DIMENTICATO

Il cielo è ancora incerto ,tra il chiaro e lo scuro,
quando dalla fitta nebbia mattutina ecco ergersi dalla terra il suo triste lamento,
soffocato ancora una volta dal cemento.
Solo tu che hai perso il sonno nel perigrinare dei tanti tuoi anni e negli inevitabili affanni,
odi quel rantolo disperato e allora con calma e saggezza ti avvicini per l’ennesima volta al davanzale
e socchiudendo dolcemente la finestra,cerchi di vedere oltre quella coltre che oramai ha velato
anche i tuoi occhi.
La tua faccia stanca è segnata dalle stagioni,ma nonostante tutto,gli zigomi contratti invitano i tuoi
occhi a spaziare oltre quegli orizzonti offuscati alla ricerca dei tuoi ricordi.
Eccoti allora indietreggiare con la mente nel tempo,non più schiavo di un corpo affaticato e
dolorante,ma finalmente libero di cogliere le sfumature di questa vita che credevi in bianco e nero.
Comincia così il tuo viaggio a ritroso,per ritrovare quello che hai perduto nel tempo,nella fretta,
nel…
Rieccoti giovine e leggero in una festosa domenica d’estate.
La domenica,giorno di festa per eccellenza,ma dove è oggi la differenza?
Giorno sacro per ringraziare Dio,ma chi crede ancora oggi in quel Dio?
Assorto in queste riflessioni riecheggia intanto nella mente il canto del gallo mattutino, sveglia
naturale della gente semplice,quella che viveva al ritmo del sole con quello che la terra offriva,
gente saggia che sapeva apprezzare quel poco che aveva, antichi avi del popolo che oggi ha
barattato la saggezza con il progresso indisciminato per vivere al ritmo del caos.
Con la vivacità tipica di un bambino tu continui però nel viaggio dei ricordi,perso nella frenesia di
un gioco semplice,ma coinvolgente come nascondino,mentre un voce dialettale accompagnava
quell’aria leggera e profumata dai fiori di campo,o forse era solo l’età che ancora non era gravata dal
fardello delle responsabilità.
Improvvisamente,un dolore lancinante che vorresti urlare al mondo intero,ma che il mondo intero
nel suo caos non riuscirebbe a sentire,ti rimane soffocato in gola,riportandoti alla dura realtà
quotidiana.
Cerchi disperatamente un appoggio forse più morale che materiale,ma cade nel silenzio che ti
circonda,faticosamente scivoli su una vecchia seggiola,che come te scricchiola per il peso degli
anni,ma non distogli lo sguardo dall’orizzonte per non interrompere il filo dei ricordi.
Come è difficile sentirsi morire giorno dopo giorno e non poterlo raccontare a nessuno,come è triste
sentirsi soli e non poter piangere con qualcuno…
Velocemente scacci questi angosciosi pensieri,e allora ecco brillare nuovamente i tuoi occhi di
gioia,ed i tuoi ricordi possono ancora spaziare in quei campi di grano,dove si lavorava sodo,con
poca tecnologia ma tanta concretezza.
Spighe dorate scandivano le stagioni assolate,senza indecorosi calendari,con un inverno per la
semina e un estate per il raccolto,in un cilo continuo,faticoso ma non stressante,semplice e rurale
ma non per questo insignificante.
E tu,uomo patriarcale d’altri tempi,uomo forte che hai sopportato il duro lavoro nei campi,tu uomo
retto che hai conosciuto la miseria nella fame,tu che credevi di aver seminato bene per poter
raccogliere ora che sei vecchio e stanco i frutti di quel duro lavoro,deluso e amareggiato ,ti accorgi
che oggi il tuo raccolto è andato perduto,chissa dove,chissa quando…
La famiglia,quel bene prezioso che tanto amorevolmente avevi seminato,curato e coltivato,a poco a
poco è svanita nella nebbia di questa città che ti ha imprigionato,ho forse solo nel gelo dei nostri
cuori.
Una lacrima a lungo trattenuta,scivola ora sulle tue goti corrugate,riportandoti alla triste realtà,
mentre i tuoi occhi fissano il vuoto in un malinconico ozio carico di muto dolore.
Chi pensava che alla tua veneranda età avresti dovuto caricarti ancora le spalle di un fardello così
pesante come la solitudine?
Già la solitudine…
Brutta parola da non pronunciare,triste realtà da cui scappare,ma tu sei lì,solo anche se fra tanti,in
un ospizio che non ti appartiene,per lottare con lei giorno dopo giorno dal suo abbraccio mortale.
L’ultimo tuffo nei ricordi ti riporta in quei cupi giorni d’inverno,quando la luce fioca delle lanterne
rischiarava le lunghe sere passate davanti al focolare,Senti ancora l’odore dei ceppi di pino che
ardevano nel camino,mentre seguivi con lo sguardo pensieroso il rincorrersi delle scintille nella
cappa ,e se il calore della fiamma appagava di tutte le faticose giornate,fuori i primi fiocchi di neve
donavano un senso di pace.
L’afa pomeridiana ha però disciolto anche l’ultimo ricordo,lasciando il posto alla frescura della sera.
Come ogni giorno da molto tempo oramai osservi il crepuscolo accompagnare il sole oltre
l’orizzonte,ma stranamente stavolta un senso di pace avviluppa la tua mente,e con liberazione,
recitando la tua ultima preghiera ti accorgi che l’inferno tanto temuto altri non era che questa vita
che sta volgendo al termine.
Ora la tua anima rimasta nuda e sola è finalmente pronta affinchè questa terra nuovamente l’accolga,
con la speranza che il seme dell’amore possa ancora germinare,per ricordare chi,come te,
è stato dimenticato…


