DA “NON CI MANCA NULLA”
3 RACCONTINI INTRODOTTI DA VERSI INDICATIVI

Ogni riferimento a fatti e persone veramente esistenti è determinato dal fatto che a tutti, prima o poi, capita tutto.


“Si affacciano i suoi occhi al Mondo
Pregnati di fiducia e compassione
Non erano passate che “due ore”
Che già si avvide che il luogo era corrotto”

La Maestra

-E che questo non esca da questa quattro mura!- tuonò l’eterna signorina dalla cattedra, mentre, nervosamente, si aggiustava con la mano destra i capelli, quasi non fossero incollati da tre litri di lacca e con la sinistra la gonna, paventando miriadi di tic nervosi, forse dovuti all’assenza di coscienza del suo io sessuale, forse per aver soffocato da sempre la voglia di picchiare a sangue chiunque le capitasse sotto tiro, chi lo sa: ormai non potremmo saperlo se non quando la rivedremo all’inferno (quindi speriamo MAI).
Le sue lezioni erano perfette, da darle dieci in quasi tutte le materie, tranne la matematica. Infatti chi da quella classe uscì con doti algebriche deve darsi autonomo merito, potrebbe persino definirsi un genio.
Ma la materia preferita era il –mi-faccio-i fatti-vostri-e vi metto tanta-malizia in corpo- e le riusciva assai bene attraverso i compiti in classe, i temi “Parlo della mia famiglia” – “Racconto il fine settimana in famiglia”- “Gli amici dei miei genitori”- “Vi racconto qualcosa che ho fatto e per cui chiederei perdono”- etc etc….
Poi arrivava la discussione in classe, i quaderni lanciati, perché non si era approfondito, e la predica morale col consiglio: andate-alla-cattredale(non le riusciva mai di dire cattedrale-nda) e confessatevi (ma la confessione non è segreta?).
Terribili erano le –retrocessioni-: ora questo compito terribile lo leggiamo in seconda e vedrai come ti deridono i tuoi compagni più piccoli, BUCCALLOTTA CHE NON SEI ALTRA!
Gianna si metteva due paia di calze mutanda di lana, per preservare il suo sedere spesso vittima di numerosi sculaccioni : e chi ha da dire qualcosa sarà la prossima.
C’erano anche le “incognite” , due bimbe senza madre ne padre che vivevano nell’orfanotrofio e quindi erano relegate all’ultimo banco, non degne di alcuna considerazione, nemmeno di sculaccioni, nemmeno che alcuna di noi si ricordasse il loro nome.

Non sappiamo se prima o poi questa sua colpa l’avesse mai confessata in “cattredale” , ma forse il classismo non era da annoverarsi fra i peccati, non rientrava fra le analisi bibliche o evangeliche insegnatele a suo tempo, ma erano anche tempi in cui non ci si rendeva conto: “Padre perdonala, che non sapeva quello che faceva e nemmeno quello che diceva, assai spesso”
Ma Janina era la figlia di un collega, nulla a che vedere con le figlie dei medici, o dei deputati o avvocati, ma rientrava nella classe media, quindi degna di stare al primo banco della fila delle “quasi” .
Gli occhi di Janina cominciavano a intravvedere l’esistenza del male, dell’ingiustizia, di quanto non fosse affatto vero che degli adulti ci si può sempre fidare. Cominciava a capire che era necessario distinguere gli insegnamenti utili da quelli inutili o dannosi. Non imparò mai però a difendersi dalle persone malefiche, perché mai avrebbe voluto essere simile a loro, a costo della propria vita.
L’enfasi con cui la maestra narrava gli episodi della Storia era forte, nel cuore che palpitava si installavano gioco forza tutti i principi fondamentali dell’amor patrio e guai se nel turno di lettura a voce alta ognuna delle alunne non impersonava appieno il pathos del momento.
Un energia inesauribile veniva trasferita dal cuore di quella zitella nutrita di cultura e contraddizioni per trasformarsi in ognuna delle scolare in mille altre convinzioni, rielaborazioni, contraddizioni di ordine uguale o opposto.
L’odore della classe, del gesso, dei quaderni, si mescolava a quello della paura, della vergogna se non si fosse state all’altezza, in un gioco di incredibilmente sana competizione per “classi sociali”, ognuna poteva competere solo col suo pari livello, sapendo che la classe dei “nove e dieci” apparteneva solo a giudici, avvocati, medici di prima categoria. Janina faceva risplendere la sua pagella di fieri otto, nemmeno cosciente che fossero in realtà dei dieci che non potevano offuscare la regalità della figlia del Professore Emerito dell’Ospedale.
Ma quando quel Professore fu denunciato, dequalificato, trasferito, di colpo l’intera classe esultò, quasi che punendo quell’uomo si fosse resa giustizia a tutti i dieci non dati, alle sculacciate mai prese dalla “principessa” .
A distanza di quarant’anni una decina di compagne di scuola di quella gloriosa classe, decisero di rincontrarsi e passare una giornata di rimembranze. Portarono i fiori alla Maestra ormai cadavere da tempo, spalmarono un po’ di miele sulla lapide, per donarle un po’ di dolcezza, insieme a un corale perdono affinché potesse lasciare il Purgatorio, se lì fosse stata.
Ognuna di quelle bimbe, ormai madri, nonne persino, già segnate da una vita densa di un’ubriacatura di avvenimenti, troppi tristi, portava nei propri occhi ogni attimo di quel periodo dell’infanzia e di quella incredibile donna “La Maestra” che in fondo, davvero, insegnò in pochi anni un’intera vita a ognuna di loro.


