Piede di guerra

28 ossa articolano lo scheletro del piede. Servono per camminare.

E per sostenere il nostro peso.

28 ossa che si muovono, capaci di seguire un ritmo ispirato,

talvolta affannato, altre stanco, altre ancora eccitato.

28 ossa che ci fanno viaggiare, dentro e fuori casa.

Sono le stesse che a certi scrittori forniscono il ritmo della narrazione:

vanno in giro e poi scrivono alla velocità dei loro passi.

Piede poetico.

 

Ma quello stesso piede può calzare scarponi di un uomo che imbraccia il fucile.

In testa ha un elmo e indossa una divisa: i suoi piedi eseguono ordini.

28 ossa che articolano obblighi, che supportano divieti, che perpetrano stragi.

28 ossa che sparano pallottole contro un nemico immaginario,

che non è altro che un’idea.

Piede ottuso.

 

28 ossa sono anche un’unità di misura: il piede segna lunghezze

e il loro susseguirsi, distanze.

Ma ogni piede è poco più di 30 centimetri: quanti ne servono per scappare?

Quanti ne occorrono per scalare? Quanti per raggiungere il mare?

Sarà per questo che i militari procedono in fila:

quanti piedi ci sono tra il primo e l’ultimo del battaglione?

Piede internazionale.

 

Mia nonna, ebrea, scappò da Livorno nello stesso luogo dove mia nonna, cattolica, scappò da Livorno.

Era un paesino tra i colli toscani dove le strade erano sentieri che venivano calcati dai piedi di chi scappava e di chi cercava.

E a pochi piedi da lì correva una linea, gotica, di morte e reclusione.

Correva, ho scritto, perché è il camminare che ci distingue, veloce o lento.

28 ossa che articolano lo scheletro del piede.

Di Gandhi e di Hitler.

 

(Micol De Pas)


La lettrice

Il busto ondeggia avanti e indietro,

come durante un esercizio ginnico

Mentre le dita seguono titoli e angoli di carta,

leccati indirettamente per voltare pagina,

insieme agli occhi,

incorniciati dagli occhiali.

 

È la lettrice,

impegnata in un movimento ritmato,

che la porta ora troppo vicino alla parete dietro di lei,

ora troppo a ridosso del tavolo davanti a lei,

in perfetto sincrono con le dita, il collo e gli occhi.

Talvolta si sofferma,

per un istante di appena un attimo più lungo degli altri,

come se la partitura della sua musica interiore

fosse scandita da un contrappunto o da una pausa saltuaria.

Succede quando qualcosa cattura la sua attenzione.

 

Un titolo, o la didascalia di una foto: sta leggendo una rivista.

Ma occorre più tempo a descrivere il suo metodo di lettura che non a compierla.

“Molto interessante”, conclude, chiudendo il giornale che ha davanti, mentre si sfila,

con l’altra mano,

gli occhiali rossi.

“Trovo sempre qualcosa che mi piace leggere su queste pagine”.

 

Ginnastica. E nemmeno mentale.

Per fortuna, io non ne sono capace.