Consiglia Recchia - Poesie e Dipinti

Assenze

Candide nuvole sparse
sostano nel cielo sereno
vuoto di uccelli e farfalle.
Solo il vento soffia leggero
e sfiora gentilmente la pelle.
Dove la voce del mare
che pure non è lontano?

 


 

Ti rivedo

Anche se ora più non ci sei,
spesso ti rivedo Madre
assisa nella solare
luce che fluiva, una scia
dorata, dalla finestra.
Nell’ampia cucina nostra
vicine eravamo e fra noi
solamente il tuo cestino
di vimini in cui giacevano
gomitoli colorati
di filo. Mentre cucivi
lasciavi che io, piccola,
per gioco, riavvolgessi quei
bei variopinti gomitoli.
Negli occhi miei pure ora
scorre il fotogramma eterno
del film girato, in quella
casa natia e lontana,
con un ciac definitivo,
dall’infantile memoria
mia; ma nel fotogramma
entrambe siamo nel sole.

 


 

L’eterno mistero

Stormi di pensieri in veloce volo
vanno per l’ampio cielo della mente.
Trasversali al tempo e senza una meta
precisa andando, ne sfiorano ogni
reale dimensione a malapena,
ma quasi intuendo l’eterno mistero.

 


 

Suggestione

Solitario il tempio della Concordia,
ma imponente, si eleva consacrando
dei mandorli la violentata valle.
Seducente suggestione emanando
l’antica pietra si erge disegnando
geometrie con cerchi ed anelli
o forme di colonne e capitelli.

Lineare architettura nell’aria,
struttura antica a guardia della valle,
sotto il cielo che, di nuvole fosco,
già quasi crepuscolare, rosseggia.
L’orizzonte lontano anzi fiammeggia.
Lingue occidue di fuoco trasversale
al grigio cupo di un nembo serale.

Dilaga intorno un senso di ancestrale
memoria di vita vissuta e assale
rabbrividente e violento il fatale
brusio di questo nostro presente
astruso e sibillinamente arcano
per cui si accende il desiderio vano
di un profondo silenzio incandescente.

 


 

Veleggiando

Percorrendo deserti
sentieri del pensiero
veleggiando vai verso
difficoltosi approdi.

Ricercando vai certi
sentori del mistero
nell inconscio sommerso,
fra aggrovigliati nodi.

A fatica ti muovi
nella mentale, folta
foresta di parole
e fra i rovi talvolta

scovi, raggio di sole,
la parola, quell’unica
che davvero comunica
l’idea viva in gola.

 


 

Soliloquio

Volevo raccontarti
la dolcezza dell’aria
sulla mia pelle,
i cieli incredibili
di questi giorni;
e ancora gli orizzonti
nitidi e aperti
su altri orizzonti,
e il tumulto del sangue
nelle mie vene, e il senso di profondo
quasi incredulo stupore,
nascente da lontananze
misteriose nei miei occhi.

Volevo sentire la certezza
di averti comunicato
ciò che si è perso
nel labirinto della memoria;
volevo raccontarti
una consolante, lunga favola
per adulti
e lasciare dentro di te
il dinamico dubbio,
l’equilibrio sereno,
la calma della saggezza,
la pienezza d’amore,
la pace di cui,
talora, ha sapore la sera.

 


 

Scrivimi

Ti mando una conchiglia.
L’ho raccolta per te sulla spiaggia
di Pyla in Cipro, isola dell’amore.
Accostala al tuo orecchio
e ascolta la voce del mare
che narra il mito antico
di Afrodite, dea dell’amore,
nata dalle sue bianche spume,
sorriso degli azzurri marosi.
Accosta la conchiglia al tuo cuore
ed ascolta la mia voce
che ti dice: Testardo nulla mi scrivi
pur sapendo che molto felice
mi faresti e questo tanto mi rattrista.
“Scrivimi”, diceva una vecchia
canzone,” non tenermi più in pena”
invito che ripeto anch’io
convinta che “ una frase, un rigo appena
calmeranno il mio dolore”. Scrivimi!

 


 

Magia antica

 


 

Foglie d’Autunno

 


 

 

Crociera minima

 


 

 

Calligrafia notturno

 


 

 

Poesia?

Profecto nondum quid sit scio. Non so
ancora cosa veramente sia
ma sento che forse è poesia.

E’ mistero dell’approssimazione
e perfino ambiguità del difetto.

Ma la strada si interrompe
ex abrupto così all’improvviso
comunque si voglia dirla.

Eppure- notum est- la strada
procede proprio verso la Meta
cuius… oppure anche di cui…

Il labirinto delle possibili
direzioni purtroppo s’infittisce.

