Brani di lettere estratte dall’Epistolario

Andrea 11 giugno 1978

Ti amo infinitamente qualsiasi cosa succeda o sia successa.

Il tuo “veleno” è, in fondo, anche mio e sorgente di “vita-morte” per entrambi. Ora ho finito il foglio, ho sonno e avrei da scrivere ancora troppo quindi rimando “ad personam”. Ti invio solo un milione di baci e un miliardo di fiordalisi affinché possano popolare i tuoi sogni e tappezzare le pareti del grigio palazzo dove lavori ogni mattina.

 

Lorenza 21 marzo 1978

Dici di non augurare a nessuno le tribolazioni che ti ho fatto patire e io dico che hai voluto patirle non solo perché hai rivissuto per ben altre otto volte le stesse cose e se non volevi, avresti smesso di cercarmi, ma soprattutto perché ti hanno dato coscienza di soffrire per qualcosa, ossia per l’amore e quindi non era sofferenza sterile o immaginaria come dicono quelli che non conoscono le angosce dell’anima.

Io invece non accetto l’amore, non mi faccio amare e soprattutto non amo e per questo non esisto e quindi seguendo la logica delle tue affermazioni, come può averti fatto tanto male una persona che non esiste? Perché la cercavi se ti dava solo dolore? Io ti dico caro Andrea che certe pene, certi dubbi, certe sofferenze del cuore vorrei sinceramente provarle, ma come posso se nessuno me ne dà l’opportunità, se il rapporto con gli uomini che ho conosciuto è partito già sbilanciato, invece di oscillare in modo che nessuno dei due abbia la certezza costante di possedere l’altro. E’ una caratteristica umana dare minore importanza a ciò che ormai è in nostro possesso e cercare di avere ciò che ci sfugge o ciò che possiamo perdere.

 

Andrea 6 maggio 1978

Mio dolce sasso di fiume,

da poco ti ho telefonato e so di averti disturbato così come stanotte ti ho esasperato: ti chiedo scusa. So che stai già ridendo di queste mie scuse “a posteriori” e che il tuo stato d’animo attuale nei miei confronti non può accettarle: è giusto che sia così.

………

So che stavolta tu hai degli ottimi motivi per troncare il nostro rapporto e se tu ritenessi opportuno non vedersi per un po’ di tempo io lo accetterei ma non potrei accettare di non vederti più perché so che tu mi ami almeno quanto io amo te.

Per concludere voglio “donarti” l’ultima parte nascosta della mia anima che è forse quella che i tuoi occhi stanotte cercavano e quella che la mia assurda struttura nevrotica non ha voluto finora svelare: accettala come un atto di Amore, il più grande che ora possa fare.

Riguardo ai miei rapporti con le donne ti ho raccontato tutte storie non vere: in realtà il 1° dicembre TU mi hai sverginato e con te ho conosciuto il sesso, le passioni, gli istinti, l’amore, prima di te solo un arido deserto.

 

Lorenza 16 febbraio 1979

Mi sono resa conto che l’unica possibilità che abbiamo di amarci senza farci del male è quella di venirci incontro reciprocamente e di voler cedere qualcosa ai fini della vita a due

 

Lorenza 3 marzo 1979

Ora con più calma e più obiettività posso dire cosa mi aspetto dall’uomo con cui costruire

“qualcosa” insieme. Non voglio certo stare con un medico, inteso come status sociale, però neppure con un uomo che ha studiato fino a 25 anni e poi è costretto a fare l’operaio, neppure con un uomo che non mi dà alcuna garanzia economica o non mi fa vedere sue capacità di cavarsela in situazioni che richiedono sforzi e sacrifici, ma concreti, non affermati a parole.

Perché io ho voglia di credere all’amore e ci credo nonostante a parole cerchi di smorzarne il valore e io non devo dimostrare che le donne fanno solo star male, devo solo dimostrare che l’amore esiste o può esistere fra un uomo e una donna, ma che deve essere realizzato in modo diverso dal passato, perciò quest’uomo non deve pensare ad una casa dove “regna” la donna intorno ai fornelli ai panni ai bambini alle pulizie   a lui che deve essere servito e rispettato come capo, né d’altro canto io devo rinnegare la mia parte femminile per timore di regredire alla fase iniziale, ma devo saper trovare la mia giusta dimensione di donna quale è necessaria alla società di oggi, perché si sviluppi in forme più giuste dato che sono le coppie e ciò che loro creano a formare la società.

 

Lorenza 17 agosto 1979

A volte ho l’impressione che la tua apparente mitezza e docilità verso di me non derivi dalla tua natura, ma da una specie di timore che inibisce il tuo vero carattere. E io come posso avvicinarmi ancora a te se non esci da quest’ambiguità ?

 

Andrea 26 dicembre 1979

E’ un amore sacrificato il nostro e tutte le volte che lo si esamina razionalmente ci(mi,ti) appare come una follia, come un’avventura troppo rischiosa, un salto nel buio, un terreno minato, un inutile eccessivo dispendio d’energie e lo si vorrebbe liquidare ma ogni volta proprio da queste melmose macerie rinasce e ci(mi,ti) appare più forte e imperituro degli altri

 

Andrea 14 aprile 1980

Tu dici che il nostro amore è nato male e che va ucciso prima che rechi troppo danno. Io ho la netta sensazione che è stato senz’altro ciò che di più nuovo si potesse concepire e creare nell’ambito dei rapporti di coppia e nelle possibilità insite nelle nostre età. Ognuno era presente con i propri conflitti, con le proprie incertezze, con le proprie debolezze e si misurava con sé e con l’altro. Non c’erano ruoli definiti, classici.

 

Andrea 12 luglio 1980

E’ come se io mi accorgessi ora che tu in realtà non solo avevi fiducia in me più di quanto credessi ma addirittura avevi più chiare di me quali fossero le mie potenzialità, i miei “tesori segreti” e fosse per te deludente vederli inutilizzati. Quando dicevi che non mi aprivo e odiavi il mio blaterare avevi ragione, forse mi difendevo così da tutto questo.

