La silenziosa dialettica

Intuire la potenza delle parole ma non saperle usarle,

abitudini romanzate e stornate:

scoperchiare la luna per cercarci l’idea giusta

coprire il sole per inseguirla al buio.

Vomitare parole,

senza riposo rincorrere perifrasi.

Vomitare parole,

chiassosi suoni in rima

Scoprire il potere del silenzio,

infiniti punti sospesi. Pause.

Si astiene vittorioso nella battaglia

dell’ultima rima.

Dedicarle, sussurrarle, urlarle

Ammettere di non poterlo più fare

Commenti espressi che non parlano

Silenzio

“Ho sbagliato”.


 

Radici

(per chi è lontano)

Profondo, ematico sapere

ricordo di latte

Gialli campi di grano

Franca spiga, foglia brunita di sale

déntro profumato e rugoso

Secolare presenza.

Crisalide,

fa odore di conoscenza,

difesa da un passato sicuro.

Tanto sopra quanto sotto

in basso fino al cuore

in alto fino ai pregiudizi

inarrendevoli abbracci

di un incontenibile saper vivere.

Radici.


 

Il disco rotto

Quel giorno il cielo era plumbeo e le nuvole basse annunciavano tempesta. Cominciava a fare freddo

e tutti i camini erano ormai accesi. Le strade di Granville erano poco frequentate, era quasi l’ora di

cena e si respirava odore di zuppa.

Le botteghe si preparavano a chiudere, tutte le imbarcazioni erano ben ormeggiate in porto, il mare

ingrossava, si preparava una notte turbolenta; solo pochi lupi di mare erano rimasti lì a quell’ora, solo

in pochi trovavano il coraggio di prepararsi alla pesca notturna. Gerome era lì.

No, lui non era un uomo di mare, Gerome si trovava esattamente dove doveva essere, ma non

ricordava il perché. Sempre nello stesso punto: era lì oggi; c’era stato ieri e probabilmente ci sarebbe

stato anche domani.

***

In cima ad uno sperone di granito, guardava quel piccolo equipaggio che preparava il necessario per la

partenza in mare. <<Perché uscite anche stanotte? Non vi sembra azzardato mossieurs?>>

<<Che domande sono Gerome? Lo sai, siamo i migliori e domani il paese ha bisogno del pesce,

bisogna andare avanti Gerome. Come sempre. Lei, piuttosto, che ci fa sempre qui a quest’ora? >>

Il rumore del mare che impazziva sugli scogli ci impedisce di ascoltare il seguito, ma siamo certi che

Gerome sia riuscito ad intrattenerli con qualche battuta cordiale e gentile.

<<Poveraccio, non si è ancora ripreso.>>, commentavano i pescatori quando Gerome si allontanò,

erano più in pena per Gerome che per il viaggio in mare.

Come un soldatino in marcia verso qualcosa, Gerome proseguiva. Le mani riparate nelle tasche,

comodi mocassini grigi ai piedi e una morbida sciarpa di flanella blu a coprirgli il collo. Sapeva dove

dirigersi, ma se glielo avessimo chiesto non avrebbe saputo indicarcelo. La mente di Gerome

funzionava oramai come un disco rotto, riproduceva musica a singhiozzo e ogni tanto saltava

qualche traccia.

***

Si diresse verso casa e pensava a quel dire del pescatore di prima “come sempre”. Gli risuonava nella

mente, senza ricordagli nulla di preciso in realtà, ma rimbalzava nella sua testa, come se altri glielo

avessero già detto e ripetuto. “Come sempre”. Ma non ricordava niente, nessuna immagine gli

sovveniva. Le gambe lo portarono a casa, aprì la porta d’ingresso e la richiuse dietro di sé, facendo il

minimo rumore possibile. Tolse ritmicamente all’ingresso i suoi mocassini, prese le sue chaussons e si

diresse al piano superiore. Fuori era ormai buio, ma non accese nessun lume, si spogliò come sempre e

si preparò per andare a letto.

