo sempre più stretto gli serrava la gola fino a togliergli il respiro. Voleva urlare, voleva trovare chi aveva preparato e portato a termine un simile delitto e schiacciarlo vivo sotto uno schiacciasassi, voleva….non sapeva più cosa voleva. Il sole di dicembre, ancora così caldo,, ormai alzatosi oltre le chiome degli alberi, lo investì alle spalle col suo calore. Un tepore di camino di casa si insinuò sotto i suoi vestiti aderendo alla sua pelle ghiacciata e sciolse all’unisono il tremore che non l’aveva mai abbandonato, il nodo alla gola che ancora gli toglieva il respiro ed il pianto che gli si era bloccato sull’orlo delle ciglia. Cercava di trattenere le lacrime, che, nonostante i suoi sforzi , scendevano come cascata benefica ed in cuor suo gridava al sole:” Perchè non ti spegni ad oscurare per sempre tutte le brutture del mondo?”.