Sentivi invaso il tuo spazio giustamente perché era ad invadertelo una persona che non poteva apprezzarne la ricchezza e il valore in quanto non ne aveva conquistato uno per sé.

Lorenza, oggi con la mia ragione mi sono accorto di aver avuto con me una donna grande accanto e di non averla capita, mi sono accorto che non eri poi così complicata come sembrava, ero io che ti volevo così e ti complicavo.

 

Andrea 5 agosto 1980

Ma che cos’è poi questo Amore? Secondo me non è altro che il banco di prova più duro al quale noi siamo chiamati a misurarci con noi stessi e con l’altro. E’ il “luogo” dove non si può più barare, non ci si può difendere, bisogna spogliarsi, rendersi umili, rinunciare a molto di sé per accogliere l’altro. E’ la “Grande prova”.

In un rapporto d’amore non entra in gioco solo una parte di noi ma tutte le “facce del prisma” tendono prima o poi ad affiorare e a confrontarsi prima tra di loro e poi con tutte quelle dell’altro: da qui nasce il conflitto, la contrapposizione, la crisi inevitabile, salutare, perenne.

……..

Una donna che scrive e vive come vivi tu non può accontentarsi di qualcosa di stabile o di una vita libera e indipendente; vorrebbe l’uno e l’altro.

Un uomo come me che lotta e soffre come soffro io non può accontentarsi di una donna che lo stimoli e lo protegga né di una che lo segua e lo comprenda ; vorrebbe l’una e l’altra. Per questo ci siamo incontrati e perché dentro di noi ci sono ancora retaggi del passato ci siamo scontrati.

 

Andrea 9 febbraio 1981

Da un bilancio spietato con me stesso traspare molta falsità e disonestà . Non ho mai voluto ammettere fino in fondo di essere INSICURO, FRAGILE, SPAURITO e ho sempre recitato la parte del leone a parole, forte solo della costruzione difensiva del mio narcisismo che per 26 anni ho strenuamente consolidato. Ma ora basta, il “castello incantato” non lo è più, ogni piccola scossa rimbomba, risuona con fragore all’interno e ne fa scricchiolare le pareti.

Sta crollando e io con lui!

Tu hai sempre visto nel giusto sin da quando criticavi il mio essere parolaio, la mia incoerenza ma io ero così SPAVENTATO da non poterlo ammettere.

Ti spiego cosa intendo per “spaventato”. E’ uno che ha ereditato dalla vita (dell’infanzia) una grande paura, una incertezza interiore, un terrore degli istinti, dei sentimenti e soprattutto degli affetti, dell’amore. Per affrontare la vita esterna (lontano dalla madre) non ha altra scelta che costruirsi una poderosa e resistente torre da dove diffidare di chiunque e di qualsiasi cosa esterna e da dove, col tempo, manipolare gli altri affinché non facciano troppo del male avvicinandosi oltre il limite di guardia.

All’improvviso sei arrivata tu come un turbine, una meteora (mi viene in mente il fulmine della carta “la Torre” dei Tarocchi) che ha infranto di colpo la parete esterna della torre (la mia “paralisi” del 5-12-77 e tante altre successive non erano solo sessuali).

Mi hai mostrato prepotentemente che esisteva la vita, gli affetti, l’interesse per l’altro, la possibilità dell’amore. Io dovevo pur difendermi e ho sfoderato l’unica arma che sapevo usare: la dialettica verbale.

Ho costruito palazzi, castelli che ti ho propinato e ai quali tu non credevi sin dall’inizio; ma io avevo PAURA, solo PAURA e non cattiveria.

Forse tu nel tuo intimo l’avevi capito altrimenti non avresti raccolto tutte le mie esche. Ti regalai persino i narcisi per non regalarli, sin da allora , a me stesso; ti parlavo di statua, di piedistallo, di certezze programmate e tu di istinti programmati.

Abbiamo imbastito un intreccio inestricabile di proiezioni reciproche sviluppatesi in tutte le loro caleidoscopiche forme e modalità. Dovevamo, in fondo, CONOSCERCI e per questo è necessario forse SCONTRARSI.

Tu, d’altro canto, avevi la tua torre costruita certo su altre basi e per altre necessità ma non per questo meno arroccata .

I tuoi “drammi-karma” del POTERE MASCHILE e della LIBERTA’ INDIVIDUALE FEMMINILE si scontravano e intrecciavano con i miei dell’ABBANDONO e del DESIDERIO-PAURA del POTERE.

 

Lorenza 11 febbraio 1981

Ti confesso che nel criticare la tua incoerenza provocandoti costantemente affinché la tua maschera di fondo cadesse, mi sarei aspettata qualcosa di più attivo di una semplice ammissione, anche se comprendo lo sforzo che ha significato per te.

D’altra parte non mi sembra tanto giusto “ GIUSTIFICARE” il tuo atteggiamento di “spaventato” col tuo vissuto infantile. Tutti, chi per un verso chi per un altro, abbiamo avuto dall’infanzia eredità positive e negative, ma non si può, capiscimi bene “ NON SI PUO’ “ continuare oltre una certa età – che è poi quella della maturità – a presentare il passato come copertura di nostre incapacità e paure.

Tu potresti dirmi a questo punto che anch’io ho da superare una grande paura che mi proviene dal passato e che riguarda il vivere con un uomo. Poteva essere vero fino a qualche tempo fa, ma ultimamente sai che c’è stata un’apertura su questo fronte, nel senso di disponibilità a tentare la grande avventura del rapporto di coppia fino in fondo.

Che poi non sia possibile per mancanza dell’ALTRO è cosa ben diversa.

Tu potresti incalzare col dirmi che è facile attribuire alla mancanza di questo fantomatico ALTRO, l’irrisolto superamento del mio conflitto interno.