Accese una candela che teneva accanto al letto, posò i logori occhiali sul naso e si mise a leggere

“Dialogo sui due massimi sistemi del mondo”.Gerome adorava sottolineare ciò che gli interessava in

un libro: con una mano teneva una piccola matita e con l’altra voltava le pagine.

Mani rugose, grandi e salde, quelle di Gerome, mani abituate a scegliere con precisione, a sfiorare e le

cose, a valutarne la fattura. Il suo portamento e la sua bella presenza erano note a Granville, anche se

ormai aveva superato i sessantanni, Gerome aveva una bella presenza e non passava inosservato. Tutti

gli riconoscevano un innato senso del buongusto: stoffe, colori, tagli di vestiti erano sempre

perfettamente accostati, i suoi accesi occhi azzurri, i capelli sempre ben impomatati ed un buon

profumo facevano il resto.

La sua camera da letto era in gran parte occupata da un grosso armadio liscio di mogano scuro:

all’interno erano sistemati e già abbinati abiti ed accessori per ogni occasione. Era chiara la presenza di

una donna in quell’ambiente, ma se vi foste voltati a guardare in giro non c’era nessuna donna; solo

qualche piccola traccia femminile, un occhio attento le avrebbe notate, ma Gerome pareva non

accorgersene.

Anche adesso, al chiarore di una piccola candela, Gerome era impeccabile: la barba e i baffi

erano stati pettinati, gli abiti del giorno erano stati ripiegati, una morbida vestaglia di velluto verde lo

scaldava, aveva un profilo signorile e rilassato. Respirava piano e leggeva il suo libro preferito.

***

Non staccava mai gli occhi dal libro, pagina dopo pagina, però, il suo interesse diventava più isterico,

gli occhi scivolavano velocemente sulle parole di quelle pagine: perché ciò che avrebbe voluto

sottolineare era già sottolineato? “Che a qualcuno interessino le stesse cose, può succedere, ma è

incredibile condividerle tutte! Che sia un libro in prestito dalla biblioteca, però, mi pare strano!”

Non si capacitava del fatto che la sua matita, quella sera, gli era stata praticamente inutile.

Un paio d’ore dopo, il paese dormiva.

***

Il giorno dopo Gerome si tirò su dal letto molto presto, come sua abitudine, scese di sotto per fare

colazione e si sedette al tavolo in attesa del caffè, ma la macchinetta non era pronta. La fissò un

attimo… “come sempre” pensava, ma non capiva perché lo pensasse. Non diede peso alla cosa.

Senza caffè, si mise il suo pesante cappotto di lana foderato, prese il suo fedora di feltro blu e uscì.

Camminava piano e avrebbe percorso tutto il lungo mare, fino alle prime fattorie di periferia.

Il vento aveva ululato tutta la notte, il mare era ancora agitato, ma l’aria era ora ferma. Fredda.

Gerome non pensava a nulla, non riusciva a pensare a nulla, gli risuonava in mente un motivetto di

musica lirica. Non ne sapeva le parole, forse. Non amava molto questo genere, né la musica in

generale, ma non poteva fare a meno di pensarci.

La gente lo salutava familiarmente, lui non ricordava tutti i volti, ma rispondeva per cortesia.

***

Tornò a casa per pranzo e trovò un pacchetto avvolto nel giornale del giorno. Contenente un po’ di

zuppa di pesce. Accanto c’era un biglietto da visita e dietro un messaggio per lui:

“dovresti andarci, ne abbiamo parlato ricordi? Passo

domani a vedere come stai, accendi il camino, mi

raccomando, c’è il troppo freddo in questa casa, dietro nel

giardino ti ho lasciato un po’ di legna. La zuppa l’ha fatta

Camille ieri. A domani”.

