INCERTEZZE

L’anima non conosce il suo odore,

non ha la memoria delle sue galassie

è incapace riempire questo corpo

che muore ogni notte per la stessa insaziabile storia.

Di mattino ritorna con la nuova collezione di rughe,

alloggia tra le maschere d’un tempo

e diventa destino dell’eclissi.


LA COLLEZIONE DI INVERNI

Passavo tra cespugli e mi è rimasto l’animo tra le spine,

collezionavo inverni per pagare il velo delle rose

ma non bastava per riaverlo.

L’animo si sposta nel magnetismo delle specie,

compra un’identità al bazar senza tradire la natura.


ABETI ROSSI

Le anime d’abeti rossi vivono nei cieli verdi,
sognano angeli fatti di erba e le stelle nate nei cestini di resina.
Le anime d’abeti rossi dormono sui cuscini di nebbia
e sanno strappare alla pioggia le ultime leggende.


LE FAVOLE

Le favole portano stivali e ti lasciano un tempo che zoppica
fra insonnia dei giocattoli e quella del primo amore.
Le favole profumano, ti appiccicano lo zucchero filato sulla guancia,
e ti parlano di esseri nascosti sotto il letto.
Le favole sanno accendere la luce nelle nostre stanze buie.


TEMPO

Tu non hai onore,
hai inventato le guerre per divertire i tuoi burattini,
hai messo lenti a contatto a questo buio, ma
la cecità non ha toccato i gesti primi;
tu hai messo veleno in ogni storia per conservare gli eroi,
loro sono scappati via dalla tua collezione,
hanno seminato i campi dividendo il pane..
la grande famiglia nella cornice: splendido dipinto
della tua sconfitta…


 SILENZIO DEGLI ABITI

Il silenzio degli abiti tolti, buttati nello spazio stretto,

quello rimasto dal risveglio d’un corpo nella sua traiettoria.

Il silenzio dei volti nell’aria fresca, nel dipinto delle nuvole,

il silenzio delle mani davanti al primo tocco: benedizione

dei gesti primi,

poi c’è silenzio di tutto ciò che tace

dentro e fuori di ogni forma,

silenzio che rigenera tutti noi.


 

PAROLA

Hanno scritto il ricatto universale sul corpo di questa parola,

le hanno messo il velo e rinchiusa nello scantinato delle utopie,

l’hanno trascinata nei concetti universali,

nei deserti anticristi,

l’hanno fatta madre dei bambini soldato,

di quelli senza tetto, senza pane e la goccia d’acqua,

l’hanno messa nelle piazze e quasi lapidata

per la sua forza di essere.

Hanno messo le trappole ad ogni porta aperta ma

non hanno pensato al baule dove il sole e le lune nascondono

la parola dai suoi debitori.


TI HO CERCATO

Ti ho cercato nella pioggia abbandonata sui marciapiede,

nella giovane storia dei passanti.

Ti ho cercato nella pazzia del vento notturno

che porta via le ombre lasciate sull’asfalto.

Il traffico di luce cambia i posti e la gente.

Lì non ti ho trovato.

Rimango sotto i lampioni ad aspettarti,

padre delle mie parole!


IL BUIO SENZA SCARPE

“Chi sei tu, così indefinita , non ti conosco affatto, è meglio che te ne vai!…

Giro le spalle ma non ho le spalle, è l’illusione del mio movimento…la fuga, ecco, la fuga è cosa migliore da fare ma, le gambe non si muovono, ehi, cosa succede, non si può scherzare così?!

Ti ho detto che per me sei un’estranea, non ti voglio parlare, perché mi segui? Il tuo soffio gelido nella mia nuca, Oddio, vai via!

Accidenti , sto urlando e nessuno mi sente, si muovono tutti  in questo spazio, mi guardano e non mi rispondono…gente! Che sta succedendo, voi non vedete questa spaventosa creatura?!

Se potesse solo arrivare alla finestra! Così potrei buttarmi…qualche piccola frattura non sarà niente in confronto di questa macabra compagnia …

Inutile provare, le mie ossa sono rigide, questo corpo non vuole obbedire  … e poi fa tanto freddo…

Nessuno cambia la lampadina, è buio.