E’ a questo punto che io ti ho chiesto – certo non in modo esplicito dapprima, ma negli ultimi mesi sì – di mettermi alle strette, di pormi di fronte a me stessa. Ma questo può farlo solo un uomo privo di maschere e coerente, altrimenti come può farmi da specchio ?

 

Andrea 9 agosto 1981

Il distacco momentaneo da te e il contatto con questo ambiente mi fanno risaltare pienamente tutto ciò che noi abbiamo costruito insieme in questi anni e me lo rendono insostituibile. Sono intimamente contento.

In certi momenti mi cattura l’angoscia del futuro ma riesco subito a stornarla con la fiducia e la speranza che ripongo nel nostro amore.

Nella magnifica vacanza calabrese ho avuto modo di apprezzare come non mai la tua innata e “matura” dolcezza, dico matura perche’ perfettamente equilibrata nel suo essere e nel suo manifestarsi. Ho anche notato che le spigolosita’ del tuo carattere vengono fuori quasi sempre se provocate dalla mia irrequietezza e pedanteria. Ti chiedo perdono se ti ho fatto innervosire e spero di averti dato anche momenti belli.

Dobbiamo cercare di conservare e coltivare questo nostro amore perché fonte di ricchezza e di vita per entrambi.

 

Lorenza 12 dicembre 1981

Mi vado sempre più convincendo che ogni uomo, sintetizzate al massimo le sue caratteristiche, abbia un VALORE da portare alla collettività in cui vive, che sia strutturato in modo da ricercare questo valore realizzando in tal modo la sua essenza, al di sopra di interessi effimeri o comunque marginali o di complemento. Ognuno deve lottare per il suo VALORE con le potenzialità a sua disposizione e nell’ambito spaziale e temporale in cui vive. Se fra due uomini portatori di medesimo valore, uno ne è più sensibile dell’altro deve necessariamente esser dotato di forze maggiori per realizzarlo.

Per quanto ti riguarda credo che il tuo valore si riferisca alle origini primordiali, all’aggregamento inconscio che lega l’umanità prima della dispersione/differenziazione, il sentimento di una comune origine e di un comune destino.

Per me riguarda le leggi che dovrebbero regolare i rapporti umani al di sopra o al di fuori di morali contingenti o rivestite di panni opportunistici o faziosi. Per attuare ciò devo agganciarmi alle leggi umane nel senso di leggi che regolano rapporti o contratti concreti in cui si dovrebbe realizzare praticamente il principio di equità.

 

Andrea 30 gennaio 1982

Sono convinto che la cosiddetta insoddisfazione di cui si parlava derivi dal fatto che ognuno di noi sente la mancanza, in certe occasioni, dell’altro come lui lo vorrebbe e non riesce a concentrarsi su come è realmente. Per esempio quando mi capita di pensare come ieri che tu non hai alcun interesse per me, in realtà immagino atteggiamenti che non ti sono propri come quello di venirmi a trovare spesso, seguire i miei studi, i miei problemi da vicino, mangiare con me, uscire semplicemente per il piacere di uscire e passeggiare, ecc…

Nel domandarmi: E’ questa la donna che cerco ? mi rispondo di no perchè una donna così pur gratificandomi enormemente non mi tocca i sentimenti e le passioni, è neutra. Perciò preferisco la tua riservatezza e il tuo modo “unico” di amarmi. E’ anche naturale che in momenti di insoddisfazione la “chimera” dell’opposto partner possibile attrae e prende forma ma io non mi lascio convincere perchè è una chimera interna, mia non nostra.

 

Andrea 6 febbraio 1982

ho fatto un sogno nella fatidica notte tra il 29 e il 30-1 in cui facevo all’amore con te e mi rendevo conto, appena terminato, di avere l’herpes e avertelo contagiato. Ho provato una grande angoscia.

In sede di analisi l’ho discusso e ho associato l’herpes al mio “mondo nascosto” che come un morbo subdolo mina il nostro legame.

Il “vento nuovo” di cui ti parlavo nell’ultima lettera è costituito dalla fine della necessità di “rubare”. Credo di essere maturo per ricevere e dare.

Rubare a te voleva dire non esprimerti le mie sensazioni e le mie insoddisfazioni per timore di perderti.

Voleva dire imbrogliarti riguardo ai miei esami.

Voleva dire leggere bene il tuo stato d’animo e far finta di niente.

Voleva dire non dirti sempre ciò che non mi stava bene di te.

Voleva dire sentire più la tua assenza che la tua presenza.

Voleva dire fare all’amore e dirti di aver goduto bene anche se non era vero.

Voleva dire non impegnarmi a sufficienza per cambiare e per rispettare le tue esigenze di silenzio e di solitudine.

Volevo dire non confessarti mai che per un po’ di tempo non avrei voluto vederti.

Tutti questi e forse altri “furti” ho perpetrato nei tuoi confronti e certamente mi era necessario fare così per sopravvivere alle mie radicate paure.

Ora mi sento molto più disponibile ad affrontare direttamente il rapporto e in maniera più costruttiva il confronto con te.

 

Andrea 23 settembre 1982

Sono in procinto di “attraversare la grande acqua”, ma non riesco ancora a staccarmi dalla rassicurante riva del mio passato per affrontare un guado pieno di imprevisti e sorprese. E’ questo il periodo della “GRANDE CRISI” dove la mia struttura nevrotica si sta dileguando e mi sento sempre più inerme nei confronti della vita. Anche nell’analisi sono giunto a un punto di “non ritorno” e i sogni mi dicono insistentemente di non indossare più l’abito dell’ambiguità.

Neanche l’ansia che per tanti anni mi ha accompagnato mi sorregge più e non essendone persuaso e accecato sono costretto a guardare dentro di me senza paraventi, ad essere me stesso una volta per tutte. Ma come è doloroso questo passo!! Tutto ciò che c’era, i valori, i ruoli, gli schemi perde significato e reclama di acquistarne uno nuovo e più reale.