Era firmato Philippe, “caro amico”, pensò. Rigirò il foglio e lesse: Auréliene Gautier, scienziato

della mente. Esperto in casi di traumi e blocchi mentali. Non gli sembrava troppo strano che ne

avesse bisogno, avrebbe chiesto aiuto se avesse ricordato il motivo.

Come un disco rotto, si rimise a canticchiare il solito motivetto.

***

Dopo aver riposato, Gerome si preparò accuratamente per uscire; si diresse al porto, come ogni sera,

ci rimase fino al tramonto, faceva troppo freddo per trattenersi, salutò i pescatori e tornò a casa. Aprì la

porta in silenzio, si tolse le scarpe, salì al primo piano, tutto nel più completo buio, si mise la sua calda

vestaglia di velluto rosso, accese la candela per preparasi a leggere.

Aveva lasciato sul comodino il biglietto da visita di quel medico. “Sì, dovrei andarci, mi sento un po’

indolenzito ed esausto. Questa musica, poi!”

Volse istintivamente lo sguardo al comodino dall’altra parte del letto, come se sapesse dove cercare:

“mi serve una nuova candela, devo trovare una nuova candela”, ma quello che vide era un comodino

spoglio, né un lume né un libro. Vuoto. “Come sempre” pensò di nuovo. Continuava a sfuggirgli

qualcosa. La vista di quel comodino vuoto gli lasciò l’amaro in bocca, ma non sapeva fare altro che

deglutire e dimenticarsi di quella sensazione. Accese il mozzicone di candela e si rimise a leggere, finì

il libro ma non sottolineò nulla. Tutto era già sottolineato.

***

Il giorno dopo, Gerome si alzò presto, si vestì di tutto punto, scese per bere il caffè, ma la macchinetta

non era ancora pronta. Uscì senza caffè e fece una lunga passeggiata lungo il promontorio a

strapiombo sul mare. Cosa avrebbe fatto quando la neve e il ghiaccio gli avrebbero impedito le sue

camminate? Non sapeva rispondere e dimenticò in fretta quel pensiero.

All’ora del pranzo lo raggiunse Philippe, che entrò in casa sua con una copia delle chiavi. Philippe

trovò Gerome seduto sulla poltrona accanto al camino che fissava il vuoto. <<Hai pranzato?>> gli

chiese con tono sarcastico. Gerome sollevò quegli occhi bellissimi ma assenti, si guardò in giro in

cerca di una risposta alla domanda che non ricordava <<Eh?>>

Philippe tirò fuori dalla borsa che aveva con sé pane fatto in casa ancora fumante e qualche fetta di

formaggio. Accomodò il tavolo principale, <<Vieni, pranza insieme a me>>. Contento di aver

compagnia, Gerome mangiava soddisfatto. <<Mi hai promesso che mi seguivi oggi, ricordi? Andiamo

da questo medico, saprà aiutarti! Papà devi farti aiutare! E tornare quello che eri fino a qualche tempo

fa!>> Gerome ora lo guardava sperduto e gli regalò un sorriso, uno di quei grandi e riconoscenti

sorrisi che sanno rivolgere di solito solo i bambini, quando si affidano a chi si cura di loro.

***

Quel pomeriggio.

Gerome si ritrovò seduto su di una poltrona di legno bruno, nodoso e poco liscio, rifoderata di un

vellutaccio spelacchiato e di un colore indefinito. C’era odore di sigaro alla vaniglia mischiato ad un

leggero sentore di grappa. Si guardava intorno e vide pile e pile di libri, abbandonati qua e là, un po’

sul divano (oramai inutilizzabile), un po’ per terra, posacenere stracolmi di mozziconi di sigaro, carte e

mappe di quello che dovrebbero essere sezioni del cervello (o così gli parevano). C’era un grande

specchio di fronte alla poltrona sulla quale era seduto e un tavolino basso di fronte alle sue ginocchia

con un bicchiere pulito ed una brocca d’acqua.

