Espero

Quando sarò nel vostro cuore

– spero –

lo struggersi di un fiore

a primavera

o il fiato della sera,

quando sarò ricordo

– non padre più, per voi, ma accordo

di pensiero

(spero) –

non credetemi lontano,

non sentitevi il ramo

d’un albero reciso.

Fate che la mia voce piano piano

ed il mio viso e le mie mani

riposino nel sangue delle vostre

vene. Rimangano alla vita

in voi. E dalle vostre dita

poi trascorrano nei figli

tutti dei figli che verranno.

Nessuno mai è vivo veramente

nel suo straccio d’esistere,

se non sa l’inganno di questo abbraccio

teneramente forte

atrocemente mite

delle passate, delle future vite

con la sua morte.

 

[da Poesie 1970-2000, Millesimo, cmavb, 2002; prefaz. di Giorgio Bárberi Squarotti]

 

Di che cosa è umida la nebbia?

Del vapore dei nostri pensieri

versati sul gelo del mondo.

Del velo d’attesa sospeso

sui fiori del tuo davanzale.

Del pianto dei miei desideri

strizzati dal mago giocondo

ch’estrae e ripone sogno e reale.

Del mare di tutti gli amori

perduti e di quelli rimasti

invissuti, che la vita ha negato.

Del dolore di tutti i diversi,

i lasciati, gli esclusi, i perdenti:

guscio di brina a proteggere il cuore.

Del trepido sudore dei morenti.

 

[da Decennale quarto. Poesie (2001-2010), Roma, Aracne, 2011; prefaz. di Giangiacomo Amoretti]


Genova, andata

Giuseppe (Pippo) Langasco studiò all’Università di Genova alla fine degli anni ’60, allievo di Croce Bermondi, Della Corte, Favati, Forni, Maltese, Pernicone, Pistarino, Ponte. Esponente di spicco del Movimento studentesco, sembrava destinato ad una rapida e brillante carriera politica. Invece, conseguita la laurea nel febbraio del 1973 (fuori corso di un paio d’anni), da un giorno all’altro sparì dalla circolazione. Molto lo turbarono, certamente, gli scontri del 23 gennaio alla Bocconi, che causarono la morte del ventunenne Roberto Franceschi. Si seppe poi della sua “fuga” in Sudamerica, dove da oltre un secolo viveva un ramo della sua famiglia, che all’epoca contava tra i rampolli un calciatore del Peñarol di Montevideo e il rettore dell’Università Nazionale di Córdoba. Lasciò qualche labile traccia in Uruguay (Dipartimento di Paysandú) e Argentina (Lanús, Buenos Aires) ed anche, per due-tre anni, negli Stati Uniti (Cincinnati, Ohio). Poi sparì di nuovo nel nulla. Quando ricomparve, non era altro più che un nome storpiato (José Languasque) nell’infinita lista dei desaparecidos di Plaza de Mayo. Da Cincinnati inviò al cugino Rigo, residente a Caprona, questa poesia (una canzone libera) in cui dava voce ad una struggente nostalgia degli anni genovesi (il Vittorio ricordato nella seconda strofa è un suo fratello, residente a Genova, portato via dal male).

 

Se un giorno inventeranno

la macchina del tempo,

ad altri lascerò le lunghe rotte.

Quando sarà il momento,

mi basterà un biglietto

per Genova, d’ andata (nella notte…)

– da Principe a Via Balbi, all’Annunziata,

da Largo Zecca a piazza De Ferrari,

salita per scalette in Via Almeria…

e poco più… – la Genova che vissi

in quella stanza mia (era la Mecca!)

al diciassette in Varco Gioventù.

 

E scenderò per San Lorenzo al porto

e salirò a Sarzano, a passi lenti.

E cercherò Vittorio,

su e giù per San Martino:

berremo vino dolce di Monforte,

un poco parleremo di Gesù,

del vivere com’ era,

del senso della vita e della morte…

E a sera più contenti tiferemo

nel verde di Marassi rossoblù.

 

Ma poi vorrò stanare

(con provvida cautela)

la serpe tentatrice (se ci fu)

– nei vicoli, nell’aule,

tra gli echi delle voci… –

e l’Eva-Beatrice

che all’albero rubò

la mela (succo e polpa)

di quell’acerba età.

 

E se fu colpa mia

– anche o soltanto mia

(superba vanità) –

questa dannata pena

(il trucco dei padroni

del dire senza dire,

del fare per avere

e torturare e uccidere

per sete di potere),

questa condanna piena

di fughe e d’ abbandoni,

di non-felicità.

 

Poi non farò ritorno.

E più non m’ aspettate.

Sull’ onde basse e storne

di scogli incoronate

il mare prenderò… da Boccadasse.

 

[da Di quei ch’andavan nel palazzo errando (Apocrifi), Mallare, Matisklo, 2015; prefaz. di Francesco De Nicola]