 

SPOSA d’AFRICA

Polvere scura,di zolle arse dal sole cocente,segnava la povertà del mio popolo,in un susseguirsi di giorni
perennemente uguali,in quell’Africa resa nera dalla paura,sfinita dalla guerra e dimenticata dall’indifferenza.
Ero l’unica figlia in una prole di soli maschi, e nonostante la povertà che minava ogni alba,mio padre sognava per me
un grande futuro.
Crebbi nell’insicurezza degli stenti e nell’incertezza del domani, ma inesorabile arrivò il fatidico giorno.
Mio padre, aveva raccolto meticolosamente giorno dopo giorno, quel tanto che bastava per imbarcarmi sulla nave della
speranza.
<< Per il tuo bene, per il tuo futuro…>> Ricordo che mi disse quando mi salutò…
Fu così che partii per l’ignoto, la terra cominciò a mancarmi sotto i piedi,gli occhi velati dal pianto annebbiarono la
vista dei miei affetti più cari, e l’odore di terra bruciata dal sole, non riempì più le mie narici.
Tristemente mi accorsi che ero rimasta sola, con l’insicurezza dei miei anni, l’angoscia del domani e la nostalgia nel
cuore.Mi sedetti sul ponte, di fianco ad un ragazzo del mio villaggio,che come me, partiva per chissà dove.
Rimasi immobile per ore, chiusa in un ermetico silenzio,quando ad un tratto una nenia straziante mi distolse dal torpore
e vidi quel bambino ,che ,rimasto solo in balia del nulla,eternava tutto il suo dolore,mentre la madre periva in quel
viaggio disperato .Mi guardai attonita attorno e subito mi sentii penetrare da altri sguardi che anelavano di
speranza,sguardi che anteponevano l’amore al dolore che li circondava,ed io umile donna nera,compresi che non potevo
appagare il mio desiderio di libertà,eludendo quegli occhi laconici.
Sconvolta da quella verità, scappai in disparte e piansi a lungo,masticando parole mai pronunciate , risvegliando
emozioni sopite in un inconscio illusorio,che presero finalmente forma in quel corpo ancora profano.
Ormai la prima brezza mattutina cominciava a lambirmi la mente quando un brivido di freddo mi percorse tutto il
corpo,ma ricordo ancora oggi che la forza di reagire, sprigionatasi in quella lunga notte di meditazione fu tale che non
mi abbandonò più.
Raccolsi i miei miseri stracci e girovagai per la nave in cerca di quegli sguardi sinceri, li raggruppai intorno a me e
insieme affrontammo i giorni avvenire.
Scrutavo l’orizzonte, quando meravigliata mi accorsi che nella notte avevamo superato lo stretto di Gibilterra e allora
tutto mi fu chiaro. Avevo superato le arcaiche paure dell’uomo, avevo compiuto il mio “folle volo”,
consapevole di aver trovato quella dimensione spirituale che si aggira latente intorno ad ogni anima,con la sola speranza
di essere percepita. Passai il resto del mio viaggio senza più separarmi dai piccoli orfani, avendo così modo di
conoscerli uno ad uno.
Tom il più piccolo, Nelson il più paziente,infine Sam il più triste. Fu con lui in braccio che l’indomani scorsi quella
grande isola. Attraccammo verso mattina inoltrata, quando i raggi del sole già infuocavano l’orizzonte.
No, non era la mia Itaca quell’isola,ma compresi l’importanza del mio viaggio quando alzai gli occhi verso il
cielo e vidi in lontananza sull’eremo isolato,ergersi imponente l’antico monastero.
Raggruppai i ragazzi, proprio come fa una chioccia con i suoi pulcini e senza esitare oltre m’incamminai.
Il languore che assalì ognuno di noi, presagiva che era arrivata l’ora di pranzo quando bussammo sfiniti quel
grande portone,non aspettammo molto e una suora vestita di bianco venne ad aprirci.
Il suo sorriso mi appagò di tutta la fatica che il mio corpo umile e sporco aveva sopportato.
Con impareggiabile grazia, accolse uno ad uno i miei piccoli orfani e con un tonfo solenne richiuse l’enorme
portone dietro le nostre spalle.Puliti,rifocillati ed amati passammo parecchio tempo al monastero,finché venne il giorno
che quei bambini diventarono grandi e lasciarono la pace di quel luogo per tuffarsi nelle avversità della vita.
Solo il seme dell’amore, che lentamente germogliò nel loro cuori,li rese pronti ad affrontare il mondo.
Abbracciai ognuno di loro senza piangere, sicura che tanto li avrei avuti sempre nel cuore e li salutai.
Ecco…
Così accettai il destino di madre di quei figli non miei, orfani della crudeltà del mondo e del menefreghismo
quotidiano,ma diventati esempi da ammirare per il mondo intero.
Vestii il mio corpo con l’abito bianco per consacrarmi solo a Lui e instancabilmente donai nel corso degli anni
sempre e solo amore. Non ho più lasciato questo luogo di pace e meditazione e ancora oggi che sono vecchia e stanca,
amo ricordare quando lasciai titubante la mia terra così :
<<Ero una giovane sposa d’Africa,che varcò il mare della conoscenza per arrivare umilmente sposa di Dio.>>