Di fronte a lui, dietro una scrivania logora e scricchiolante, sprofondato in una dantesca sciupata tanto

quanto l’enorme cuscino ripostole sopra. <<Allora, monsieur Gerome, la definiscono disco rotto! Suo

figlio Philippe dice che lei sente una musica, che passa ore ad ascoltare una musica. Mi parli di questa

musica.>>

Gerome si fissava allo specchio, avrebbe dovuto lucidarsi le scarpe prima di uscire. <<Non mi

piace,ma mi fa compagnia.>> <<Perché non me la canta? Vediamo se è così sgradevole!>>

Gerome era sempre più a disagio, non sapeva rispondere, non riusciva a pensare. Gli doleva il capo:

<<Non riesco a cantargliela dottore, non so le parole, è una musica!>>

<<Va bene, non si preoccupi. Perché non prova a canticchiare qualcos’altro, se le fa più piacere!>>

Gerome lo fissava con una sguardo che trasudava tanta stizza quanta disperazione:<< Crede che non

ci provi! Mi crede stupido! Ho capito, Philippe crede sia matto e lei è un dottore per matti!>>

Si alzò battendo i tacchi dei su mocassini sul pavimento. Afferrò con una mano l’ennesimo sigaro che

Gautier si era acceso, con l’altra mano si teneva chiuse le narici, e spense il sigaro nel posacenere. Uscì

da quella stanza con l’intento preciso di non tornarci più.

Il povero Gautier sgranò gli occhi sbigottito e divertito. “Ce la faremo”, pensò.

***

Gerome era lontano da casa, si strinse nel suo Lord e si diresse verso casa, non senza passare dal mare.

Aprì la porta principale e la richiuse dietro di sé nel più completo silenzio, salì al primo piano, si mise

la sua vestaglia, accese la candela ( Philippe gliene aveva preparata una nuova, ma non ci fece caso) e

iniziò a leggere un libro “Dialogo sui due massimi sistemi del mondo”, “chissà di quali sistemi parla”,

pensò. La matita pronta per sottolineare le parti più interessanti.

***

L’inverno era ormai arrivato e Gerome ripeteva una per una la sua giornata tipo, senza mai spiegarsi,

ad esempio, perché la mattina il caffè dovesse essere pronto- Viveva ciclicamente le giornate e,

quando andava a letto resettava tutte le informazioni. Dimenticava qualsiasi dialogo scambiato al

porto, qualsiasi consiglio che vecchi amici gli suggerivano, ogni ricordo che il povero Philippe tentava

si smuovere. Granville tutta piangeva la sorte che era toccata al povero Gerome: abile ed inimitabile

sarto, Gerome era un uomo rispettabile, amabile e devoto alla sua famiglia. Ma quando la sua

famiglia era stata scossa nel pi profondo, Gerome non ava retto. Philippe non ava avuto tempo

di pianger la morte della madre, perché era più preoccupato per il padre. Dal giorno del fattaccio,

Gerome non era stato più lo stesso.

***

La comunità aveva fatto affidamento alle parole dell’illustre dottor Gautier: non era altro che un

blocco momentaneo. Gerome era sospeso in una sorta di limbo, dove la sua mente lo aveva rilegato

per non soffrire troppo. Non servono medicine, non esistono cure. “Gerome deve riattaccare lì dove

ha strappato” filosofeggiava il dottore.

E la chiave, secondo Gautier, era quella musica: “dobbiamo far cessare quella musica nella sua testa”,

disse ad una riunione di paese fumando il suo sigaro.

<<Facile lei! Non sappiamo neppure quale musica sia!>>Sbottò qualcuno.

Gautier, consapevole di avere gli sguardi di tutti addosso, si stringeva nelle spalle, fino a che, colpito da

un lampo di genio, si alzò in piedi e additò il povero Philippe: <<Ma qui la chiave di svolta è lei!