 

“Nella finzione del quotidiano andare
Passa inosservata ogni bugia
Ma non perché non sia a ben tutti nota
Bensì perché più comodo tal sia”

UN MEDICO “IN FAMIGLIA”

Silvana era uscita assai presto quel pomeriggio. Forse aveva detto o non aveva detto che andava da qualche parte , né ci è dato di sapere se il marito avesse una minima idea, sentore, coraggio di sapere, dove lei stesse andando.
L’aria non era né calda né fredda, come nei soliti “nostri” autunni .
Uscì di casa, prese l’ascensore , stando attenta che nessuno del palazzo fosse in grado di notarla, come se non fossero anche gli altri come lei , che tendeva l’orecchio quando sentiva scricchiolii appena impercettibili , per poter poi immaginare storie da raccontare… basta che non fosse la sua.
Prese la macchina, fece appena due giri di isolato e la parcheggiò , secondo lei, in un punto anonimo, come se a “Nulla” possa esistere un “punto anonimo”, scese dalla macchina e si diresse verso il portone dell’ambulatorio , era un giovedì : ORARIO PER IL PUBBLICO DAL LUNEDI AL MERCOLEDI ORE 16/19 ; GIOVEDI : SOLO PER APPUNTAMENTO ……..
Beh, l’appuntamento ce l’aveva!
Lui aprì la porta e la fece entrare come fosse un gesto consueto, richiusa la porta fece due o tre cenni di domande, cui seguirono le solite risposte non risposte, condite da risate , spostamenti di ciocche di capelli appena tinti, e posizioni studiate nei dettagli , come la vedova nera quando compone la tela per fagocitare il povero illuso condannato a morte dopo quel secondo di godimento.
Ma il desiderio non è mica così controllabile, e non gli sfiorò mai al giovane medico di prendere una buona dose di bromuro per eliminare le proprie pulsioni nei confronti di quella donna affamata di improprie conquiste.
Lui dapprima fidanzato, sposato , amante di altre amanti : tutto come da copione! E’ il miglior territorio di conquista di Silvana, la controprova costante di essere bella e irresistibile, come lo fu da giovane, come lo fu nel centro massaggi, da cui fuggi dopo aver fagocitato il prestante gestore, come pure accadde nella piscina e ovunque avesse deciso di passare e lasciare il segno indelebile della sua forza seduttrice.
Lo fecero ovunque , dal divanetto della sala d’attesa all’armadietto dei medicinali, al bordo del cesso … ovunque e in ogni posizione possibile, tale da far impallidire il più completo manuale di Kamasutra.
Poi lei si ricompose, si vestì, volendo conservare fino alla doccia di casa propria la prova di quanto avvenuto , da non raccontare rigorosamente a nessuno : meglio raccontare le cose degli altri, finanche non esistenti, piuttosto che le proprie, ma questo lo avevamo già detto e lo ripeteremo, come da “schema di regolamento”!
Entrata a casa non disse “ciao” a nessuno , men che meno al presunto coniuge intento a rimettere a posto sedie, cuscini, posate, minchiate, forse per auto convincersi che tutto fosse a posto, che non potesse essere altrimenti!
Il nostro dottorino era rimasto lì, al buio, a cercare di capire cosa fosse successo, cosa succedesse da mesi, o da anni : se lo chiedeva tutte le dannate volte e ogni volta si ritrovava nella medesima situazione, forse per studiare meglio l’avvenimento e porsi le stesse domande in maniera più precisa, in modo che potesse più precisamente continuare a non rispondersi.
Lei sotto la doccia si ripuliva dai resti della gloria e del peccato pronta a riassumere le vesti di fredda donna di mondo, magari anche di madre, magari anche di “bisognosa di cure psichiche” , e ascoltare le follie di qualche amica, e scandalizzarsene , e sgridare l’amica come madre premurosa e preoccupata, tranne poi a deriderla con l’amica successiva .
Il telefono squilla: è l’ora di andare a dire una preghierina affinchè ci arrivi l’illuminazione, si va, poi si può andare a vedere gli “odio-amati” vecchi….
Il mondo di “Nulla” fuori continua, e le Silvane e i medici di famiglia entrano ed escono dagli ambulatori, prendono queste e altre medicine , forse per sentirsi vivi, forse per morire più in fretta , ma ne serbano il segreto quasi non fossero sotto le telecamere del nostro film.