Sono disarmato di fronte a domande: “Cosa è che desideri di più per la tua vita?” “Desideri qualcosa?”. E’ come se non avessi più come prima le redini di me stesso. Avverto tutto il peso e la stanchezza di questo enorme lavoro di analisi e autoanalisi di ormai 7 anni.

D’altronde sapevo che prima o poi questo momento sarebbe giunto e anzi il mio alleato interno lo attendeva da tempo disdegnando le emergenti paure. Neanche a farlo apposta, a suggello di tutto ciò c’è il vecchio saturno che comincia a falciare e accentua il senso della perdita. Principalmente è la potenza che vado perdendo. Entrare nella “mia” vita per me significa soprattutto passare da un ruolo-immagine di me potente, diverso, superiore a una realtà di me mediocre, normale, non più distinguibile.

 

Andrea 9 luglio 1983

Esiste una fase dello sviluppo infantile che si chiama SVEZZAMENTO e coincide col passaggio dalla fase onnipotente del lattante, i cui desideri di piacere sono sempre appagati, a una fase in cui ciò non avviene più e i pasti assumono certe caratteristiche sia di contenuto che di forma, cui il bambino si dovrà adattare e non viceversa. E’ una fase difficile da accettare, ma necessaria per crescere. E’, in fondo, l’inizio del LIMITE ai nostri desideri e la consapevolezza che non si può ottenere tutto e sempre ciò che si desidera.

 

Lorenza luglio 1983

Ma dal voler bene all’amore c’è per me la stessa differenza che esiste fra le colline e le alpi, con tutte le diverse sensazioni che evocano: da una parte dolcezza e riposo per il corpo e per la mente, dall’altra avventura e coraggio meta da raggiungere spazi sconfinati.

Certo il mito della maieutica come tu l’hai definito è sempre in agguato, pronto a coinvolgermi in altre situazioni in cui c’è qualcuno da aiutare e proprio in questi giorni mi ha tentato di nuovo offrendomi un’esperienza “appetitosa”: una breve vacanza al mare con Pino Giovanna e Carlo. Sul momento ho accettato, poi riflettendoci meglio ho deciso d’interrompere questo giro vizioso che disperde le mie acque in mille rivoli invece di incanalarle e sfruttarle in modo più costruttivo e forse più egoistico per me e per i miei terreni sotterranei.

Comincio a capire il senso di Urano e la spinta alla trasformazione che lui richiede.

…….

Devo confessarti una netta e chiara sensazione ( che rileggendo il diario è avvenuta esattamente il 1° luglio) cioè quella di essere legata indissolubilmente a te nel bene e nel male e questo al di sopra di tutto quanto è successo o può succedere di apparentemente contrario

 

Andrea 6 febbraio 1993 ( alla sorella di Lorenza)

Il male che ho fatto a Lorenza è enorme ed è visibile in questi giorni nella sua sofferenza ma vi assicuro che, fatta eccezione per il periodo successivo all’aborto, non è stato da me consapevolmente fatto contro di lei. Era una vita parallela, alimentata dalla mia follia.

Lorenza ha solo due “difetti”: di essere una donna molto al di sopra della media delle donne e di aver temuto talmente la propria femminilità da castrarla. Dio solo sa quanto l’ho amata e quanti sforzi ho compiuto per conquistarla ma, una volta fatto questo, mi sono trovato di fronte una donna troppo al di sopra delle mie possibilità ed ho pian piano rinunciato, facendomi catturare qua e là dai miei fantasmi o dalle sirene di più facile approdo. Non mi sono accorto neanche che lei mi amava così tanto, come solo adesso mi accorgo, e ciò mi fa struggere di rimorso, ma è troppo tardi.

Vorrei che nessuno di voi credesse che io avessi mai avuto intenzione di lasciare Lorenza per quella donna. Lorenza SA che tipo di donna è e sa che non vale neanche un unghia del suo dito mignolo. E allora perché è accaduto tutto ciò? Neanche io riesco a spiegarmelo con la ragione.

………. All’inizio ci può essere stato, lo riconosco, una curiosità e un attaccamento dovuti alle caratteristiche “materne” di questa donna, che mi offriva spontaneamente gesti e azioni che non avevo mai avuto né da Lorenza né da mia madre: Vorrei che neanche questo fosse scambiato per amore!!

E’ una trappola in cui sono caduto e sono rimasto sempre più invischiato ed ero così cieco da non capire che ciò che Lorenza mi ha dato e mi dà è incommensurabilmente più prezioso. O meglio lo capisco ma c’era qualcosa di più forte dentro di me che non mi faceva staccare da quelle che ora, con occhi più lucidi, vedo come stupidaggini. Ho trasformato in letame i tesori che Lorenza mi offriva.

Come può, secondo voi, una persona sana barattare una donna come Lorenza con tali meschinerie?

 

Lorenza 7 giugno 1993

Caro Andrea, avrei preferito sentire da te che quella esperienza era indimenticabile, che nessuna donna ti ha dato ciò che lei è stata capace di darti, che con nessuna donna sei stato felice come con lei, che non hai amato nessuna donna come lei.

A me come ben sai hai preferito invece dare un’altra versione definendo negativa quella esperienza, al di là di ogni etica o morale, che forse hai vissuto per vedere fino a che punto potevi tirare la corda

…………………..

Tu non hai scelto me, tu non puoi amare me dopo avermi ingannato e ferito a morte nella parte più sensibile, tu non sei attratto da me, molto più semplicemente hai scelto la via più facile, che in questo caso coincide col rientrare nei “ranghi” di marito pentito dopo una semplice e comune scappatella, anziché affrontare il rischio di una situazione nuova e piena di incognite, per quanto allettante e ancora desiderata. Perché privarsi di vivere una esperienza indimenticabile che ci ha dato tutto ciò che non abbiamo mai avuto e che sempre abbiamo desiderato? I sentimenti quando ci sono riescono a superare qualsiasi difficoltà.

