Bruno Caravella - Poesie

CECCO ANGIOLIERI 1

S’io fossi fuoco
brucerei l’umano malvagio pensiero

S’io fossi vento
tempesterei il mondo di una fragranza d’amore

S’io fossi acqua
innaffierei la sacra rosa del deserto

S’io fossi Dio
sarei spirito di misericordia

S’io fossi Papa
rifletterei tanto sul dubbio e la verità

S’io fossi imperatore, sai che farei?
lascerei la mia corona per un mondo più libero

S’io fossi morte
mi fermerei davanti a mia madre, mio padre

S’io fossi vita
starei con tutti per l’eternità

S’io fossi Bruno, come sono e fui,
accarezzerei i capelli, le guance, le labbra
di donne giovani e leggiadre
e le vecchie rugose le terrei al mio fianco
come tenero libro di saggezza

Bruno Caravella, 17 settembre 2016
h. 22.52


 

CECCO “BRUNO” ANGIOLIERI 2

S’io fossi il fuoco
scalderei il cuore del cinico uomo

S’io fossi il vento
sarei messaggero di pace

S’io fossi acqua
disseterei il mondo di tenerezza

S’io fossi Dio
spiegherei l’universo intero

S’io fossi Papa
pregherei in silenzio

S’io fossi imperatore, cosa farei?
Tutti dame e cavalieri in un castello di fiaba

S’io fossi morte
mi fermerei per sempre

S’io fossi vita
proteggerei bimbi e bambine

S’io fossi Bruno, come sono e fui,
farei l’amore con donne dolci e graziose
e le donne vecchie sarebbero
il gentil fazzoletto dove asciugare
le mie lacrime amare

Bruno Caravella, 18 settembre 2016
h. 20.54


FRAMMENTI DI ANIME

Frammenti di anime
si perdono
smarriti spaesati
nell’angolo buio
di un “caffè”
metropolitano

Perdono colore
lasciano calore
oscurano amore
diradano
in un imbuto d’odio
su visi di persone
emaciata espressione
pensiero sotto pressione
manipolata evasione

Si spaccano

tra lacrime
di abbandono
attentato
perso lavoro
finto perdòno
una guerra
un condono

Frammenti di anime
fuggono il dolore
desiderio
ritrovarsi
ricomporsi
in un prisma di luce
ricercarsi
labbra bramose
si aprono
si chiudono
in uno sprazzo d’aurora
donando amore

Frammenti di anime
brandelli di umanità
schegge di fraternità
cullati
all’ombra di un salice
nella fragranza di un abete
la maestosità di una palma
nella pace di un’oasi
eros di danzante odalisca
musica che unisce
ammalia
coro che non tradisce

Frammenti di anime
fiorente mosaico
calmo stupore
di bambino
nell’attimo meraviglioso
sorridente

innocente
del suo sguardo
attonito
verso
l’azzurro del mare

Bruno Caravella, 12 maggio 2017
17.44


LA META FISICA

Oltre il discorso
aspirata luccicanza
sotto un audace bagliore
un baleno d’angoscia
un effimero afflato
perde lentamente
di umanità

Vacilla la voce
in precario equilibrio
su distesa di sabbia
labile informe
sfuggente disegno a matita
evitante orlo definito
indefinito
lento avanzare
verso
lontano
controverso
inoltre
ancora oltre
oscuro

Bruno Caravella, 15 settembre 2016
h. 19.11


LA VIA DELLA SERA

Piccoli passi
incerto ritorno
coperta di buio
la mente vacilla
pensiero incapace
non sa trovar pace
perdute tracce
del profondo di sé
smarrito sgomento
battuto fermento,
un soffio sul viso freddo sfiorato
leggero alito di vento anelato,

L’aria muta
sottrae al silenzio
parole impietrite
non hanno più voce
difettano in suoni
dispensato vuoti,
occhi socchiusi
un batter di ciglio,
sulla via della sera
un’ombra ora spera

Bruno Caravella, 2 settembre 2016
h. 01.00


LA VOCE DI UNA DONNA

TI SCAVA DENTRO
COME FIUME
SOLCA IL CALANCO
NELLA NUDA ROCCIA
SENZA ABBRACCI
NESSUN ODORE
NÉ SGUARDI

LA VOCE DI UNA DONNA
PENETRANTE MELODIA
RIPORTA AL RICORDO
NELL’ASSENTE
ARMONIA DI PASSIONE
TEMPI DI PIANTI
DELICATE SOLITUDINI
PIOGGIA DI NOTTE NON BAGNA

