Autunno

La vite
arrossata
dall’ultimo sole d’estate
si aggrappa
al solido oppio
temendo l’inverno che viene.
Il canto delle vendemmie
per un attimo
distoglie il suo cuore
dal vento freddo
che già
scende dai monti.


 

Fiori

Sulla siepe,
lungo il sentiero
che si perde
tra i campi di grano
e le vigne ancora spoglie,
i neri rami del biancospino selvatico
hanno di nuovo
indossato
i loro veli nuziali
per celebrare la primavera.


Un piccolo punto grigio

Il sole è caldo, ma non ancora opprimente e l’aria è limpida, fin su all’orizzonte delle colline boscose, che sfilano a corona dietro il paese.
Quando stamani mi sono affacciata alle finestre, sul viale dei tigli, ho percepito nettamente l’odore dolce ed acuto dei fiori che ricoprono già da giorni le piante e ho udito il canto dei merli, che scendono a mangiare e a cercar vermi tra l’erba appena falciata dei giardinetti un po’ striminziti davanti al mio palazzo. Improvvisamente mi ha punto la nostalgia della casa di campagna, dove ho vissuto gli anni più intensi della mia giovinezza, immersa, o meglio spersa, tra campi coltivati e macchie di ginestre, querce e ginepri: le sere d’estate potevamo contare lucciole a migliaia e d’inverno riempirci gli occhi con la luce di rossi tramonti che accendevano il cielo.
Potrei farci un salto, mi sono detta istintivamente, sperando di far tacere per una volta la mia prepotente voce razionale.
No, ora no, ha prontamente risposto quella, pignola e arida, devi correre al lavoro.
Oggi pomeriggio?
Riunione fino a tardi. Domani, forse domani, ha concesso infine, se gli impegni te lo permetteranno.
Maligna.
E se domani piovesse? In questa stagione il tempo cambia spesso rapidamente e la pioggia dura talvolta una settimana o più.
Nel pomeriggio decido all’improvviso. Scendo in garage e rispolvero la vecchia bicicletta, ferma da mesi; sì, certo, va ancora perfettamente e se mi sbrigo posso farcela a tornare in tempo per il “dovere”.
La strada, subito fuori dal paese, già diventa via di campagna, segnata ai lati da fossi erbosi, profumati dalla mentuccia e decorata dalle campanule rosa.
La deviazione a destra.
Il viottolo diventa sterrato e si fa fatica a rimanere in equilibrio. Lo corteggiano grandi querce ombrose, vecchie di decine e decine di anni.
C’è l’antica edicola sacra ( come al solito qualcuno ha portato fiori selvatici e rose cresciute nell’orto tra insalata e rosmarino) e poi… lo stagno dall’acqua quasi misteriosamente opaca, circondata dai pioppi tremuli e dagli ontani neri.
Lontano si intravvede la casa, che si adagia sonnolenta in mezzo al grano, ormai cresciuto, punteggiato dai primi papaveri, sgualciti e teneri, ondeggiante al vento che quando passa su di lui pare accarezzarlo con amore.
La bicicletta sul ciglio della strada, appoggiata al piccolo ponte di legno che scavalca con un solo breve passo il fosso gorgogliante.
Mi siedo presso la riva del laghetto.
Le rondini volano frenetiche, sfiorando il pelo dell’acqua e l’aria è piena dei fiocchi biancastri dei pioppi, che lasciano cadere i loro semi per ogni dove. Il vento li fa ballare, trascinandoli qua e là in una danza surreale. L’acqua verdastra ogni tanto s’increspa al tuffo di una ranocchia o al boccheggiare di un pesce, che tenta di acchiappare al volo mosche e zanzare.
Ora non si ode che il silenzio ed è il suono più inquietante e commovente che io abbia sentito da molto tempo a questa parte. Prendo al volo una piuma nera che mi ondeggia davanti agli occhi. Il merlo che l’ha perduta sicuramente è già tornato al suo nido. La vita va e viene ed è davanti a me, in tutta la sua semplicità e la sua quieta bellezza, che nel profondo è perfezione e dramma.
D’un tratto percepisco una lieve risata morbida e mi giro a guardare la strada dietro di me; non c’è nessuno tra gli alberi alle mie spalle, eppure non mi sono sbagliata: lui doveva essere lì che mi osservava non visto, per richiamare il mio ricordo e riportarlo ancora una volta verso di lui.
Un altro maggio tiepido era quello e la vita allora mi aveva davvero colta di sorpresa. E quel piccolo punto grigio, scorto da lontano, accanto al tronco di una quercia era diventato a poco a poco un volto sorridente e una voce amichevole; era diventato qualcosa da cui il mio cuore era stato contagiato per sempre…
Ora, mi dico forse con una fretta persino sospetta, ora sono cresciuta però e so affrontare la vita e so bene che non bisogna farsi prendere la mano dai sogni che attraversano i cieli notturni sulla coda delle stelle.
Eppure… ogni volta che torno qui non posso fare a meno di credere che anche le più assurde fantasie si possano realizzare. Materializzare fantasmi grigi ed occhi luminosi e voci scanzonate.
Adesso devo tornare, riprendo la bicicletta e mi avvio in direzione del paese.
In fondo al viottolo lancio un’ultima occhiata verso lo stagno, verso le querce dal tronco rugoso.
Non si sa mai.
Forse domani…