L’immoralità – se può definirsi tale – non sta nei sentimenti per una donna sposata con figli che non è nostra moglie, caso mai sta nell’ingannare se stessi e la moglie sulla realtà dei propri sentimenti.

 

Lorenza 23 gennaio 2004

Mio tenero amore, ti ricordi quante lettere ci siamo inviati pur abitando nella stessa città? Durante la tua assenza, ne ho riletta qualcuna provando acuta nostalgia per una forma di comunicazione che ad entrambi è appartenuta e da tempo abbiamo esiliato.

Per riallacciare un antico legame, invece di parlartene, preferisco scrivere, dare consistenza durevole alla folata d’emozione che mi ha avvolta nel sentirmi chiamare “dolce sasso di fiume” e nel ricevere, insieme a milioni di baci, miliardi di fiordalisi per popolare i miei sogni e tappezzare le pareti del grigio palazzo dove lavoravo.

Ciò che agitava la nostra vita personale – problemi concreti, aspirazioni esistenziali – e il nostro complesso rapporto d’amore – gli scontri feroci, i possenti desideri fisici, i continui abbandoni, la tenerezza strisciante – pulsa come sangue vivo nelle vene, respira per il tramite di un fecondo dialogo dove l’intimità dei cuori trova forza e voce nella parola scritta, irruente o ricercata, che ancora oggi lo testimonia, salvandolo dall’oblio.

……..

La vita è ricerca continua, è movimento, è affidarsi a morti e rinascite; solo chi si ferma, convinto di aver raggiunto stabilità e certezze, viene da lei travolto.

La mia anima, il suo sorriso così a lungo offeso e rifiutato, verso cui mi avvicino con premurosa dedizione, suggerisce un’altra semplice verità: la vita ha senso se arde nell’amore, amore dalle svariate e innumerevoli fiamme, ma tutte protese alla stessa luce d’accoglienza e dono. L’albero non vola, eppure freme al vibrare dell’uccello che, privo di radici, trova sostegno nei suoi rami: ordini differenti di realtà, analogo sentire.

Ti propongo una frase di Aleksandra Kollontaj, ripresa da una mia lettera del 1981 quando t’invitavo a meditarla e farla nostra il più possibile:

“ Noi avanziamo sempre delle pretese sull’intera personalità del nostro partner e non siamo a nostra volta capaci di osservare la regola più elementare dell’amore: il rivolgersi alla sua interiorità con attenzione e delicatezza”.

Quel remoto sasso, ciottolo coeso e solido, causa d’ingorghi al libero fluire, oggi è divenuto pietra e come pietra assorbe il sapere del fiume che su di lei scorre

 

Andrea 21 febbraio 2004

Le tue parole, preziose perle di quello scrigno inesauribile quale è la tua anima coraggiosa, mi hanno colpito al cuore e hanno dato voce e vita alle emozioni che la lettura delle nostre lettere via via mi evocava. Emozioni contrastanti perché fatte di nostalgia, rimpianti, felicità, tristezza, ma che non avrei avuto il coraggio di affrontare senza le tue parole. Ho provato, oltre all’ammirazione, anche un po’ d’invidia per te, per la tua capacità di rompere gli argini senza paure e con quella sicurezza che la familiarità con la scrittura ormai hai consolidato; io invece l’ho persa o meglio, non l’ho più coltivata.

………..

Non c’è via che quando torno a casa il mio cuore non si riempia di gioia e non si riscaldi al pensiero di trovare te che mi aspetti, la fioca luce delle candele, l’atmosfera avvolgente e rassicurante che pregusto non appena entro nel giardino e vedo quella luce filtrare dal vetro (mi domando con sgomento: cosa farei se non ci fosse più quella luce ?).


 Scrivere è viaggiare

 

Per scrivere – mi diceva – sono necessarie quattro cose:

un pensiero ardimentoso, direi quasi temerario

una mano forte e ubbidiente

una semplice penna, purché carica d’inchiostro

un foglio bianco, rigorosamente bianco

Ma ricordati – aggiungeva – senza amore per il rischio

non si parte

andare verso est, cercare di orientarsi

nello spazio accecante del foglio

sterminato come il cielo

silenzioso come il deserto

(quasi fosse un campo minato o un labirinto senza uscita)

 

Cosa spinge ad affrontare l’ignoto, lo spaesamento ?

L’ardore di alterare un equilibrio, di sovvertire un ordine

 

Sradicarsi, andare per terre sconosciute, lontano dal paese d’origine

 

Intanto già si delinea un profilo

Emerge una mappa

Un reticolo di vie che espongono al cammino

 

Verso dove ?

Verso il luogo circolare dove non c’è stagione

Né tempo passato né tempo futuro

Solo presente, in cui abbandonarsi all’assenza di tempo

 

Incontrare la propria solitudine, offrirle l’apparente sostegno di un dialogo

 

Lasciare tracce scure, violare il bianco, giungere sull’orlo dei confini

 

Visione di stelle comete

Inseguirne la scia che permette l’ustione

 

Scaldarsi nel buio della notte a quel tepore mormorante

L’essenza del fuoco non è nella fiamma, ma nel riverbero del volto di chi

l’osserva

La meta è il miraggio per chi ha sete

Restano le orme sui sentieri percorsi per trovarla

 

Fermarsi in un punto

osservare il panorama che muta e gira intorno

 

Ci sarà alfine approdo ?

 

Non c’è paese al mondo in cui possa trovar dimora chi si avventura

 

Chi si avventura non può essere che nomade

Mi piace la frase di Pierre Levy “Amare e conoscere sono esattamente la stessa dilatazione della

luce” (1) che può essere applicata a qualsiasi forma di autentico amore.


