CANTO III

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Il canto che l’amore venera
ti condurrà per mano mia sposa,
laddove il silenzio genera
la melodia più misteriosa,
che come la neve tenera
leggera scende e si posa.

L’alba nasce sull’oscurità
e quieta ovunque si protende,
dando al mondo identità
e solo questo forse rende
l’idea dell’entità
di quanto in te risplende.

A tal punto fosti musa
e adolescenzial tormento,
che l’alma mia confusa
conobbe lo sgomento
di chi ogni arma usa
senza sortire un cedimento,

ma quando ogni mia speme
batteva bianca resa,
proprio tu piantasti il seme
d’una storia inattesa,
che ci vide alfine insieme
in un’insperata intesa.

Le polveri s’incendiano
in una sola deflagrazione,
ma i poeti c’insegnano
ch’ancor più dell’esplosione,
gli amanti necessitano
d’ogni singola emozione

e non è mai abbastanza
l’affetto chiesto o dato,
poiché è la costanza
d’un sentimento ricambiato
a garantir lungimiranza
all’amore appena nato.

Due vite che si uniscono
non posson denunciare
un malessere che vivono,
credendo d’evitare
quella colpa che all’unisono
solo a lor si può imputare;

difatti in un’unione
non esistono confini:
pensiero e azione
devono esser inclini
al dar levigazione
agl’aspetti meno affini;

così la smussatura
un traguardo rappresenta,
previene la frattura
ed insieme alimenta
la crescita più pura
che all’eterno si orienta.

Eppure questa via
non è che una ricetta
e senza garanzia…
l’amore amor rigetta,
confermando la teoria
d’una scienza imperfetta.

Non esiste una dottrina
applicabile al sentire!
Quel che la mattina
ci sembra di capire,
non è altro che la brina
del primo imbrunire…

…l’unica certezza
che si possa affermare
è che qual sia l’asprezza
da dover sopportare,
non sarà che una brezza
per chi saprà amare!

tratto dal monologo: “Zero”


CANTO I

LE SCHIERE ANGELICHE

Non v’era forza, materia o sostanza,
né tantomeno calore o colore,
quando l’Eterno creò la distanza
ed il contorno del proprio bagliore,
onde sancire così sudditanza,
mista al contempo ad un gesto d’amore.

Nel suddivider le proprie virtù,
diede sembianza e forma primordiale,
nel numero di cento ed otto in più,
a quella stirpe angelica immortale,
che testimon beneficiante fu,
della gloria divina originale.

I primi nove spiriti perfetti,
che la sapienza raggiunse e pervase,
verso punti specifici diretti,
si mossero cantando questa frase:
“Dalla sfera lucente siam eletti,
per cingerla dall’apice alla base.”

In alto venne posto il più radioso
e in una intersecata rotazione,
ben sette non si davano riposo,
ardendo di fulgente devozione,
mentre il nono, con fare rigoroso,
l’altre schiere dispose in successione.

Partitosi dagli otto Serafini,
attrasse a sé, con volo circolare,
i nove quadrifronte Cherubini,
che subito iniziarono a girare,
guardiani della luce e dei confini
che vista umana rischia a valicare.

Se ad un cerchio s’aggiunge la corona,
quest’ultima il perimetro ha più grande;
nel dotare di ruote la poltrona,
dell’Ente che supremo pace spande,
fu dieci la chiamata giusta e buona,
dei Troni per solcar l’eterne lande.

Con l’assegnar un numero diverso
dall’undici al sedici crescente,
all’orbite seguenti diede un verso
contrario al movimento precedente,
così Dominazioni d’universo
prepose ad ordinare l’esistente.

Ai lampi di Virtù per arte e scienza,
s’opposer le nebbiose Potestà,
custodi della vera conoscenza,
della storia che viene e che verrà:
se non si può dell’une fare senza,
son l’altre che detengon verità.

Concesso venne quindi ai Principati,
dei regnanti decider i destini,
agli Arcangeli furon affidati
di messager gl’incarichi divini,
mentre gli angeli invece designati,
a guida di chi in tempo a Dio s’inchini.

Sentendosi già parte del progetto,
che vide nelle schiere l’avamposto
e non volendo credersi architetto,
eseguendo sol quanto predisposto,
benché Michele fosse un prediletto,
tra gli arcangeli infine prese posto.

Tra luci, giri, lampi e dolci canti,
di nove alterne cerchie gaie e pure,
attorno al Bene massimo orbitanti,
la suggestiva somma di premure,
volute per dar vita a respiranti,
fu il germe delle dispute future.

tratto da: “La Grande Seduzione”


 

CASACCA E SONAGLI

Non rivoli di tristezza
O maschere di cereo sconforto,
Chiederò una compita gaiezza
Nel giorno in cui sarò morto.

Il fato mi fece giullare,
Ben presto mi diede un costume,
Da folle impari a parlare,
Mantenendo del senno il lume.

Cedete la vostra apatia
A chi con burla e sberleffo
Può farne l’altrui allegria:

Ironizzar su tutti gli sbagli
Pensando che in fondo è normale
Indossare casacca e sonagli.

Epitaffio (28 dicembre 2000)