LA VOCE DI UNA DONNA
ROSSE MUTE LABBRA
ALI CHE PROTEGGONO
RICOMPONGONO
SOGNI IN FRANTUMI
IN UN BOSCO DI AFFANNO

LA VOCE DI UNA DONNA
CAPITOLO
DI FIABESCO RACCONTO
MANO DI ANGELO
QUASI INVISIBILE
ETEREO

AMICO
SUSSURRA SOMMESSA
AMORE
SOLTANTO

BRUNO CARAVELLA, 8 Gennaio 2017
Ore 21.53


 

NA JURNATE DE SOLE
(camminando nella città vecchia)

Na jurnate de sole
Qua a canìcule coce
E n’do vìcule dorme
Assettate na signore

Na jurnate de sole
N’n’ ze rìre kkioù fore
Nu rutille de ggende
Quatte case perdende

Na jurnate de sole
Passe pure a controre
Manghe a’ ddore d’areghene
N’ do squirkie ke more

Na jurnate de sole
Cume e nninde passe a feste
U criature n’gi joke

E ke kiove s’aspette

Na jurnate de sole
Mo fernesce, eje tramonde
Se ne vanne i penzire
N’nn’eje timbe preghire

Traduzione

Una giornata di sole
Qua il caldo è atroce
Nel vicolo dorme
Seduta una signora

Una giornata di sole
Non si ride più fuori
Un manipolo di persone
Quattro case di perdenti

Una giornata di sole

Passa anche il pomeriggio
Manca l’odore dell’origano
Nello spiazzo scoperto che muore

Una giornata di sole
Come niente passa la festa
Il bambino non gioca
Ci si aspetta una pioggia

Una giornata di sole
Sta per finire, è al tramonto
Se ne vanno i pensieri
Non è tempo di preghiere

Bruno Caravella, 4 agosto 2016
h.15.24


 

PALINDROMO DELLA PERDUTA UMANITÀ

Pace solo pace solo pace
Guerra scaccia pace scaccia guerra
Pace fugge guerra fugge pace
Odio chiama odio
Amore vuole amore
Amore perde amore
Amore senza amore
Potere brama potere
Menti che pensano che menti
Sguardi che dicono che sguardi
Denaro contro denaro
Sangue su sangue
Morte su morte
Pianti su pianti
Lacrime asciugano lacrime
Uomini uccidono uomini
Uomini lupi di lupi uomini
Donne invocano donne

Bimbi perduti bimbi
Ragione dispersa ragione
Mare azzurro mare
Strada buia strada
Notte inquieta notte
Baratro profondo baratro
Solitudine soltanto solitudine

Bruno Caravella, 7 ottobre
h. 20.18


PAROLE, COSÌ

Parole, così
s’infrangon piangenti
su profondi silenzi
calma, l’anima vibra

Parole, così
vuoto perso tra i denti
a cercare ragioni
della notte che scende

Parole, così
per sognare del tempo
arrabbiarsi col mondo
ricordare i suoi occhi

Parole, così
come solchi di sabbia
cancellati dal mare
poesia che non tace

Bruno Caravella, 19 agosto 2016
h. 18.50


 

UNA DONNA

 

La telefonata arrivò in piena notte. Spezzò l’armonia del luogo; l’equilibrio tra il silenzio dell’alcova e l’odore naturale del legno dei mobili finemente intonati nei colori tenui che baluginavano sotto la luce calda e rilassante del lume sotto la finestra. Il vento fresco gonfiava le tende leggiadre i cui lembi sfioravano una scrivania color ciliegio e sulla quale riluceva un portaritratti con foto di famiglia… la donna era splendida nei suoi capelli sciolti, due occhi color smeraldo dentro un corpo da favola, teneramente abbracciata all’uomo; due bambini, un maschietto e una femminuccia, due sorrisi scherzosamente aggrappati all’uomo e alla donna… la donna, impaurita e con le mani tremolanti, pressò il tasto del cordless. Il display inviava un  numero che non era familiare. “Si… pronto?” – con voce spezzata da un sottile gemito. La voce profonda e riflessiva che arrivò dall’altra parte diede drammaticamente senso alla sua paura. “La signora Hilde Corsi?” – “Si, sono io!” – disse la signora  sforzandosi di recuperare un atto di naturalezza.  “Signora, stia calma… suo marito è stato coinvolto in un incidente stradale e…” – L’interlocutore fu interrotto repentinamente. “Ma quando, cos’è successo, me lo dica!” Al singulto si accompagnarono due rivoli di lacrime che bagnarono la vestaglia di seta trasparente. “Signora, sono il medico di turno, il dottor Pierri. Stia calma le ripeto. Ha dei figli, dei bambini? Provveda a sistemarli e mi raggiunga all’ospedale di zona, sa dov’è? Nei pressi della statale… le ripeto, con molta calma…” – Si sforzò il dottore cercando di essere il meno freddo e distaccato possibile. Le parole roteavano vorticosamente nella mente di Hilde; incidente, ospedale, dottore, notte…risentì la voce dall’altra parte. “Signora Corsi, mi ha sentito? Ha qualche amico, qualche conoscente che può accompagnarla? Vuole che veniamo a  prenderla noi?”.  Il medico di turno cercava di nascondere la sua preoccupazione di fronte al silenzio della donna. Dopo pochi inarrestabili strazianti secondi la voce di Hilde risuonò. “I bambini sono fuori, dai miei. Grazie, il tempo di vestirmi e la raggiungo in ospedale!” “Faccia con calma signora Hilde, la prego!” – Fece il dottore con voce convincente. “Si. Farò come ha detto lei”.

