Arianna Morelli - Poesie e Racconti

UN OSSIMORO DI BISNONNO

 

Immaginate una bambina di 5 anni che sta guidando un’ape cigolante color azzurro cielo, orgogliosa del compito affidatole e gelosa del suo “ bolide ”, mentre il bisnonno Mario la sorveglia attentamente senza darlo a vedere, trasmettendole una sensazione di fiducia e libertà.

Spostatevi adesso col pensiero in un paesino dalle poche strade e dallo scarso traffico, dove la stessa bambina cammina spensierata e lo stesso nonno, che potrebbe apparire incosciente e scapestrato nell’immagine precedente, la costringe a fare dieci passi in più per raggiungere le strisce pedonali e abituarsi ad attraversare solo così.

Se vi sembra contraddittorio il comportamento citato ed impossibile che convivano nella stessa persona atteggiamenti agli antipodi vi devo smentire: mio nonno Mario era esattamente così!

La nostra così forte empatia e il nostro così stretto legame persistevano nonostante le differenze, sia lievi, sia profonde, dei nostri caratteri (per esempio la simpatia per una diversa squadra di calcio), ma era proprio il nostro essere così diversi a rendere veramente speciale la nostra intesa.

Tanto lui era estroverso, espansivo, sempre pronto ad accogliere chiunque con un sorriso e un buon bicchiere di vin, tanto io ero e sono riservata e bisognosa di un tempo maggiore per instaurare una relazione significativa.

Ciononostante sono stati numerosi i momenti di profonda interazione e scambio tra noi, legati in particolare ad un luogo per me magico, quasi incantato, dove mi portava a vedere una famiglia di cervi nella loro tranquilla dimora.

Nell’osservare l’atteggiamento del cervo dominante nei confronti della compagna e dei piccoli  mi sembrava di cogliere delle assonanze con la struttura della nostra famiglia e con il ruolo esercitato dal mio super nonno.

Erano così simili gli atteggiamenti del cervide e del mio Mariolino: l’andatura fiera, il petto gonfio d’orgoglio per i propri cuccioli e la fatica a dimostrare i propri cedimenti nella quotidianità.

Spostatevi ora di un paio d’anni in avanti e potrete vedere la sua figura ormai affannata e distesa su un divano nella casa dove sarebbe morto di lì a poco.

Di solito le persone anziane e sofferenti sono portate a incentrarsi e a chiudersi come in un guscio nel proprio dolore proiettandosi verso la fine. Ma non era questo l’atteggiamento del mio super Mario: chiedeva sempre della sua piccola che, proprio in quel periodo, aveva avuto le prime avvisaglie della sua malattia e, nonostante tutti in famiglia cercavano di proteggerlo da una batosta simile nascondendogli la situazione, lui aveva intuito tutto.

Quando vedeva la sua principessa, il suo “ Nanin ” le dimostrava che lui non avrebbe mai rinunciato al suo ruolo di amico fedele e sempre disposto alla battuta e allo scherzo.

Solo molto tempo dopo la bambina che diventai, ormai cresciuta e libera dalle costrizioni ospedaliere, avrebbe saputo dalla bisnonna quanto lui si fosse agitato per i problemi di salute dell’amata nipotina e avrebbe compreso quanto nonno Mario  avesse contato nel suo percorso di crescita essendo stato il perno fondamentale della sua maggiore apertura verso gli altri e il mondo.

Proprio come il cervo maschio insegna al suo cucciolo il modo migliore per procacciarsi il cibo, il mio eroe mi ha insegnato ad osservare la mia immagine riflessa negli occhi altrui senza avere paura.


IL DIARIO DI MIA NONNA ANNAPIA

 

”Guardarsi allo specchio e sorriderci, imparare ad amarsi. Riconoscere pregi e difetti.”

Queste sono le ultime parole di un diario dalla copertina di un verde ormai sbiadito, di una donna intorno ai quarant’anni che, grazie ad un percorso di elaborazione di una tragica esperienza personale, ridefinisce  il senso del suo esistere e si proietta con maggior fiducia e solidità interiore verso il futuro. Le sue riflessioni, scaturite da un cammino a tratti tortuoso e in salita, tra momenti di disperazione e di ricerca di serenità, hanno costituito per me un punto di riferimento.

Negli ultimi anni è diventata la persona con cui più mi identifico, pur non avendo ricordi di lei, dato che è mancata intorno ai miei sei mesi di vita: sto parlando di mia nonna Annapia.

Il suo diario è rimasto per anni rinchiuso in uno scatolone, senza che nessuno si prendesse la briga di leggerlo e provare ad immedesimarcisi. Una volta ritrovato ha ottenuto una posizione importante su un mobile al centro del salotto dove ha acquistato un ruolo quasi di reliquia e ha stazionato per anni.

