Tutto in una stanza

Siamo appena entrati nel nostro rifugio, un garage trasformato in un piccolo studio artistico. L’odore della trielina mescolato con quello dell’incenso danno un senso di stordimento, un effetto intenso ma piacevole. Sandro accende la vecchia stufa a gas che riesce in qualche modo a scaldarci. Fuori sta nevicando e ci sembra così ancora più bello poterci nascondere al mondo.

Mi siedo sul divano di velluto dal colore rosso sbiadito e ormai liso negli angoli, la musica mi avvolge, mi guardo intorno: c’è una confusione incredibile! Su alcune mensole fissate al muro in modo precario alcuni vecchi dischi, i libri di scuola e le riviste fotografiche di Sandro. In un angolo alcune tele rimaste incompiute si sono ormai ricoperte di polvere e al centro della stanza l’ultima opera ancora da completare. Sul vecchio tavolo da cucina campeggiano un’infinità di colori e pennelli, fogli e matite colorate. La musica copre il nostro silenzio: mentre mi spoglio Sandro si accende una sigaretta con movimenti lenti, quasi impercettibili.

Aspetto: le luci basse e colorate rendono più calda la stanza e girando lo sguardo intorno mi accorgo che su una parte della parete rosso scuro fanno bella mostra le foto scattate la scorsa settimana, un bianco e nero stile anni ’30. Alcune sono bellissime e mi compiaccio della mia acerba bellezza, della mia adolescenza rubata da quelle immagini ed offerta all’occhio indiscreto di una macchina fotografica. In questi pochi metri quadrati ogni giorno proviamo ad inventare la nostra vita rubandoci l’amore con avidità, sognando grandi imprese, noi, protagonisti di questa piccola storia d’amore domani, forse, dimenticata.

Sono le 17 di un pomeriggio d’inverno e fuori sta ancora nevicando.


Lei

Mi capitava raramente di incontrarla durante le vacanze nei brevi periodi che trascorrevo in paese, ma non l’avevo dimenticata. Parlavo spesso di lei con gli amici di un tempo, loro erano per me l’unico legame con il nostro passato. Ora viveva in una casa lontana dal centro del paese, in aperta campagna, usciva di rado e solo per brevi commissioni. Così quando la rividi, in quella calda sera d’agosto, ebbi quasi un tuffo al cuore. Lei era lì, a due passi da me, seduta al tavolino di un bar nella piazza grande del paese.

Colsi subito l’occasione e mi avvicinai. Le chiesi di bere qualcosa insieme, lei accettò con gioia e  fu subito come un tempo. La guardavo mentre mi sorrideva, mentre mi raccontava in modo concitato ed euforico la sua vita. La sua naturale bellezza ora mi appariva leggermente segnata da alcune rughe che intristivano le sue labbra carnose. La guardavo e sentivo tutta la sua disperazione, il suo dolore nonostante un  malcelato tentativo di nasconderlo.  Continuava a bere e a parlare mentre io mi chiedevo dove mai fosse finita la sua inesauribile creatività, la sua allegria, la sua voglia di vivere, di inventare sempre qualcosa di nuovo.

Quella stessa sera mi portò nella mansarda della sua nuova casa dove aveva cercato di reinventare un presente. Lì aveva rinchiuso i tutti  i sogni e i desideri, gli amori.  Campeggiavano tutt’intorno schizzi di abiti, immagini vaghe disegnate su fogli.  Altri oggetti erano gelosamente nascosti in una cassapanca insieme ad alcune stoffe con le quali aveva sognato di adornare corpi flessuosi di donne, corpi con cui giocare con amore e fantasia.

Ricordo nel lunghi pomeriggi d’inverno che spesso ti facevo da modella e mentre io mi sentivo così unica e così bella tu realizzavi il tuo piccolo sogno.

