“Questo Amore mio”

Hai impacchettato i miei sentimenti
e li hai smaltiti nel pattume dell’indifferenza.
Ho sentito il freddo di una notte incartata
che rigurgitava i ricordi
e li stritolava
come immondizia metropolitana.
Hai rimosso questo Amore
tra la ruggine
e gli acidi del tuo fluido nero
ed hai lasciato che colasse
come sangue infetto
sulle mia braccia corrose.
Tu l’hai smembrato
sfinito
buttato
questo Amore.
L’hai abbandonato sopra i marciapiedi
come le puttane
sopra il bordo della notte
e tra i fuochi
e gli occhi avvampati
della gente che passa
è solo spazzatura
questo Amore,
l ‘Amore mio.

25 versi


LE PAROLE SULL’ACQUA

Era tornata al lago per cercare se stessa nello spettro dei suoi fluidi occhi di pietra nuda. Il desiderio era forte come l’abbraccio di quella marea, così liquefatta davanti ai suoi suoi piedi . Tuffarsi nei suoi vortici di silenzio e dormire… Ogni tanto qualcosa graffiava la superficie e lasciava un segno che si perdeva ancora prima di toccare la terra. Ogni tanto un frullo d’ali tagliava il cielo segnando geometrie silenziose. Le sue mani seguivano distratte le pieghe di un foglio e tracciavano arabeschi e da quelle linee scolpite tra cielo e terra si staccava un nucleo di parole che lei ripeteva sospendendo lo sguardo sulla linea dell’infinito, lì davanti, così libero…così puro.
Il respiro soffocato nell’ansia faceva pulsare il cuore sospingendo la vita in ogni anfratto di cellula viva.
Il suo corpo era Vita.
La vita stessa la strappava alle regole lasciando sullo spartito spiegazzato del Cuore soltanto parole sussurrate. Quella sinfonia la cercava, la riempiva e si calava come un balsamo infetto d’amore smembrato che respirava ancora dei suoi respiri e cantava del suo canto e scolpiva una traccia nell’anima accanto a quelle parole fatte di mostruoso silenzio che girovagavano intorno, confuse e distratte.
Ogni tanto il ricordo di certi giorni si rinnovava ed i giorni stessi sembravano raggirarla, nutrendola di illusioni e di promesse.
E lei era lì…proprio in quel momento, proprio mentre quello spazio occupava i suoi emisferi e frustava le guance con un debole sorriso, adesso. E poi ancora quel silenzio, quel silenzio che la penetrava e che le aggrediva i visceri e che poi la sconvolgeva e poi attenuava la sua solitudine, mentre lei stessa diventava solitudine, ed assorbiva tutto quanto.
Era bello sentire la terra sotto i piedi, la sua nudità contro la nudità della terra stessa. Il suo spirito danzava raccogliendo la sensazione pura d’essere parte della terra e non c‘era nulla che potesse distrarre l ’armonia di quella solitudine perfetta . Il suo corpo sembrava fluttuare leggero e si spiegava come una vela sinuosa, appena presa dal vento. E lei era vento e non più marea e non più pietra nuda e neanche vento ma solo…silenzio.
Quanto tempo, prima che tutto fosse di nuovo così perfetto
C’era ’intervento del ricordo, perfetto anche lui, anche lui scavato, come scavato il tempo rimosso e le mani e le linea del sorriso, ma la nostalgia era un veliero che naufragava nel Cuore senza rimpianto e restituiva il carico prezioso di una sofferenza dolce e pacata.
Anche se la terra avesse inghiottito tutta l’acqua del mondo e tutti i sassi e tutte le foreste e tutto il creato avesse divorato se stesso, sarebbero rimaste ancora due stelle da appuntare al cielo ed il cielo sarebbe rimasto lassù per lei… perché il cielo non poteva cadere due volte…non più e lei sapeva tutto questo…o forse desiderava tutto questo…o forse lo sognava soltanto…però lo voleva.
Le sue mani immerse nell’acqua e l’acqua che scivolava fra le dita… e lei che lo sentiva, quello smarrimento che accompagna le lacrime e sorregge il petto in un sussulto…” mio Dio… sei dentro di me, fluido, come quest’acqua che non trattengo ma… ti sento… e non grido… per paura di perderti”.
…E lei era In quelle notti insonni spazzate dall’inquietudine, dove c’era il senso del tempo ed accanto al tempo la vita che ciondolava come una catena sbattuta mentre operava mille alchimie per distrarre quella cosa chiamata coscienza.
Dov’era finito quello strano animale che fagocitava i sogni, sputando via i rimasugli di dolore, deformando la verità, dov’era…e dov’erano i suoi angeli adesso, in quell’ istante di perfetta ed assoluta assenza. Dov’erano, allora. Forse in quella dimensione avulsa dalla coscienza liquefatta? Dentro la vera se stessa, lontano da quel puntino chiamato mondo dove il mondo si dimenava come una belva ferita senza sapere null’altro che urlare il proprio dolore da smarrire? I suoi angeli…invocati da sempre e da sempre lì…accanto a lei …nudi e feroci…come solo la verità sa essere “perché la verità è un angelo dalle ali nascoste…perché la verità è bianca e leggera ma le sue ali tagliano come lame di ghiaccio sul tessuto del cuore”.
Lassù in alto c’erano ancora le nuvole…e loro appartenevano al cielo ed andavano verso l’infinito.
La luce era dovunque mentre, piano, si inabissava, folgorando le ombre che si stemperavano e si illanguidivano e scomparivano, agguantate dal silenzio e dallo spazio.
Una preghiera attraversava l’anima e lei sentiva che la cercava da sempre e che, a volte, i giorni annebbiati le intorpidivano i ricordi mentre qualcosa di immenso cercava le parole x dirlo.
Ma in quello spazio d’infinita assenza, dove nessuno chiedeva e le parole non avevano bocche sgrammaticate per recitare menzogne e tutto era silenzio …e lei stessa era silenzio adesso, aveva stretto le mani al suo terrore, mentre il suo terrore si era sciolto nel pianto, impastandosi come creta , concependo un’altra vita.
Si era rialzata mentre i suoi occhi naufragavano nel cerchio di sole, con la fame di luce nell’anima Si era incamminata lasciando che l’impronta della terra cruda si perdesse dietro i suoi passi. Il suo viso corrugato di domande aveva fame di parole ma lei le aveva lasciate inabissare negli alveoli dei suoi polmoni per dare nutrimento al suo bisogno di vivere. Parole che, come coriandoli sospinti dal vento, avevano seguito il suo addio lasciando intatta solo la sua preghiera, ” ecco… la mia Vita… e tutto quel che resta.”