 

 

Amare la scrittura

 

Amare la scrittura è affrontare l’angoscia dell’inizio davanti al foglio bianco che attende il sovvertimento; è come soffrire di vertigini e camminare sulla cresta di un abisso: più ci si vieta di guardare, più il vuoto ci attrae; è scacciare ciò che allenta o spezza la tensione mentre siamo per raggiungere il bilico, il luogo temuto, il centro gravitazionale dove si dimentica di avere un corpo e ci si abbandona all’assenza di tempo.

E’ desiderare la propria solitudine, quando si tocca la sponda in cui non si scrive perché si è soli, ma si è soli perché si scrive e nel cercare il dialogo, con se stessi e con l’Altro, tuffarsi nel gorgo dei pensieri, estrarli dal magma in cui sono fusi, ripulirli con tenacia e costanza, cesellarli fino a dare loro consistenza concreta attraverso la parola.

La scrittura, nel portare alla luce il mistero, nel tentare di decifrarlo, esige fermezza, concentrazione, fatica, responsabilità, disciplina, cura estrema, perché non è importante solo ciò che si scrive, ma anche come si scrive e dall’impegno verso la perfezione diramano effetti positivi sull’identità e sul mondo relazionale.

Ogni progetto di scrittura non può allora prescindere dal sostegno della passione, forza vitale e fervida, col dovere di mantenersi in piena lucidità e filtrare le scorie al fine di “essere fedeli a ciò che chiede di essere tratto fuori dal silenzio” (2), perché ciò che si scrive non va usato per vanità, per esibire se stessi “ma per illuminare questa terra che ne ha bisogno” (3).

Aderire a queste idee nell’amore per la scrittura sollecita un profondo e tenero lavoro sull’anima, le restituisce bagliori di purezza originaria che è apertura e accoglienza, diventa una crescita in consapevolezza, fa sentire la verità dell’ essere integro e vivo che dopo il tormento e l’inquietudine ritrova la calma, quella che dà senso e gioia.

 

Firenze, 9 aprile 2003

 

(1) Pierre Levy ”Il fuoco liberatore” Luca Sossella editore pag 79

(2) Maria Zambrano “Verso un sapere dell’anima” Raffaello Cortina editore pag 28

(3) Anna Maria Ortese “In sonno e in veglia” Adelphi pag 159


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il deserto

 

Il deserto suscita un senso di smarrito stupore che attrae e inquieta per l’estrosa convivenza in cui la perdita di ogni riferimento concreto, l’assenza di qualunque sicurezza, la caduta in uno spazio dove i confini dileguano, l’abbandono al vuoto, hanno radici che s’intrecciano in una sorta di ritrovata adesione con l’infinito e con quella solitudine esistenziale, silente e vigile compagna di vita, protezione e difesa come Renè Char rivelava: “Non sono solo perché sono abbandonato. Sono solo perché sono solo, mandorla fra le pareti del suo guscio”.

Il deserto è distacco dal mondo e spoliazione del superfluo, è il tacere delle vane parole e l’ascolto del dialogo interiore, è umiltà di riconoscersi frammento dell’universo, granello di sabbia sollevato nell’aria da un alito di vento e nell’aria disperso. E’ un labirinto senza entrata né uscita, è l’altrove da sempre inseguito, è il varco così a lungo atteso, è il luogo dove sostare in un punto equivale ad essere ovunque, è unirsi al tutto ed essere ogni cosa e se l’antica arsura si placa, le strambe illusioni si raggrinzano, allora il respiro sussulta nel presagio di tracce ove origine e fine convergono, ove passato e futuro fluiscono in un turbine luminoso.

Il deserto – così generoso di stelle e di arcane melodie, con i suoi miraggi in bilico sul filo teso dell’orizzonte, con i suoi squarci da brivido – è purificazione, è spiritualità.

 

13 dicembre 2010


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lettere alla solitudine

 

 

“Quando parlavo di grandi viaggi in luoghi sconosciuti, di montagne con vette innevate, di città lungo il fiume nell’ora del crepuscolo, d’aspirazioni a lungo sopite (fin dal tempo dell’infanzia), di corse su spiagge deserte, di squarci d’azzurro, di libertà (ma quali ?), di quiete colline sotto la luna d’aprile, di miserie umane, di tempeste dell’anima (dei suoi bisogni e delle sue inquietudini, ricordi?), di notti trascorse all’aperto ascoltando il silenzio e i suoi clangori, di settembre e le sue piogge, d’amori avuti perduti rifiutati cercati, d’umane voglie, del domani, di folli desideri (utopie utopie), soltanto tu mi eri accanto, però mai una parola hai sussurrato, non un sorriso è apparso sulle tue labbra (aride), dai tuoi occhi (spenti) nemmeno uno sguardo che facesse capire un’intesa, dalle tue mani proterve nessun gesto d’accordo (mi bastava anche un diniego) per ciò che dicevo.

Anche ora che scrivo queste cose (stupide cose), lasci lievitare la tua ombra di fantasma su di me e come sempre, muta e impassibile rimani…

Altrimenti, che solitudine saresti!”

 

Settembre 1976

 

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“ Mi commuove, cara amica, ripensare al passato, riaprire quel quaderno dove annotavo, quasi trent’anni fa, pensieri di scrittori e poeti come Emily Dickinson, la cui frase“Sarei forse più sola senza la mia solitudine” mi aveva molto colpita pur ignorandone appieno il significato.

Ricordo bene come mi sentivo esiliata fra le compagne di scuola che pensavano al trucco, ai vestiti, ai fidanzati, sognando di sposarsi e avere dei figli. Certo, anch’io desideravo andare a ballare e piacere ai ragazzi, anch’io sognavo l’amore, ma non il matrimonio a tutti i costi, non sottomettermi ad un uomo, non scambiare per un cognome dignità e indipendenza. Intanto prendevano forma esigenze che mal si conciliavano con l’ambiente in cui vivevo.

Cominciai così a stare meglio con te, magari leggendo un libro, anziché passare stancamente il tempo in compagnia di chi non riusciva a intravedere, né tanto meno sfiorare lembi dei miei sogni.   Per me tu eri mancanza, vuoto di tutto ciò che sembrava dar senso alla vita degli altri e tuttavia mi riempivi le giornate, quantunque in modo disumano; eri il mio angelo custode vestito di nero.