Il matrimonio ti rese per un giorno protagonista della tua vita,  splendida avvolta nel tuo abito bianco immacolato, circondata da mille attenzioni e sguardi compiacenti. Ma anche l’essere madre non bastò a colmare quel vuoto che ancora oggi porti nel tuo cuore.

I tuoi silenzi parlano, urlano la tua rabbia.

Leggo solo rassegnazione sul tuo volto, nei tuoi occhi che mi scrutano profondi dietro il vetro di quel bicchiere, tra le pieghe delle tue labbra.

Ricordo di averle baciate, un giorno, ma questa è un’altra storia.


 

 

Il venditore di giornali.

 

     Calle Obispo era affollata come sempre; un mare di turisti si era riversato nella via centrale della città vecchia e come formiche operose entravano ed uscivano dai negozietti alla ricerca di regali oppure sostavano nei bar all’aperto sorseggiando moijtoe margarita a ritmo di salsa.

Mi piaceva quella confusione fatta di voci e linguaggi differenti, di suoni tamburi. Conoscevo bene quella parte della città, ne assaporavo l’allegria.

Mi sentivo a casa e come  nella mia casa ne amavo ogni angolo, anche gli spazi più nascosti. Su di un lato della strada si apriva una piccola piazzetta dove si vendevano piccoli animali e pappagalli variopinti.

Mentre sostavo all’ombra di un piccolo albero da frutto seduta su di una panchina lo vidi arrivare con i suoi giornali sotto il braccio.

“Granma granma” gridava “la prensa de hoy”, un cuc”. Era vecchio, magro, il suo viso rugoso dimostrava molto di più dei suoi anni.

Sfoderava un sorriso che metteva in mostra una dentatura bianca ma scarna. Ho sentito il bisogno di avvicinarmi a lui con la scusa di comprare una copia del suo giornale.

Quel sorriso e i suoi occhi luminosi hanno acceso tra noi una dolce complicità. Abbiamo parlato tanto, del passato e del presente, della vita, della felicità. Dei sogni e del sognare.

Dopo ho capito che dentro quell’esistenza così semplice c’era tutta la bellezza del vivere.

Dopo niente è stato più come prima.

Ancora oggi ne ricordo il profumo.


 

Siamo appena entrati nel nostro rifugio, un garage trasformato in un piccolo studio artistico. L’odore della trielina mescolato con quello dell’incenso danno un senso di stordimento, un effetto intenso ma piacevole. Sandro accende la vecchia stufa a gas che riesce in qualche modo a scaldarci.

Fuori sta nevicando e ci sembra così ancora più bello poterci nascondere al mondo. Mi siedo sul divano di velluto dal colore rosso sbiadito e ormai liso negli angoli, la musica mi avvolge, mi guardo intorno: c’è una confusione incredibile! Su alcune mensole fissate al muro in modo precario alcuni vecchi dischi, i libri di scuola e le riviste fotografiche di Sandro. In un angolo alcune tele rimaste incompiute si sono ormai ricoperte di polvere e al centro della stanza l’ultima opera ancora da completare.

Sul vecchio tavolo da cucina campeggiano un’infinità di colori e pennelli, fogli e matite colorate. La musica copre il nostro silenzio: mentre mi spoglio Sandro si accende una sigaretta con movimenti lenti, quasi impercettibili. Aspetto: le luci basse e colorate rendono più calda la stanza e girando lo sguardo intorno mi accorgo che su una parte della parete rosso scuro fanno bella mostra le foto scattate la scorsa settimana, un bianco e nero stile anni ’30.

Alcune sono bellissime e mi compiaccio della mia acerba bellezza, della mia adolescenza rubata da quelle immagini ed offerta all’occhio indiscreto di una macchina fotografica. In questi pochi metri quadrati ogni giorno proviamo ad inventare la nostra vita rubandoci l’amore con avidità, sognando grandi imprese, noi, protagonisti di questa piccola storia d’amore domani, forse, dimenticata. Sono le 17 di un pomeriggio d’inverno e fuori sta ancora nevicando.