All’età di undici anni una curiosità impellente nutrita di racconti familiari intorno a lei mi ha indotta ad aprirlo e a cercare di ricostruire la sua figura attraverso le sue dirette parole.

Il carico di sofferenza che trasudava dalle pagine era troppo pesante, quasi intollerabile per una bambina quale io ero a quell’età, per cui l’avevo chiuso e riposto.

Dopo tre anni, acquisita una maggior consapevolezza e maturità, ho scelto di riprendere in mano il diario, quasi per una sfida personale, e affrontare così la mia fragilità. Ho in tal modo scoperto una persona a me prima sconosciuta e ho instaurato con lei una relazione personale attraverso quelle pagine in cui pareva che la Nonna parlasse direttamente a me. La lettura del suo diario, che da allora mi continua a coinvolgere con il medesimo impatto emotivo, non mi annienta più.

Vorrei condurvi a una visita guidata fra i meandri di queste pagine, presentandovi alcuni dei punti salienti che mi accompagnano e mi supportano nel quotidiano.

Il viaggio potrebbe iniziare dalla lettura dei molti passi del diario da cui emerge l’accettazione di eventi drammatici e la ricerca continua di un riscatto e di una motivazione per proseguire: ”Oggi rinasco, inizio daccapo la mia vita ,oggi è il mio primo giorno di vita. Ma a differenza di un neonato ho potuto fare un’analisi di tutte le mie esistenze con le innumerevoli esperienze vissute siano esse state:, positive, negative, dolorose, angoscianti. Non posso più tornare indietro, mai nessuno ha potuto farlo, ma posso però fare tesoro delle mie esperienze, evitando di rifare errori già commessi e ricominciare per me stessa e per i bambini”.

Avendo perduto una persona cara ad un’età molto precoce e avendo avuto numerose difficoltà a ricostruire me stessa, relazionandomi ad una perdita importante, ho trovato un modello di riferimento e dei consigli che mi sono stati fondamentali nel mio percorso di crescita.

La tappa successiva potrebbe riguardare la ricerca di un rapporto equilibrato con l’altro. Nel diario si possono ritrovare riflessioni sugli atteggiamenti contrapposti che l’uomo può assumere con le persone con cui si relaziona del tipo : ”Imparare ad essere indulgenti con noi stessi, proprio come lo siamo nei confronti degli altri” e ”Perché se incolpiamo gli altri del nostro dolore gli unici a pagarne le conseguenze siamo solo noi?”. Di fronte a situazioni drammatiche è troppo semplice incolpare gli altri, senza assumersi le proprie responsabilità. Dall’altro lato bisogna anche imparare ad essere indulgenti con sé stessi, evitando di farsi schiacciare dalle opinioni altrui ma mantenendo le proprie convinzioni e la capacità di esprimere i propri bisogni. Mentre il primo aspetto mi è congeniale e sono abituata alla sua pratica, con il secondo riconosco di dover ancora lavorare su me stessa, ovvero imparare ad affermare con chiarezza e fermezza le mie posizioni.

Anche il filosofo Aristotele cita il giusto mezzo e lo definisce come medietà fra i due estremi, l’uno secondo l’eccesso, l’altro secondo il difetto.

La tappa conclusiva di questo viaggio approda col confronto con quello che mia nonna definisce l’IO SUPREMO: entità indefinita che coincide con l’aspirazione ad una vita concentrata sull’essenziale, ovvero non ci si deve disperdere inseguendo obiettivi frivoli di illusoria felicità (una bella casa, una macchina nuova, denaro). E’ una forma di religiosità che non immagina un dio a cui sottomettersi, essendo l’uomo fautore del proprio destino. Di fronte alle difficoltà occorre rinunciare al fatalismo e alla rassegnazione per mostrare un atteggiamento attivo e costruttivo nella relazione col mondo esterno. Mia nonna, oltre ad essere donna di famiglia, gestiva l’azienda ereditata dal marito con un impegno quotidiano non indifferente.

Vorrei concludere quest’esperienza riferendomi all’ultimo messaggio lasciatomi sul quaderno. Non sono parole ma un disegno semplice che rappresenta una barca a vela. Essa può simboleggiare, a mio avviso, la volontà di salpare in mare aperto con fiducia e senza timore, lasciandosi alle spalle quel fardello di angoscia vissuto.

Come avrete potuto capire da quanto ho scritto, l’eredità maggiore l’ho ricevuta da questo diario, pagine nelle quali mi sono potuta specchiare limpidamente, dove, finalmente, mi sono riconosciuta e identificata.