Devo tuttavia confessarti che nella selva cittadina, solo tu mi eri accanto, pronta a curarmi le ferite, a liberarmi da trappole in cui così spesso cadevo per un mio ingenuo modo di fare, tu sola mi hai offerto il sostegno di una spalla, mi hai dato consigli, fatto conoscere il piacere di essere autonoma, anche di donarsi all’amore mantenendosi integra, di sentirlo andar via senza corrergli dietro, di costruire il luogo interiore su cui la mia vita potesse far perno, di assaporare insieme tanti momenti felici.

Mentre gli altri ti sfuggono come fossi la peste, gli altri sempre più distanti, pronti ad unirsi in gruppo per esistere, cantare la stessa canzone, sorridere al vento, librarsi nell’aria lontano da fatica e dolore, io che con fatica e dolore ti ho conosciuta, ti accolgo con affetto, ti sento parte di me, bisogno esistenziale, privilegio da difendere, sei il dialogo intimo di cui non so fare a meno, tanto che oggi posso dire sì, sarei indubbiamente più sola, senza di te, cara solitudine”.

 

Febbraio 2007


 

 

 Sogni e desideri

 

Il sogno nasce dall’Anima quando, distesa nella sua solitudine, percepisce un vuoto che si fa assenza, in un’atmosfera di vago ricordo di ciò che era e ancora, forse, potrebbe essere.

Assenza per abbandono? Di chi o di che cosa?

Dell’elemento fondante la sua perduta integrità.

Sognare, assentarsi dal mondo, dissolvere il tempo, avventurarsi nel luogo dell’altrove, verso l’avvenire, là dove l’anima può sprigionare le sue stelle danzanti, irradiare speranze future.

Il sogno è ricerca del proprio destino.

Senza sogni, il sonno non libera dai pesi quotidiani e la veglia striscia rasente il muro dell’eclissi. Non dormire, non sognare rende vulnerabili ai coni ombrosi della realtà.

Sognare è procedere verso la luce, lasciarsi fecondare da immagini, inebriarsi nello stupore del lontano, espandersi nel possesso di sé, costruire ponti con l’infinito del cielo, agganciarsi all’aperto.

Il sogno è l’eccesso, lo sconfinamento.

E’ possibile e in che modo raggiungerlo?

Come ogni relazione affettiva si nutre del sogno, così ogni sogno è alimentato dall’amore, per se stessi e per la vita. E l’amore è potenza luminosa che sprilla e origina desideri, energie che invadono la carne, smettono di guardar le stelle, desiderano che il sogno si avveri, scenda sulla terra, si renda vivo e palpabile.

Il desiderio, quando è figlio del sogno, si riconosce per come arde e si muove con ardore, messaggero brioso lungo il filo invisibile che collega il cielo alla terra e la terra al cielo.

E’ lui a dargli forma concreta, a tracciare confini reali a ciò che per sua natura non ha limiti se non nell’inconsistente fluidità.

Ma, pur desiderato e inseguito, senza il gesto d’assenso dell’arcano il sogno rimane attesa di un irreale compimento, in una completa libertà di sentire e di emozionare, come – meglio di ora – esprimevo in questa poesia, suggerita da un’opera di Schoenberg

 

Erwartung

 

Notte ingombra

mai sazia d’estenuanti arsure

notte di pensieri che s’inarcano

su altre notti di granitiche assenze

raramente da te scalfite

quasi sempre fuse

nel silenzio incolore e disossato

dove io mi lascio ghermire

dall’inatteso credere tutto

 

Il desiderio, figlio del bisogno, è privo di contatto con la fascinazione del divino, nasce proteiforme e variegato, vorace e insaziabile.

Ogni giorno ci sottopone ai suoi stimoli, sebbene nel tempo s’ impari a moderare le sue brame, ad interrogarci sulla sua vera identità e appartenenza, a dargli un senso del possibile, in un alternarsi di slanci e ritrazioni.

Talvolta sfugge, si perde nell’effimero e anziché colmare, scava altri vuoti.

E’ un mezzo per sperimentare il rapporto con la vita, a condizione di saperlo educare modulando tempi e misure, secondo una scala di valori e priorità che, tra l’altro, riconduce ad apprezzare e custodire quanto già si possiede.

Se il sogno è indispensabile, quale ristoro alle esigenze d’infinito dell’anima, anche il desiderio ha un suo ruolo rilevante: gratifica, serve a ridimensionare e comprendere le proprie forze, ad accettare la nostra finitudine.

Come un abile pittore, in rapidi schizzi costruisce l’immagine che, nell’esprimere impulsi e pensieri nascosti, ci rappresenta e ci rivela agli altri.

Ma soprattutto, ci svela a noi stessi che, nel prender coscienza dei nostri limiti, ci espandiamo.

23 marzo 2004


 

Mi sveglio . . .

 

Mi sveglio e ad occhi chiusi sento la sua presenza dall’odore che effonde e che varia, alle sue estremità, dal profumo inebriante dei fiori di gelsomino al fetore disgustoso di pesce putrefatto, ma che oggi oscilla verso il centro, in un equilibrio ancora instabile e tuttavia meno esasperato di un tempo.

Mi sveglio, apro gli occhi e l’olfatto mi guida nel mettere a fuoco la sua figura. Devo dire che non mi piace quando indossa sembianze altere, quando avvolta in un silenzio marmoreo non risponde al mio saluto, se non con un flebile movimento labiale da cui sfuggono suoni in una lingua incomprensibile.

Non sempre è così per fortuna, anzi una sua peculiare caratteristica è la mutevolezza, la capacità di assumere aspetti diversi, nonostante il tempo – che trascorre anche per lei – l’abbia resa un po’ monotona e ripetitiva.