“La cupidigia è un antico male
Che il cuor pervade di insana voglia
Di impossessarsi a costo della gogna
Di ogni gioia che ad altri appartenga”

Il gioiello scomparso

A Giacomina non è che interessasse molto degli ori , nemmeno di vestirsi in gran gala. Le piaceva sentirsi libera di correre e sporcarsi come i maschi , giocare a pallone per ore e ore e non avere alcun condizionamento di genere, come generalmente accadeva a tutte le femmine.
A dire la verità non aveva alcuna stima, e mai l’avrebbe avuta, per la c.d. femminilità, che spesso trasbordava, secondo lei almeno, nella superficialità e ocaggine.
Di passioni ne aveva molte e non le bastava il tempo per coltivarle tutte, questa caratteristica l’avrebbe poi accompagnata per tutta la vita, una intera esistenza di “incompiute” di potenzialità incredibili cadute nel nulla per sfortuna, per timidezza, per amore , per qualsiasi ragione potesse frapporsi fra lei e la realizzazione piena di uno scopo.
Aveva partecipato a un concorso canoro e aveva vinto un bellissimo premio : una meravigliosa collana con un prestigioso ciondolo in oro bianco ulteriormente impreziosito da diamantini di pregiata fattura . Non l’avrebbe forse mai messa al collo ma ci teneva moltissimo: era la prima e forse unica volta in cui avrebbe avuto un apprezzamento tangibile per una sua capacità.
Un bel giorno si aprì lo scrigno di famiglia, ove era custodito il prezioso monile ma la sua scatoletta fu trovata vuota. A dir la verità il sospetto sull’autore del furto balenò immediatamente nella mente dei presenti, ma fu rimosso, sempre per la solita stupida paura di dover affrontare discussioni e di dover prendere una decisione nei confronti di una persona che manifestava già da troppo tempo i sintomi di una malattia terribile: “frenesia dell’impossessamento di beni altrui” , malattia che, mai curata, produce anche ai nostri giorni gravissimi danni e appare anche contagiosa senza un’accurata profilassi.
Ci sono senz’altro numerose famiglie in cui sono presenti soggetti affetti da mali similari, ma, normalmente, tali soggetti tendono a godere dei frutti delle loro sottrazioni, e li vedi felici, magari hanno effettuato un conveniente scambio e si pregiano di sfoggiarlo, ma la malattia di questa infelice componente di questa strana istituzione che è la famiglia, di cui nessuno alla fine comprende il vantaggio, porta alla pura e semplice tesaurizzazione. La soddisfazione sta nella sottrazione in se stessa e nel possesso del bene, maggiore è la spoliazione della vittima, maggiore è il godimento del maltolto; vi si riconosce persino qualcosa di arcano in quest’atto, una sorta di maledizione insita nel gesto – ti tolgo così non avrai mai nulla- da rimanere sconcertati e desiderare l’internamento perpetuo del malato.
Il destino però, a volte, porta le soluzioni più bizzarre, e dopo una decina di anni, un figlioletto della cleptomane aveva visto bene di svuotare un armadio mentre giocherellava in presenza della legittima proprietaria del gioiello. Ed eccolo apparire in tutta la sua bellezza, scivolato giù da sotto una decina di tovagliette ben piegate, ben stirate e persino ben ricamate da quelle mani ladresche che avrebbero potuto dedicarsi a quello anziché al ladrocinio.
Dopo quel ritrovamento, come spesso accade, mille e più di altre storie simile vennero alle orecchie di Giacomina, magra consolazione sapere che questo vizio imperversa incontrastato nelle più improbabili abitazioni, e non conta la ricchezza o la povertà ma solo il malanno che poi viene esportato nei luoghi di lavoro, al mercatino e in ogni altro luogo ove sia possibile mettere alla prova la propria abilità e sentirne il brivido adrenalinico che scorre dentro un sangue putrido ancor prima del benedetto futuro decesso.