 

RIFLESSIONI PENSANDO AD ALDA MERINI

 

A Mariangela

La tua mano scivola sul mio pallore. Nulla deve divenire osso.

Rossori contornano il tuo volto,

bramosi ricercano una carezza ancora.

Il tuo petto confonde il violaceo seno. Non una pesca da questo bacio 

sfumato in errore. Non un marinaio che possa annegare.

Tempesta fu. Il mio bambino stretto al petto di mia madre.

Cosa vi suscita l’immaginario descritto in “ A Mariangela”? Riflettete, rileggete, immaginate e riflettete nuovamente: cosa vi suscita l’immaginario descritto? Una storia apparentemente semplice e sempre più comune ai giorni nostri. Ragazzi e ragazze sempre meno informati sui rischi in cui possono incorrere. Quanti giovani conoscono la definizione di HIV e i problemi legati a questa patologia? Quanti sanno distinguere fra fare l’amore e fare sesso? Non è ammissibile vivere questo mondo, quello dell’emozione, intriso di desideri, aspettative, paure con leggerezza. Non è’ assolutamente possibile! La percentuale di aborti tra minorenni è un trend in forte crescita: l’Italia si posiziona all’ultimo scalino nella classifica europea per l’uso dei contraccettivi ormonali. Ciò’ che più mi fa imbestialire è la noncuranza al sentimento, il non ascoltare più’ le nostre volontà’ interiori che urlano per farsi ascoltare e,  continuamente, vengono messe a tacere. Non si bada più’ al pensiero: ciò’ che permetteva all’uomo di distinguersi da un animale sta velocemente scomparendo. Seguendo questa catena, alla quale ci si lega e ci si dona, si giunge alla privazione della libertà, venendo meno essa si giunge al venir meno del desiderio profondo. Si è automi che eseguono mosse prestabilite e “perfette” secondo la strana nuova ottica e concezione dell’ambito del sesso. Mi viene immediato un confronto asimmetrico: forse era più’ forte l’emozione messa in gioco in passato per un bacio rispetto a quella messa in atto oggi per fare sesso? Pensate al poeta tedesco Charles Bukowski che definisce la perfezione come: “un uccellino in gabbia che vive, mangia, caga e muore con il solo scopo d’essere ammirato” e aggiunge: “ Io voglio vivere libero, spiumato, infreddolito, denutrito ma libero”. La Poetessa Alda Merini invece in un suo scritto esorta i lettori a fare l’amore, quello vero: “E poi fate l’amore, niente sesso, solo amore […] corpi incastrati e anime in collisione, carezze sui graffi, vestiti tolti insieme alle paure, baci sulle debolezze, sui segni della vita […]”. Se credere e sperare in un ritorno a questo tipo d’amore significa essere all’antica sono orgogliosa di sentirmi una pluricentenaria. Ricordate  infine…John Lennon, nella canzone “Nobody told me” scrive: “Everybody’s making love and no one really cares”. Serve riflettere. Ancora ed ancora.


 

LA VERITA’ DENTRO LA POESIA

 