Ci sono mattine in cui le piace nascondersi fra i rami verdi degli alberi, vestirsi di sole e volare con gli uccelli, gridare con loro sfrecciando nel cielo dove nessuna nuvola compare. Non è più trasparente e leggera come quando giocava a rimpiattino ed io la facevo correre di qua e di là, le giravo attorno tirandole la gonna, col mio musetto curioso la subissavo di “perché” e lei con rapido gesto mi dava subito la spiegazione. Non appena le domande sono diventate più esigenti, si è fatta evasiva assumendo uno sguardo ritroso e sibillino. Eppure, osservandola con attenzione, lei non tace, allude; tuttavia sono allusioni che non tendono a chiarire, ma quasi di sicuro ad eludere.

A giorni non ho alcuna voglia di vederla, perchè il suo odore mefitico mi serra la gola e penso che per me non abbia più niente di saporoso da offrire, specie se il vuoto di potenti legami d’affetto diventa l’abisso dove rotolo, precipito, mi sfracello in miliardi di frammenti. Laggiù, in quel fondo cupo, lentamente mi ricompongo, mi riconcilio con lei e torno ad accettarla, sia pure con una smorfia segreta di rancore

Mi sveglio e trovo la casa sommersa di valige, perché lei sa bene quanto mi sia necessario evadere dalla noia quotidiana e ami esplorare nuovi orizzonti, visitare paesi lontani, incontrare persone diverse. Tuttavia ci sono altri viaggi che lei mi propone e che soddisfano altre esigenze vitali. Ed eccoli lì i miei amici, tutti in fila come obbedienti soldatini a occupare pareti e tavoli delle mie stanze, pronti a schiarire le giornate, a discorrere con me, a stimolarmi, a farmi riflettere, a introdurmi in epoche ed ambienti più vari, a darmi sensazioni tattili di piacere, a rinvigorire passioni col potere d’incantarmi e spingermi poi a scavare come un apprendista archeologo in cerca di antichi reperti, di tavolette con sopra incisi segni arcani da decifrare o avventurarmi in territori sconosciuti, osare, sovvertire un ordine, dare voce al silenzio, lasciare tracce scure, violare il bianco, esporre la grafia di un vissuto, dar voce a pensieri ricordi riflessioni.

Talvolta è la sua voce suadente a svegliarmi, quando le va di raccontarmi favole e storie tra cui predilige quella della carota, dell’uovo e del caffè, che in sintesi esprime la loro diversa reazione quando vengono immersi nell’“acqua bollente”. La carota, che si presenta forte, diventa fragile e facile da disfare; l’uovo col suo guscio fine che protegge l’interno molle, cambia natura e diventa duro dentro; il caffè modifica l’acqua e diffonde attorno a sé un aroma inconfondibile. Non appena lei mi chiede qual è l’atteggiamento migliore nelle avversità, io rispondo che dipende da come uno nasce, se carota uovo o caffè, lei insiste ed io replico, lei prosegue ed io controbatto, finché arrivate al solito nodo cruciale del libero arbitrio, la discussione trascende e a vicenda ci mandiamo al diavolo.

Mi sveglio e accanto a me c’è il corpo di un uomo il cui respiro confina col mio, in un luogo che definire prigione è esagerato, perché più simile ad uno spazio teatrale dove ogni giorno si recita, gli attori indossano il proprio personaggio, parlano, si muovono secondo la trama del testo classico, convalidato da secoli. Si amano? Si odiano? Non è dato sapere quali sentimenti agiscono nei protagonisti; di sicuro, anche se non in modo palese, con invisibili armi, gas inodori e letali, si combattono a vicenda come nemici arcaici, come sessi contrapposti, come lingue di mondi differenti. Quando le distanze si fanno siderali non si distingue più niente, il deserto rimane deserto, anche se variano le sue dune.

Eh sì, pure in questo campo Lei è un’impareggiabile illusionista: il principe azzurro non libera la principessa, la incatena. Gli uomini non crescono mai, tendono a rimanere eterni figli, per questo hanno sempre bisogno della madre; vogliono essere al centro dell’universo e non si accorgono che il loro mondo è una piazzetta di paese o di un quartiere cittadino. Eppure, il cerchio non si spezza, qualcosa di vitale ancora circola fra i rituali di ogni giorno, nel tessuto naturale così provvido di tepore durante le improvvise gelate, anche rete protettiva alle acrobazie della mente, intreccio di condivisioni e di memorie agrodolci.

Mi sveglio e quasi fosse un film mi scorre davanti l’immagine di un padre, chiama le sue bambine a sedere in giardino e insieme assistono allo spettacolo dell’enotèra che, appena dopo il tramonto, con un lieve schiocco apre i suoi fiori dai petali gialli: vivranno solo un giorno, lasciando negli occhi lo stupore infinito di quel solo attimo di bellezza. Bellezza che richiama il Bene e l’anima immortale, che mi attrae quale novella sirenetta nelle profondità marine, nell’elemento primigenio, nel cielo interiore per un anelito che trascende ogni confine materiale.

Mi sveglio, sento odore di muffa misto a fragranza di lillà, lo so che lei mi aspetta, pronta a versarmi addosso incanti e tormenti, a perdonare gli insulti velenosi che talvolta prorompono dalla mia testa di medusa. Lei mi fissa dritto negli occhi, ma non sono io a pietrificarla, è lei a sciogliere ogni mia avversione, a tendere le mani per carezzarmi con dolcezza, per mettere a nudo la fragilità dei miei propositi, tanto che alla fine mi sciolgo di nuovo, mi arrendo e mi abbandono nel suo tenero abbraccio.

Mi sveglio, mi chiudo naso e orecchie, infilo la testa sotto le coperte e vorrei ancora dormire, dormire, dormire, quasi sorella di Oblomov e invece all’improvviso, come il rumore secco dell’enotèra, mi alzo, esco e seguo l’aroma di caffè, nell’aria fresca del mattino.

Firenze, 22 agosto 2007