Diario quotidiano

Attenzioni sfilacciate

In altri tempi neanche tanto lontani, noi alunni in classe si marciava come soldatini, senza dare una connotazione troppo negativa a questa espressione. Avevamo un nostro “mondo interiore” ma lì, quando eravamo in classe, si ascoltava tutti insieme, si eseguiva il dettato tutti insieme, e, nella norma, si imparava tutti insieme. Forse un po’ poca espressività personale ma l’abc lo imparavamo. Non ricordo tantissimi asini!
Ora c’è sempre una maestra che parla e spiega e ripete e ricorda e fa un dettato… “a tutti”, ma loro, questi soggetti svegli, diversi, dagli occhi vivaci, incapaci di venir dietro con fiducia, ascoltano uno alla volta, imparano uno alla volta, eseguono uno alla volta, memorizzano uno alla volta, dimenticano uno alla volta, fanno quell’errore uno alla volta. Anche il tempo si è dilatato.
Datemi una classe di soli tre alunni per favore, che facciano le cose tutti insieme, e ne farò dei perfetti scolari!
Impresa impossibile oggi: tenere deste venticinque attenzioni tutte insieme. Ne acchiappi tre, te ne scappano sette; Ne attiri quattro e te ne sfuggono altre otto. Non proprio sempre così ma molto spesso. Eppure, modestia a parte, non mi ritengo una noiosa insegnante davvero!


Diario quotidiano

La cattedra

Non certo quella universitaria. La mia di maestra elementare. Non ho mai provato ad usarla come simbolo del sapere nè come una difesa dai disturbatori …Vi parlo da (dietro) la cattedra. La sedia che l’accompagna non è mai calda. Piuttosto “lei” è un deposito bagagli di mille stazioni, che una collega, inorridendo, ha criticato.
Rimane un pochetto di spazio sì, ma proprio poco, per correggere un quaderno, ops un quadernone; ma più spesso io vado ai quaderni, non sono loro che vengono a me. Sul davanti spiccano in bella mostra un gufo scacciapensieri e uno zufolo in terracotta che, se riempito d’acqua, fa il cinguettio degli uccelli. Di fianco una raccolta di portapenne, con i resti di matite, colori e penne dispersi per la classe. Persino un campanello da bicicletta che usavo per attirare l’attenzione.
E ai lati due pile di carte, resti di schede fatte o mazzetti ancora da distribuire, due romanzi che ho iniziato a leggergli e, un po’ coperto di carte, il registro.
Bambini avete visto la mia penna verde? E sulla cattedra o dimenticata fra i banchi, la trovano, magari non troveranno le loro cose, ma per trovare le mie darebbero l’anima.


Diario quotidiano

Serenità

Ho ripensato alla domanda emersa in assemblea: in classe c’è serenità? Aggiungo che la SERENITA’ è un LAVORO. Non è angioletti, alucce, stelline, cuoricini e musiche celestiali ma
“in mezzo ai conflitti, alle crisi, alle pigrizie, ai pianti, alle parole fuori posto, alle distrazioni, alle eccessive vivacità di parola e di gesti, allo sconforto, ogni bambino è sereno se su questo viene ripreso, anche sgridato, anche perdonato, anche in rapporto con la maestra che si arrabbia e in rapporto con i compagni; se gli si spiega, in mezzo alle inevitabili competizioni, la differenza fra uno e l’altro, se si raccoglie ognuno per come è fatto sapendo che ha una storia personale ed unica, se poi si riprende a sorridere e si ricomincia da capo, perché si ricomincia sempre, anche se a volte con un passo avanti e due indietro, allora c’è lavoro. Un bambino è sereno se sa di essere condotto, sa che ci pensa l’adulto, imparando a non mettersi al suo posto, come spesso succede”. Sì, in classe c’è serenità.