M.i.a.


COME UN AQUILONE

Solo una volta si erano detti, una volta ancora. Erano arrivati in quella casa con l’euforia e la forza di un’attesa troppo lunga da domare ed ora stavano l’uno di fronte all’altro, incapace di credere che esistessero ancora. Ci sono storie che non hanno un confine preciso e che provocano un dolore insopportabile. Sono quelle di cuore e ragione dove non è facile tornare indietro sani e salvi perché non è prevista alcuna detrazione e quando torni indietro non sei più lo stesso.
Fuori da quella stanza, tutto quello che c’era girava come un vortice che assorbiva la gente e si perdeva, aggrappandosi alla pulsazioni dei loro cuori che misuravano il tempo.
La stanza era buia e profumata d’ incensi e cannelli di cera. Lei aveva un certo gusto per le cose esotiche e sapeva che, quel vago senso di terre lontane, era un modo per proteggersi dagli assalti del fato che la schiacciava nel calco delle sue radici.
– “Guardami, sono qua…”
Lei sperava di contenere la piena di quell’incontro cercando di ricucire la ragione dentro il suo corpo mentre il desiderio di lui bruciava dietro i suoi gesti convulsi ed impacciati. Aveva appena sollevato un tratto di persiana lasciando che la luce filtrasse tra le ombre piene dei loro corpi.
Lui era sprofondato nel buio ma le sue mani cercavano il flusso caldo di lei.
– “ Aspetta…”disse, allontanando le mani di lui, mentre lei stessa voleva arrendersi a quel contatto lambito.
– “Aspetta…” e l’abito le scivolò dai fianchi, sfiorando il viso proteso di lui
che si raccolse dentro quel tessuto e sopra il suo ventre di nuvola calda e nuda.
– “Guardami…voglio i tuoi occhi incollati al mio corpo, prima dei tuoi baci…voglio che sia così…non toccarmi…non adesso…”
Il tessuto si scolpì ai suoi piedi, raccogliendosi fra le cosce come una pelle disadorna ,mentre i battiti sincopati del suo cuore seguivano la traccia del respiro di lui con l’istinto animalesco della sua voglia.
Il pizzo bianco sulla pelle trafisse il buio scolpendo il suo delta dietro un sipario trasparente. Nell’oscurità che la rivelava appena, sentiva la sua voglia che ruminava parole tra i denti e non c’era passato e non c’era futuro, in quel limbo,ma solo un efferato bisogno di lei , che lo assassinava, lentamente, dissanguando le sue cellule.
– “No…non ancora” disse lei.
Il desiderio esasperato di lui la rendeva eccessiva, sempre più disinibita, sempre più sua.
Lei si girò, le sue spalle fluttuarono nella penombra scoprendo il vortice nudo della sua carne e lui affondò le narici dentro la sua pelle e dentro il suo corpo di donna arresa.
In quegli attimi di sensualità impudica, sembrava che una lama affilata attraversasse l’aria e si fermasse a recidere il respiro che attaccato alla gola non faceva che respingere indietro l’onda del sangue che cercava un rifugio…e la inondava… In quegli attimi le sue mani non erano sue…non era sua la sua bocca…il suo viso non era suo…e neanche la sua pelle era sua ma apparteneva a lei, come la rete del suo pericardio che pulsava dentro la sua veste di metallo. Quella rete composta di maglie pesanti ed arrugginite che le appesantivano il cuore senza una ragione precisa.
– “ Cos’è questa inquietudine …le tue mani passano sul mio corpo come farfalle leggere e lasciano un brivido leggero sulla mia carne di pietra… e per un attimo soltanto, io vorrei non ricordare…un attimo solo. Questa linea scolpita delle tue spalle che mi assale…questo tuo scudo fatto di desiderio e carne straziata di baci…saziata di baci…Il ripetersi all’infinito di questo dolore acuto che frantuma il tempo e scava nel cuore, spezzando e smembrando e distruggendo e insinuandosi senza rumore mi pretende e mi possiede…e mi lascia libera…e mi lascia esausta…e mi lascia piena di te…piena di me…capriccioso e ribelle più di te”.
Ma la vita là fuori non badava a nessuno ed era feroce. La vita era in agguato ed aspettava il suo turno, indifferente a tutto, mentre ti logorava nell’attesa e nelle assenze, senza fare sconti.