Accendete la luce! Maledetti voi che mi ignorate in questo modo! E tu, che hai da ridere, brutta bestia che non sei altro! Ti sei guardato almeno nello specchio stamattina?! Hai la faccia sporca ma, nemmeno  una faccia, sembri una maschera…ehi, non ti azzardare ad avvicinarti a me!

Avevo un orologio, dove è? Almeno potrei sapere l’ora, penso che è già tardi, parlano tutti piano per non svegliare gli altri, ma loro non vedono che i muri si muovono, diventano di gomma, Oddio, la stanza si fa piccola!..

È buio ..tu, sconosciuta maledetta che mi fissi così! Lasciami! Lasciatemi in pace!

Non posso respirare, la stanza si attacca a me, prende la forma del mio corpo, di questo letto così bianco, lenzuola d’acciaio, e tu, che hai rubato il mio volto, il mio nome, tu che traslochi tra le mie costole, senza pagare ti impadronisci di questo cuore, del mio che ero te da allora…!”


DIALOGHI ASSURDI

La mano destra sciopera, il suo lavoro è sempre più precario e la dignità è diventata solo uno striscione. Basta!

La mano sinistra guarda la destra mentre sciopera e comincia la sua arte sullo scioperato.

“Ehi, tu – disse la destra a sinistra – perché non scioperi, non vedi che i nostri diritti sono violati?”

“Io, cara sorella, ho la mia arte e non mi mancherà mai, io faccio l’arte della tua rivolta”.

“A chi servirà la tua arte se i diritti sono violati, guarda un po’ questo corpo, guarda!”

“Sì, tranquilla, lo sto guardando, vedo ciò che sempre ho visto: un corpo debole, amante dei suoi vizi e se non ha abbastanza li crea, i vizi creati all’istante sono più potenti”.

“Io – disse la mano destra – sono nata per lavorare, a te è stata donata la parte artistica della vita ma, non puoi capire questa arte, è inutile parlare con te.”

“Abbiamo dei compiti ben precari per questo corpo, non possiamo cambiare – disse la sinistra sistemando la tela del suo dipinto”.

“A me dici?! Chiedermi quante volte ho dovuto difendere quest’uomo, ti ricordi, no?! Amava tanto litigare per qualsiasi cosa, una volta mi ha rotto anche il polso”.

“Mi ricordo vagamente ma, certo, hai ragione, e adesso perché scioperi per lui?”

“Ancora non hai capito, pensa un po’, dici che l’arte è il tuo mestiere, anche se di concreto non ho visto mai niente, è un uomo di 50 anni, ancora il mutuo da pagare, ha 3 figli che studiano, la moglie non lavora, se lui perde il lavoro, che farà? Te l’ho dico io: questo poveraccio mi costringerà a  testimoniare il suicidio, no, questo non succederà ! Poi se lui muore, tu ed io siamo finite, mica farai l’artista post mortem.”

“Hai ragione”.

“Tu hai i principi, gli ideali, l’arte di far saper a tutti dove sta l’artistico ma, io, cara sinistra, – disse la destra – io ti ho protetta, ti ricordi quanti volte ho difeso te e quest’essere dagli scherzi dei bulli, dai litigi e adesso dalle manganellate delle forze dell’ordine.”

“Gli scioperi non sono stati mai graditi – rispose la sinistra – e poi gli operai hanno perso la loro dignità. La dignità d’un lavoratore è il lavoro stesso, se viene a mancare il lavoro c’è solo la sopravvivenza con le sue regole, che a volte sono le regole di strada..”

“Tu, cara – interviene la destra  seguendo il convoglio – sai quanto me che la malattia sociale è incurabile ma, quando si ammalano anche le anime allora l’antidoto è la rivolta, se la rivolta viene inibita, le anime perdono loro stesse e per trovarsi passano alla lotta estrema..”


PAROLE IN DELIRIO

E’ Lunedì, le parole sono andate dall’estetista, si sono messe gli abiti più belli e se ne sono andate in piazza a rivendicare i diritti.