Quali musiche ascoltavano Gerome e la povera trapassata? Avrà frugato fra i vinili e i dischi!>>,

<<Dottore, mio padre non amava molto la musica, preferiva leggere nel più completo silenzio, era

mia madre l’intenditrice. Non ho trovato nessun giradischi in casa, probabilmente ascoltavano musica

solo in bottega, mentre lavoravano! Sono stato in negozio, ma non ho trovato niente!>>

La riunione si protrasse fino a sera molto tardi, tutti avevano provato a dare una mano, anche le

signore più vicine a Myrtille (questo era il nome della moglie del nostro Gerome) non sapevano

indicare una musica, una sinfonia fra tutte. Era una donna molto silenziosa e non l’avevano mai sentita

canticchiare qualcosa.

Sapevano di certo che Myrtille ascoltava musica di gusto, soprattutto musica da tutto il mondo perché

spesso i regali di Gerome erano vinili preziosi fatti arrivare insieme ai filati e alle stoffe oltreoceano.

***

Gerome frequentò la stanza puzzolente del dottore altre volte, ogni volta, ovviamente, non ricordava

di esserci mai stato. Il risultato finale era sempre lo stesso, il povero Gerome che usciva

maleducatamente dalla stanza perché offeso.

Una di quelle sera, dopo ore di Gautier e dei suoi strimpellamenti al pianoforte per cercare

quella melodia, Gerome arrivò alla porta di casa, l’aprì e la richiuse in silenzio, si tolse le scarpe e, lì, a

testa all’ingiù, trovò incastrata fra le tavole del parquet, qualcosa che luccicava. Riuscì a recuperarla,

era una punta di vetro, piccola ma molto appuntita.

Capì subito che era la punta della conchiglia di un giradischi, ma quale giradischi? Non ve ne era

neanche uno in quella casa! Si guardava intorno e posava lo sguardo su ogni cosa in quella sala di

ingresso, come se fosse la prima volta che entrasse in quella casa. C’era uno specchio, posto proprio lì

di lato alla porta d’ingresso. Era una specchiera piccolina ma graziosa: nel piano inferiore erano riposte

piccole scarpette blu in tela rasata, sul ripiano superiore, alla base dello specchio, era poggiato un

pettinino con un fiore di legno inciso.

Che avesse forse sbagliato casa? Gerome era stordito e stupito, girò inebetito ogni centimetro di quella

che gli sembrava la casa di un estraneo. Vestiti da donna, una boccetta di profumo in bagno, cipria

ancora buona riposta dentro quel comodino (dove scovò finalmente la scorta di candele!!) e accanto,

proprio lì accanto al suo posto nel letto, notò una vestaglia rosa posata. Si cacciò la punta di vetro in

tasca e con il suo ineguagliabile tocco da mastro sarto, prese quella vestaglia rosa: era di seta Tussah,

tessuto spesso e consistete, pregiato e molto resistente, come lei… la sua mente aveva aperto uno

spiraglio, la musica era cessata. La sua Myrtille!

Aveva fatto arrivare quella stoffa per sua moglie, solo per lei. Dove sei Myrtille? Un dolore al petto lo

ubriacò di tristezza, svenne lì con addosso gli occhiali e tra le braccia la vestaglia.

***

Il mattino dopo si ritrovò non al suo posto e la cosa lo infastidì; la musica in testa era ricominciata e,

stordito, si apprestò ad uscire di casa per respirare meglio. Non guardò attorno a sé, né fece caso alla

vestaglietta rosa che era lì nel letto. Scese a NON fare colazione, tenendo addosso gli abiti del giorno

prima.

Uscì a fare la solita passeggiata, ma quella non sarebbe stata una giornata “come sempre”.

Quando si mise le mani in tasca, ripescò quella puntina di vetro. Avvenne tutto molto velocemente,

come appena destato da un sogno a singhiozzi, iniziò a ricordare. Piangeva. Era solo. Si era diretto lì

in quello spiazzo arroccato da cui si poteva vedere Granville. Era una delle mete preferite di Myrtille.