Una bellezza torbida? Un corvo che diviene gabbiano? Follia che si trasforma in normalità’ e si canalizza nella quotidianità’? Fare a pezzi le proprie paure ed affrontarle? Scambiarle ,giocarci, parlarci, abbracciarle, lasciarsi coccolare da loro. Questa è la poesia: una realtà’ che appare totalmente distante dall’immaginario comune di quotidianità. Nella vita di tutti i giorni ci si può ritrovare in situazioni in cui ci si obbliga a vestire dei panni che stanno stretti e che non  permettono di sentirsi a proprio agio. Nel mondo della poesia tutto cambia: ciò’ che sembra irrealizzabile diviene plausibile, ciò’ che è quotidiano si allontana sempre più da noi e non sembra più’ raggiungibile. Nel mondo incantato della poesia si va alla scoperta di una nuova realtà, un secondo regno nel quale è possibile rifugiarsi nei momenti di sconforto, sfogarsi quando ci si sente nervosi. E’ un mondo fantastico eppure così’ reale; ne possiamo tastare la superficie notando i cambiamenti che avvengono in noi dalla semplice lettura di un verso, ad esempio. E’ un mezzo che non permette di mentire, rende vulnerabili ed è in grado di spogliare da tutte le armature e corazze colui che si avventura fra i suoi meandri. Ci obbliga ad essere noi stessi senza scusanti. Io credo che essa possa essere paragonata ad una dea, una donna bellissima che pare irraggiungibile a qualsiasi ragazzo, il quale le parla ma non riesce a comprenderla fino in fondo. Lei è’ cosi enigmatica! Oppure essa è il David Beckam della situazione, sfuggente ma così’ seducente; anzi più’ ci si rende conto di quanto sia difficile raggiungerla più’ diviene affascinante. Leggendo alcuni versi di una poesia di Bukowski ci si trasforma in quel vecchio ubriaco che vuol far credere a tutti che non gliene importi nulla dell’amore eppure se si sta attenti, leggendo attentamente le parole, si possono udire i sospiri di un Charles abbandonato dalla madre. Ecco com’è la realtà’ nella poesia: non visibile eppure così reale, veritiera. In essa tutto è essenziale: una parola non regge senza il supporto di un’altra; è’ una realtà’ equa, solidale, credibile. In lei si può’ scegliere come agire e cosa non fare, si può’ decidere di alzarsi, lavare i piatti e andare a lavorare o di stare sul divano a poltrire, bevendo birra e mangiando biscotti al cocco. E’’ una realtà’ che si adegua ai bisogni di ciascuno: non mette sottopressione l’individuo con i tempi, ognuno ha il diritto di prendersi il suo. E’’ questo ciò’ che rende estremamente affascinante questo pianeta: il poeta diviene pedina delle parole che scrive, un mezzo per portare a galla quei termini che uno dopo l’altro generano pace, ansia, dolore, tranquillità. La poesia veicola lo scrittore che stupidamente crede di possederla mentre lui è’ già in pugno alla dea. Essa è verità. E’ fedele alle nostre pretese sempre, non giudica. Questa incredibile divinità’ mi ha salvato tante volte e mi ha insegnato ad affrontare le situazioni, dalle più banali alle più ostiche.



AMICO

 

Amico?

Ti credevo tale

O, forse, non è tua

questa colpa ma mia?

Di me che confido nelle tue mani 

sporche di terra e acqua?

Amico di ieri ti voglio ancora bene

ma la tua voce mi è ormai sconosciuta.

Credevo di sapere come sarebbe stato

il nostro ultimo saluto eppure….

Forse sono troppo inesperte le mie voci

che urlano, si disperano, si cacciano

per farsi un’idea della tua,

che disperano per una tua razione.

Ricordati che esisto, io esisto

nonostante ogni tua scelta.



DISEGNO PERFETTO

 

Incido accuratamente quel legnoso destino

assegnatomi e ne delineo uno nuovo.

Matita in mano, si inizia!

Una partenza mite,

una partenza che mi sorride

perché il finale è già scritto nel mio palmo.



L’OMBRA

 

Anche l’ombra può darsi che si vergogni un po’.

Resta sola a giocare

con la sagoma di un pallone blu come la notte,

dalle contorte sfumature,

dalla forma eterea.


 

SOGNO DI RINASCERE PESCA

 

Sogno di rinascere pesca,

di essere lucente e combattere contro le mie ombre

riflesse sul tavolo,

ombre ancora impresse nell’asfalto arso

della mia strada.

Sogno di essere nata anche questa notte.

Spero di svegliarmi!

Il sogno della scorsa notte,

verso le tre e un quarto,

è  troppo nitido, 

troppo vivido,

 il suo ricordo delicato 

eppure così inadeguato.



CREDO

 

Credo nel sogno della scorsa notte,

credo di esserci ancora immersa,

credo sia colpa del cambio dell’ora.

Credo di essere di pane. Mi piacerebbe!

Credo di sbagliare quando fingo di capire tutto.

Credo di mancarmi un po’ più di quanto dovrei.

Credo o, forse, è tutto fantasia?

Credo di ribollire di rabbia quando torno con la mente a quel messaggio.

Credo di essere malleabile quando penso.

Credo di poter volare, a volte,

e di essere folle o, forse no, non lo credo.

Credo di non  meritare tutto ciò che ottengo.

Credo di essere repellente a certe sensazioni,

quelle che ti scivolano addosso,

quelle che non ti vivono, che non si lasciano abbracciare.

Credo di dovermi sempre scusare.

Credo di dovermi sempre alzare alle 6:25, tranne la domenica.

Credo di mancare a me stessa un po’ troppo,

di non voler assecondare i miei meandri ispidi,

di voler tutto subito,

di non saper organizzare nulla all’ultimo.

Necessito di tempo!

Credo di essere burro quando le parole 

mi emozionano eccessivamente e mi trafiggono.

Credo di essere patita di quel giocatore 

che, credo, si chiami Patrick. 

Ma forse sbaglio nel credere a tutto ciò!


 

ALLA RICERCA DI UN NASCONDIGLIO

 

Il terrazzo isolato

racchiude i tuoi sospiri soffocati,

parole che nascono da affanno,

preghiere, sudice di lacrime.