La serata era perfetta, la strada era pulita da far pensare ad un tranquillo viaggio in compagnia della famiglia e di una radio con musiche rilassanti per far sognare nel buio della notte. Il vento fresco dei primi di maggio e l’odore degli alberi faceva il resto. Il pensiero tornò a qualche ora prima, verso mezzanotte. Una chiamata sul numero privato del marito, il dottor Corsi. “Un bambino ha un attacco di febbre; farò presto cara, sento la madre preoccupata. Un paio di ore e sono di ritorno”. Poi un abbraccio, un bacio e via. Poi… poi quell’abbraccio se lo sentiva addosso, stringerle i fianchi e assorbire l’odore della pelle del marito.

L’odore dei boschi si diradò man mano che Hilde imboccava l’ingresso; nulla faceva trapelare che si trattasse di un ospedale; luci soffuse, silenzio e architettura elegantemente sobria. Una gentile infermiera di colore le venne incontro: “La signora Corsi? La stavamo aspettando. Prego, mi segua, l’accompagno dal dottor Pierri!”. Hilde, annuendo silente e dimessa, seguì la cortese signora. I pensieri erano adesso per i suoi due bimbi e a tutto ciò che poteva succedere da quel momento in poi. Salirono due piani con l’ascensore in un velo di malinconico afflato. L’infermiera le stringeva teneramente le mani.

Il dottor Pierri osservava, con distaccata preoccupazione, da dietro una grande vetrata, il letto del dottor Corsi. Hilde fu presa da uno straziante dolore alla gola così forte che il grido che avrebbe potuto emettere rimase soffocato. Osservò anche una giovane signora, nella vetrata attigua a quella del marito, che teneva, sorridendo e piangendo contemporaneamente, le mani di un bambino. Il dottor Pierri le si avvicinò con molto garbo e restando impressionato dall’immensa bellezza di Hilde. “Nelle vicinanze del ponte; la signora ha azzardato un sorpasso senza calcolare il sopraggiungere dell’auto di suo marito; suo marito ha evitato con un grande riflesso l’impatto ma la sua auto è uscita di strada sbattendo contro un albero e poi carambolando nella scarpata… ha salvato la vita a madre e figlio.” Hilde piangeva discretamente poi riprese le forze:- “E… mio marito?”- Strozzando il suono della voce in un brevissimo rantolo mentre i pensieri ritornavano ancora ai due bei bambini frutto di un amore inossidabile e meraviglioso. Il dottore recuperò un’apparente calma, asciugandosi la fronte con un fazzoletto di cotone: “Suo marito… la prego signora Corsi si sieda, suo marito purtroppo presenta un quadro clinico molto complesso; i prodromi parlano di uno stato comatoso piuttosto profondo; ha un esteso trauma cranico e non possiamo ancora sbilanciarci sul primo decorso…” Hilde gridò: “Mio marito è in coma, è sospeso tra la vita e la morte, può morire!” – Pierri: “Si, è così ma le assicuro che faremo di tutto…” Poi si accorse che era inutile parlare. Fece accompagnare Hilde in una stanza vicino alla “rianimazione”.

