Poesie e Racconti
orme
Orme
lasciate come impronte
Sulla superficie lunare.
Così la nostra
Esperienza umana sulla terra
Lieve passaggio
Nel tempo dell’eternità
prospettive
Deriva, deriva
è la
Mia prospettiva.
La brezza salina
È l’alito azzurro che
spira e soffia via
L’ultimo sogno.
nostalgia
Come ben ti hanno chiamata –sorella-
Sei tu che conosci l’ultima riva dove condurci
E tutti attende
abbandonarsi a te nell’ultimo istante
e salutare che ci ha amato, sostenuto,
non è dolore è nostalgia
velo ammaliante , potente
si stringe alla gola
soffocandola in un eterno amore
12/7/2014
In movimento
Ero prima,
Testimone di vita
Sarò dopo,
ricordo nello spazio
Ora si è acceso un faro
Illumina l’oceano della solitudine
Innumerevoli vele bianche
Ondeggiando assecondano
Il movimento che le alza, le abbassa
Il buio le nasconde l’una all’altra.
Crede d’essere sola
A solcare il minaccioso mare
Che attraversa
La dimenticanza
La camicia era abbandonata sulla panchina, il cappello di paglia
appoggiato sul tavolo; le anatre si facevano trasportare placidamente dalla
corrente del fiume; più in la il mare: dove il fiume sfociava.
Ma il mare conoscerà il suo confine?”
La donna al telefono si lamentava del tempo capriccioso; l’anziana
signora con gli orecchini di perle incastonati in un cerchio d’oro
raccontava alla badante la sua storia di mamma: la figlia era andata in
Polonia a lavorare per la Fiat, il paese da cui proveniva la badante che
l’accudiva.
Non si capisce come funzionino queste migrazioni, uomini che diventano
merci, vanno dove il mercato chiama, la legge della domanda e
dell’offerta.
La terra emanava il sudore ne percepivo l’odore che aveva un che di
afrodisiaco e l’aria lo spargeva intorno.
In tutti i bar dove passavo accanto gli uomini non parlavano che di calcio
per via della partita dei mondiali che si doveva giocare in serata.
La moto era parcheggiata vicino al cancello che portava al convento dei
frati.
L’uomo si guardava attorno smarrito. Dov’era, sembrava chiedersi,
Lui chi era?
Perché questa sensazione di essere estraneo a tutto; non che fosse estraneo
il paesaggio, riconosceva i monti, le catene Apuane, il fiume nel punto che
sfociava nel mare, le case, il convento con le sue mura merlate mai chi
era!
“Gianni”, sentì qualcuno chiamare, si voltò e non c’era nessuno;“Gianni,
Gianni” ti sei addormentato in piedi” una voce di donna lo chiamava con
insistenza.
La signora con gli orecchini di perle gli sorrideva e lo guardava, alla fine
gridò: “mi porti o no questo caffè che chiedo da un’ora, aggiungine un
altro per Irina.
L’uomo si riprese: si girò, entrò nel locale dove tutto gli era estraneo, si
avvicinò al banco con aria tranquilla , qualcuno aveva già preparato il
vassoio con i due caffè così li porto al tavolo della signora che l’aveva
chiamato Gianni; questo nome non gli diceva un bel niente. Si girò vide
sulla panchina la camicia abbandonata , la prese, per farne cosa si
domandò.
Rientrò nel locale guardandosi in giro, sgomento, alla ricerca di un bagno,
si muoveva con circospezione, alla fine, lungo una parete vide la porta con
la scritta “toilette” e con un sospiro di sollievo ci si infilò.
Tolse la giacca da cameriere che indossava e si infilò la camicia, era
perfetta sembrava proprio la sua ; già la sua, di chi ?
Intanto da fuori qualcuno chiamava ancora “Gianni, Gianni dove sei
finito!”
“Arrivo”, rispose da dentro.
Chi era questo Gianni che gli era completamente sconosciuto di cui non
sapeva nulla e che riconoscevano gli altri.
Si muoveva come stralunato, portava le consumazioni ai tavoli che una
donna all’interno gli preparava.
“Gianni andiamo a casa, chiudiamo, disse la donna a un certo punto.
Casa? Quale casa pensò; Certo sapeva cosa fosse una casa ma non
ricordava quale fosse la sua casa, lo sgomento gli schiacciava il petto, il
senso di estraneità lo annientava; compiva dei gesti come un automa:
sistemava i tavoli, le sedie, svuotava i portacenere continuando a
domandarsi , la donna chi era, sapeva cosa fosse una donna ma quella
donna non lo sapeva chi era per lui.
Mentre sistemava, di sottecchi, la osservava, non gli dispiaceva, la
carnagione era fresca e chiara, gli occhi grandi e i capelli castani
ondeggiavano seguendo i movimenti della testa. Si certo, la trovava
piacente ma che tipo di famigliarità avesse con Lei era un mistero.
“Dove ai lasciato la moto”, chiese la donna; fu preso dal panico, si
domandava quale moto e soprattutto dov’era? si udì rispondere “tu vai
avanti, io poi, ti raggiungo”
Lei brontolò qualcosa e se ne andò.
La solitudine gli diede un po’ di pace. Non è che non volesse parlargli è
che non sapeva proprio cosa dire, non trovava nulla dentro di se, solo quel
vuoto di cui era si consapevole senza sapere quale significato avesse.
Usci e vide su un tavolo un cappello abbandonato e visto che non c’era più
nessuno capì che doveva trattarsi del suo; lo prese rigirandolo tra le dita
con la speranza che gli parlasse della sua identità.
Sempre più sgomento si incamminò seguendo i passi che lo conducevano
nell’unica strada davanti a lui.
Si era fatto buio, la luna cominciava ad illuminarsi, quando si sentì
chiamare di nuovo Gianni, Gianni dove vai a piedi: “Non so più dove ho
parcheggiato la moto” rispose ricordando la domanda della donna. “Vieni,
Sali in macchina ti do io un passaggio fino a casa” rispose l’uomo seduto
al volante.
Gianni sali in macchina e l’uomo riprese a parlargli, “hai visto che figura
ha fatto l’Italia, va bene che il Sudafrica ha un altro clima ma questo vale
per tutti, ormai il nostro calcio è finito” e si fermò davanti a una casa, lo
salutò; Gianni capi che li doveva scendere<<<<<<<<<<<<<.
“ Ora dove vado ma soprattutto chi sono” la domanda gli martellava in
testa facendogli bruciare le tempie le vene si erano gonfiate e pulsavano;
cominciò a piangere e a tremare e poi urlò “chi sono io?”
L’urlo lo svegliò di soprassalto facendogli prendere coscienza di essere
Gianni ,dopo la dimenticanza di se.