A perdifiato si precipitò in paese e bussò con violenza alla porta di Gautier che, ancora

assonnato ma col sigaro già acceso aprì. <<Buongiorno dottore>>, disse Gerome con gli occhi pieni

di lacrime. Afferrò quel sigaro e lo gettò nella neve, <<mi scusi, posso entrare? Le faccio ascoltare cosa

sentivo nella mia mente>>.

Non seppe proferire parola, il medico si fece da parte. Gerome si precipitò al pianoforte e suonò

qualche accordo che ricordava dell’opera di Schütz, l’austriaco tanto amato di Myrtylle.

Suonava e piangeva: si ricordava tutto Gerome e piangeva come non aveva fatto quel giorno.

Gautier si era acceso un altro sigaro, ma Gerome non ci fece caso, gli stava raccontando della

sua Myrtille e di quel giorno: lei si spense nel loro letto mentre lui cercava il vinile di Schütz per

farglielo ascoltare. La conchiglia del braccio del giradischi si ruppe, recuperò la conchiglia, ma la

puntina andò perduta. Myrtille non poteva aspettare e morì prima di risentire ancora un’ultima volta la

sua aria preferita. Lui non aveva saputo più muoversi senza lei, giorni confusi da allora, bloccato a

risentire con la mente quella melodia, a raggiungerle la sua Myrtylle con la mente.

Ogni attimo della sua giornata, da quarantanni a questa parte, era stato accompagnato dalla presenza di

Myrtille: le sue attenzioni, dal caffè la mattina, al cambio delle candele la sera, lo avevano lasciato

orfano. Le passeggiate mattutine in cima alla città, le camminate al tramonto al mare erano ciò che più

rendevano felice la sua Myrtille. E “come sempre” Gearome continuava la sua vita, come se

nient’altro avesse potuto fare.

***

La notizia della guarigione di Gerome si diffuse in fretta, ci fu una gran festa e tutti si presentarono a

casa sua ad augurargli il meglio.

Alcuni giorni dopo, vestito di tutto punto, tornò anche alla sua bottega. “Stoffe e bottoni” diceva

l’insegna. Gerome e le sue salde mani ripresero il loro posto, Staccò il foglietto lasciato fuori “chiuso

per lutto” ed entrò. Tolse la polvere e aprì le tende. Pose, lì dove un tempo c’era la poltrona comoda

che Myrtille occupava per rammendare, il giradischi riparato e lo fece partire.

<<Oh, buongiorno! Finalmente ha riaperto! Ne avevo disperato bisogno, vede i calzoni del mio

bambino? Vede, continua a staccarsi i bottoni giocando, come possiamo fare? Oh, scusi la mia

impertinenza, ma volevo chiederle, perché non c’era nessun giradischi a casa sua? E perché nessuno

sapeva indicare qualche compositore di gradimento della sua povera moglie? >>

<<Vede, signora, Myrtille riteneva che la musica fosse un affare privato, un po’ come la poesia o la

qualità di una stoffa! Ognuno ha il proprio giudizio e non è saggio tediare dei propri giudizi qualcun

altro. Quindi teneva per sé i suoi gusti e ascoltava la musica solo in mia presenza e con un volume

basso. Il grammofono? E’ proprio quello che vede ora laggiù. Non mi ricordo molto di quei giorni,

ma avevo pensato che, se l’avessi fatto riparare, Myrtille si sarebbe svegliata. Quindi preparai il pacco

per la spedizione in Germania, ma è rimasto bloccato all’ufficio postale di Caen fino ad oggi. Neppure

mio figlio poteva sapere. Ho ritrovato, però, la puntina di lettura e l’ho messo a nuovo da me. Myrtille

non può tornare, ma almeno io mi sono ricordato di vivere!

Vediamo di risolvere il problema. Mi dia questi bottoni.>>

Marina