Dalla bioromanzata di Elena Sachel

La pediatra sempre in trincea

 

Il ritorno in Italia.

Elena ha preso la decisione di tornare a casa per vedere la nuova sistemazione, con  il biglietto di ritorno in Perù già pronto in tasca.

Ma  durante quel viaggio, succede veramente di tutto, come fosse un segnale d’ allarme che incomincia a porre un veto al suo desiderio ”smodato” di tornare all’amato ambulatorio.

Proprio mentre sta per partire cade in un tombino aperto, e siccome le viene un grosso ematoma è costretta a ricoverarsi per operarlo. Un suo amico  va a trovarla in ospedale  e le regala delle  fragole, ma…  ahimè, quelle bellissime fragole di Lima sono infette,  e la fanno diventare, nel giro di pochissimo tempo, gialla come un limone. Ha preso l’epatite A, che in se stessa non sarebbe nemmeno una cosa tanto grave, se non fosse che Elena ha ereditato da anni, come la sorella, il “Rene fibrocistico” trasmesso  geneticamente dalla mamma.

Questa è la goccia che fa traboccare il vaso e degenerare la sua salute in brevissimo tempo. Intanto deve tornare dal Perù,  e per risparmiare qualche lira  sceglie un viaggio con scali intermedi, che  ferma a Toronto.

Anche se  il suo colorito non promette nulla di buono,  ma visto che ha  ben 10 ore a disposizione per la sosta  decide di andare a vedere le cascate del Niagara. Come se non bastasse…  al ritorno, visto che avanza ancora tempo, si fa anche il giro del Laghetto Rosso  di Toronto…. quasi volesse prendersi fino all’ultimo minuto della sua libertà.

“Appena sono arrivata” racconta Elena,  mia sorella, senza perdere tempo, ha chiamato i primari di medicina di Magenta, Novi e Cesana , che appena mi videro, mi ricoverarono immediatamente. “Siccome dovevo essere isolata e l’unica camera singola esistente era in Pediatria,  fui ricoverata  proprio  nella ”mia di pediatria”, che avevo lasciato soltanto poco più di un anno prima. Nei  primi tempi curarono l’epatite, ma una volta stabilizzata quella, se ne dimenticarono e incominciarono a curarmi   i reni, che erano davvero mal ridotti.”

Così inizia il calvario di Elena.

La dialisi.

 

 

Operazione  MATO GROSSO

Ricordiamo che il luogo dove Elena esercitava non era un ospedale, ma, come spesso succede nelle missioni, un semplice ambulatorio  e per usare una definizione cara ad Elena “li sei davvero in trincea e ti capita  di tutto, i mezzi sono quelli che sono e i problemi da risolvere tanti”. Le infermiere erano persone del luogo,  tutte molto brave, ma una in particolare le aveva insegnato molte cose e quando c’erano delle urgenze, sebbene non fosse obbligata alla presenza, era comunque sempre accanto ad Elena. La cosa che lei ricorda con tenerezza è che quel’ infermiera era laica e non andava molto d’accordo con don Ugo perché non aveva una tradizionale visione cristiana, così  spesso litigavano.

Ma Elena era  davvero contenta di essere affiancata da lei e lo ripete spesso: “Io non sapevo niente…soprattutto a livello chirurgico e lei mi ha insegnato davvero tante cose. Come quando si è presentato  un caso di emorragia gastrica e tutti noi,  donando il sangue,  abbiamo salvato  questa persona con pochissimi mezzi.” Ma ancora più eclatante fu il caso di una persona che arrivò con un blocco intestinale dopo aver fatto la strada a piedi da casa sua fino all’ambulatorio, camminando per 8 ore di fila.

Dato che  L’ospedale era al di là di una montagna e solo a pagamento padre Ugo, per poter salvare la persona, dovette sborsare i soldi dell’intervento.

“perché  la in Perù,  non fanno nulla se non paghi. Trovammo un’auto d’emergenza e arrivammo in ospedale, dove la persona fu operata.”

“Al ritorno” conclude Elena  “ la paziente fu trasferita su di una barella trasportata a piedi per tutta la strada , una volta arrivati, per ringraziare padre Ugo di avergli  dato i soldi per l’intervento, la donna gli  regalò una capra. Certo che questa persona aveva un fisico eccezionale e dopo tutto questo travaglio ebbe anche dei figli e dei nipoti:  forse tutto questo assomiglia molto ad un miracolo.”

 

Dico “Già ti ha cambiato la vita il fatto di essere stata battezzata, lei era ebrea e scelse non con pochi dissidi con la sua famiglia di diventare cattolica,  questa esperienza ti ha ancora di più fatto amare e capire quale fosse la tua strada da seguire” .

“Sì, è così, e dopo un anno di lavoro lassù tornai in Italia per vedere come mia sorella aveva deciso di sistemarci qui a S. Stefano, vista la sua decisione di prendere  casa per entrambe, che fossero nello stesso quartiere. La casa è quella dove abito ora e quella di mia sorella Loretta, abitata ora da mia nipote, sua figlia e quella dietro alla mia….. Ma in tasca avevo già  il biglietto di ritorno in Perù.