E’ Lunedì, le parole ritornano a casa, piene di lividi, di ferite che sanguinano, gli abiti strappati e tutta quella polvere attaccata ai piedi nudi.

E’ sempre Lunedì in questa grande perdita dei diritti, persino il diritto di chiedere è stato abolito.

Le parole si guardano in faccia, cambiano il posto al tavolo, diventano vegetariane e tagliano i sogni e le lenzuola a strisce, fanno una bandiera che non smette mai di sventolare alla finestra.

Le parole dormono nude sul pavimento, ferite e abbandonate dai sensi fondamentali.

La libertà è rimasta sofferente sulla soglia di un Martedì cupo. Le parole si svegliano, fanno colazione con i loro pensieri e cancellano il giorno, mettono a rovescio i calendari e cominciano a scrivere il discorso dei silenzi, quelli dei risvegli, di pranzo e quelli della cena, ormai parlare con la bocca chiusa è un ritorno ai sensi finché Mercoledì riprende i suoi ritratti.

Le parole amano la loro arte, sano mettere l’intera vita su una tela. La loro casa è piena dei dipinti. A volte i colori scollano dai muri, coprono i corpi delle parole e tutta la dimensione si sposta.

In punta dei piedi o a salti tra Giovedì e Venerdì ormai non ha più nessuna importanza, sul davanzale il sole sorge ripetitivo come la rivolta, come il declino o come l’amore che conosce a memoria i movimenti di questi corpi.

Nell’ultimo giorno, le parole definiscono la loro festa, affittano la casa e decidono di fermarsi sulla prima pagina del giornale locale.

 


 

PENSIERO DI TE

Non è il sale delle  mie acque primordiali

quel che vedi sulle tempie,

ma il mio pensiero di te che si scioglie

e lascia tutta questa scia di luce bagnata.

Le tue dita cercano di asciugarli

e si attaccano ai capelli, così le tue carezze fluttuano

come prima alba su corpi distesi.


 

 

LA GENETICA DELL’ATTIMO

Ambrati nella genetica d’un attimo aspettiamo.

L’attesa prende forma di ogni ricordo danzante sulla tempia,

come fosse un pensiero d’amore.

Le ombre odorano di lavanda, di abbracci,

di questi movimenti fuggiti via da una sinfonia comune.

Nella genetica d’un attimo

prendiamo conoscenza di noi stessi

come forme astratte di questo esistere.


 

LA CHIAVE

Ogni notte i colori scendono dai dipinti,

prendono forma di sogno rimasto intorno al letto di Procuste,

chiudono a chiave ogni solitudine e lasciano davanti alla stanza

le sfumature d’un nome.

Ogni notte i colori scendono dai dipinti

e all’alba solo pochi ritrovano la cornice.

 


CLAUSTROFOBIA

 

Chiusa nello specchio scavo, scavo ogni giorno

in ogni immagine, in ogni ombra.

Sotto le unghie ho i resti di questo spazio che odora di libertà.

Scavo con tutto questo corpo,

le ferite sono aperte e portano il nome di ogni passaggio.

Chiusa nello specchio sento la mia immagine soffocare,

mi manca l’aria e me stessa..

Tra i riflessi di questa luce le superficie sono sottili

e rimango testimone del primo respiro..


 

LE VETRINE

 

Nelle vetrine la stagione delle farfalle,

un giorno contestato dai passanti.

Qualcuno soffia sopra la luce,

sopra il vetro invaso dai corpi

traditi dalla loro pelle.

Non sono capace a salvare le farfalle,

nemmeno nascondere la vita sotto le ali.

E’ un idea

di come i sogni diventano manichini,

e mettono in saldo

la loro universale bellezza.



ODORE DI CREATO

 

Non trovo me stessa

nel chiasso di questa gioia.

Le mie scarpe sognano

il piede evaso dal suo cammino,

nudo nella leggiadra serata,

custode della terra

che ama tutte queste erbe.

Non trovo me stessa,

ho smarrito forse la casa.

C’è solo un paio di guanti

che sognano le mani perse

per l’amore di loro gesti.

LILIANA PAISA