Quello che aveva visto in qualche mediocre fiction televisiva diventava adesso la dura realtà con la quale si stava misurando. Persone intubate, monitor su cui scorrevano tracciati indecifrabili, led verdi e rossi che luccicavano incessantemente. Una linea diritta sullo schermo poteva significare la fine, la fine di un sogno, di molti sogni. Ma quella persona era suo marito, l’uomo che amava. Per un momento tornò con le immagini alla mamma e al bambino fuori pericolo e le scappò un sorriso amaro poi pianse ancora. Ad un tratto un rumore secco che non riuscì a distinguere; si voltò alla sua sinistra e notò una donna. Una figura incantevole, fiabesca; il tailleur verde acqua e sotto una camicia bianca con raffinati ricami. La bellezza della signora era così abbagliante da lasciare sorpresi, senza fiato. Per un attimo distolse i pensieri cupi ma fu solo un baleno di luce in mezzo a quella disperazione… Un inserviente giovane e gentilissimo le si avvicinò con garbo e le porse una tazzina di caffè. Hilde abbozzò un sorriso e un grazie. Sorseggiava, una lacrima rigava la tazza. Riprese una innaturale calma: “I bambini… devo chiamare mia madre… metterei tutti in angoscia… mio padre comincerebbe… no no, aspetterò!”. Poi pensò che il personale fosse stato molto maleducato con la donna che le era a fianco o forse, forse no, le avevano già offerto un caffè precedentemente. I suoi occhi caddero ancora sul viso di quell’essere meraviglioso. Il suo fascino sembrava creare nell’ambiente un alone inavvicinabile come quando si dice di una grazia irraggiungibile.

II dottor Pierri si avanzò ancora con riservato passo, quasi timoroso di importunare il silenzio di Hilde: – “La polizia mi ha consegnato questi effetti personalicredo appartengano a suo marito. Per le indagini sono elementi ininfluenti. Prego!”.  –  “E’ la sua agenda di pelle, la porta sempre con sé. Non può farne a meno. E’ anche il suo diario personale. Grazie dottore!”. Pierri riprese: “Signora Corsi è qui già da quattro ore. Suo marito lo ha visto. Perché non torna a casa a riposarsi, ad organizzarsi per le prossime ore; mi scusi sto dicendo delle idiozie. E’ per il suo bene ma se vuole può restare anche qui; giù a fianco alla reception c’è un punto ristoro. Mi scusi ancora”.

Quasi in modo meccanico la mano aprì delicatamente l’agenda di pelle trattandola come fossero le guance del marito e fermandosi giusto all’ultima pagina scritta, due ore circa prima dell’incidente. Trasalì, disperata, ammutolita, agitata, angosciata.

Questa notte l’ho incontrata, meravigliosa come sempre, mi ha avvinghiato, mi ha preso, accarezzato, è sempre con me! Vorrei ancora …

L’amore vacillò, la mente turbinò in un susseguirsi di immagini, ricordi, sensazioni. Il respiro le si fermò spasmodico sotto le sue lucenti labbra. Non era vero, non poteva esserlo. Lei una donna adorata quasi come una dea per il suo straordinario splendore e per la sua classe, ingannata dal marito, medico noto e stimato per la sua alta professionalità… Ma come, quando, perché, con chi?

Si accorse che la donna la guardava con serena comprensione quasi a voler condividere il suo stato d’animo. Hilde emise un urlo lancinante misto a pianto; quasi contemporaneamente si udì lo stesso rumore secco che qualche ora prima aveva destato la sua curiosità. Medici e infermieri accorsero in pochissimo tempo. Non c’era da soccorrere, solo da consolare, abbracciare. L’infermiera di colore cercò di tranquillizzarla e la baciò dolcemente sulla fronte. Il dottor Pierri con comprensibili modi: “E’ successo qualcosa, signora?” –   Hilde recuperò un minimo di forze additando l’agenda – “Dottore, guardi al giorno… oggi!”. Il dottore sfogliò il diario arrivando al giorno di maggio indicato: “Cosa c’è? La pagina è vuota. Non vi è scritto niente! Si rassicuri. In queste condizioni è normale subire uno stress violento!”.  Dalla sala rianimazione un grido di un addetto: “Dottore! Presto! Il paziente… Il dottor Corsi si è ripreso! E’ fuori pericolo!”.

Dopo undici terribili ore Hilde adesso aveva le mani del marito fra le sue; non cosciente ma fuori dal coma, fuori pericolo. Il sentimento che provava era una commistione di felicità e turbamento; di gioia e di amarezza inspiegabile. Si rivolse gentilmente agli inservienti: – “Vorrei  salutare la donna che era con me in sala, per cortesia!”. Gli inservienti la guardarono attoniti e uno di loro: “Quale donna? Lei era sola in sala, signora Corsi!”.

Hilde sorrise dolcemente e abbracciò suo marito. Poi si girò, i genitori e i suoi bambini le si avvicinarono e fu solo un’infinita gioia.  

 

                                         

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