Più che te ho amato le tue paure. Quell’espressione che trasformava il tuo viso quando temevi una mia ritorsione . Ero brava nell’inocularti il terrore di vedermi perduta, brava e spietata, ma tu fingevi a volte, e quella finta indifferenza passava come una frustata sul viso, sibilando la mia rabbia, e, lasciandomi prendere dal mio stesso gioco, ti chiedevo se mi amassi ancora e ti supplicavo di ripeterlo all’infinito, come una nenia. Chi dei due fosse il più forte questo non l’abbiamo mai saputo. Forse c’era una sorta di tacita intesa tra le nostre anime che, senza di noi, riuscivano a fare quello che l’orgoglio ci impediva, perché l’orgoglio, più che realizzare una forza , diventava un ostacolo al compimento del nostro amore. O forse saremmo dovuti essere solo meno egoisti, meno presi da noi stessi, perché la vita, alla fine, ci portava altrove. Il fatto è che mi manchi da qualche parte ma non so bene dove. E’ che il mio petto si raggela ed un brivido sale dal plesso solare fin dentro al cervello e mi fa rigurgitare parole, mentre sei tu che cerchi di dilatarti dentro un piccolo spazio che non ti contiene mai abbastanza , mai del tutto.
Quello che di noi è riuscito a sopravvivere alla vita, non si è mai liberato di noi ed ha cercato, furiosamente, di rimanerci attaccato, anche quando eravamo sicuri di farcela. La nostra voglia di buttare via tutto per amalgamarci in un’anima sola, ci ha reso pallidi di disperata solitudine. Più ti cercavo, più ti perdevo. Eri così vicino che non riuscivo più a distinguere dov’eri.. Il tuo viso caro e desiderato era il mio viso, la tua voce calda riempiva la mia gola e ti pronunciavo e ti chiamavo e ti pretendevo, lasciando che le mie parole improvvisassero senza di me che prendevo a fuggire:
– “Il mio cuore è una farfalla, se lo tocchi non potrà più volare”.
Andavo e ritornavo come una marea mentre tu vagabondavi aspettando il mio ritorno, come un naufrago, e poi ti travestivi da pirata per farmi paura.
Il nostro tempo ci aveva ingannato lasciando che quel nuovo Noi si mescolasse, un poco per volta, in un febbrile nucleo di sofferenza che ci avrebbe travolto con la stessa forza con cui ci aveva preso in quella somma di giorni, senza identità.
Temendo, ogni volta, che fosse la fine, non ci eravamo accorti che la fine si era già insinuata lasciando segni indelebili e, poco prima che tu approdassi a questa certezza, il tempo aveva già progettato tutto e tu lo sapevi ma fingevi di non crederci.
A volte è un ordigno esplosivo che ti sacrifica il cuore, ma, del resto, è quello che hai voluto quando hai preso tra le mani la tua vita, senza badare se poteva ferirti.
Ogni volta che si apre la piaga della tua assenza, prendo a pensare che sono sempre stata un aquilone che si alzava solo nelle tempeste di vento e, proprio per questo, un giorno avrei lasciato le tue mani a sanguinare e tu avresti mollato il filo ed io mi sarei persa in mezzo al dolore. Però tu non hai sanguinato ed io sono volata via senza un supporto terreno, senza braccia a cui ancorare il mio corpo vagabondo. Via, sopra la terra, lontano dai profumi, lontano da te. In fondo non è male avere un corpo di carta, leggero. Al di sopra del mondo non si fanno crociate e la guerra è finita.
Da quell’ultimo giorno ho imparato che nell’isolarti dalle mie cellule respingo solo me stessa e, mentre continuo ad allontanarti,non faccio altro che abbracciare il mio desiderio ancora di più.
Oggi, quelle tracce di te scolpite sulla mia epidermide di vento, hanno lasciato il mio corpo e da quell’impronta mai sazia si sono staccate parole e granelli di polvere che hanno trovato il mio cuore, nello spazio siderale della sua solitudine. Dentro i suoi nerbi consunti ho dato un calcio al tempo che non voleva muoversi. Il tempo del dolore, invisibile agli altri. Il mio tempo, conficcato nel meccanismo maledetto del cuore, fatto di polvere e sale, Questo maledetto cuore che non sa desiderare senza morire un po’.