Rimane quindi solo la certezza
dell’approssimazione per difetto
al raro soffio leggero di brezza.

 


 

Estate mitica

Ancora oggi, intensamente, vapora
la sua fragranza il bianco gelsomino
in fiore nel ricordo. Ancora splende,
in una notte mite, la luna placida
di chiarore avvolgendo il villaggio
assopito. Estate mitica a Brucoli:
Stellato il vasto firmamento nitido,
profondo il silenzio in cui risuona
sciabordando, eco lontana, il mare.


 

L’affabulazione

E sullo schermo, quasi per magia
appare chiara l’affabulazione
di quella lunga storia fascinosa
che affonda le radici nei lontani vent’anni
dell’autrice e addirittura
nei papiri del tempo dei Romani.
Un romanzo ne sgorga forse o un’onda
d ’effusione dall’inconscia nebulosa,
dal labirinto mnestico a svelare
(vestita della gonna d’una donna
antica, ma moderna e sempre attuale)
la vita vera come in un ovale
perfetto. Proprio tale una colonna
istoriata la mostra o un’incisione
ben graffita che tu indugi ad osservare.
Tanto a fondo la vita il cuore assale
che fremere lo fa per l’impressione
nell’aritmia del battito espressa
o in un improvviso e caldo rossore
che dalla pelle affiora e dalla stessa
svanisce nel viavai dell’emozione.


 

La vela

Quale stelo di fiorente corolla
coronato, dalla turchina polla
sorge, vestito di candida vela,
l’albero di una barca che lontana
fende le onde; al vento si apre, si tende
la vela; si gonfia e lieve nell’aria
esegue fini figure di danza
mentre silente, solitaria avanza.
Metafora astratta, eco di nirvana
sembra; invece è solo semplice tela,
velame di barca che si avvicina
snella alla riva e, via via, svela
del sogno appena sognato i contorni
di preziosa filigrana adorni.

 


 

L’impronta

Risplendono ancora nella memoria,
irresistibile slancio vitale,
i rossi papaveri di un solare giorno
di maggio. Librati nell’aria,
da un sacro tumulo, lievi oscillavano
sull’alto terrazzo a picco sul mare
di Lacco Ameno. Ancora i loro petali
fragili mostrano una stella all’apice
dello stelo. La stessa che, rammento,
premuta un poco al centro della fronte,
mi lasciava, nell’infanzia, un’impronta,
benché labile, sulla pelle morbida.

 


 

Metafisico mistero

Stormi di pensieri in veloce volo
vanno, nel vasto cielo della mente,
scrutando lo spazio suo ingente.

Trasversali al tempo, ogni dimensione
ne approfondiscono, continuamente,
vagando e seguendo ogni direzione.

Talora poi, l’intuizione ascoltando
più che la ragione, riescono solo
a vedere il profilo dell’eterno.

La sostanza è avvolta infatti nel velo
fitto del metafisico mistero.
Sta in labirintiche trame il fulcro.

Inaccessibile il passo al latente
spiraglio che apre lo stretto sentiero
per cui si giunge ad ogni spiegazione.

 


 

Pagine bianche

Pagine bianche! Suggestiva
denominazione di un nido
d’amor sul mare a picco. Fiore
di buganvillea , rampicante
sulle sue mura, quasi un grido
rosseggiante per una viva,
verissima e concreta storia.

Pagine bianche da scrittura
per chi, trasognando, disegna,
in solitudine silente,
un’illusoria architettura,
di sostanza inconsistente
come fragile ragnatela
tesa nell’aria trasparente.

Pagine bianche sempre aperte
sul leggio della memoria;
vuote vi giacciono in attesa
di far da scrigno all’impresa
della gravosa vittoria:
Ecco la parola espressiva!
L’unica pregnante e viva!

 


 

In forma di lettera 

Padre mio,

oggi che da passi infiniti del tempo oramai più non ci sei, ancora vivo sei padre mio nel ricordo di noi due insieme davanti al focolare acceso: tu seduto e diritta in piedi io, fra le tue gambe e le tue braccia, affacciata sulle tue mani strettamente intrecciate a nido per trattenermi e proteggermi dal fuoco e dalle fiamme gialle.

L’infanzia e poi l’adolescenza  sono trascorse senza di te lontanissimo per lavoro.

Quando, già in età da pensione, sei ritornato finalmente e per sempre alla tua famiglia a mia volta ero lontana da casa per studiare prima al liceo classico, dopo all’Università statale di Milano e infine per stare ad Intra di Verbania ed insegnare proprio dove tu per vari anni sei rimasto per lavoro nel secondo dopoguerra.

Perciò rarissimi dialoghi fra noi e così mai nulla seppi dalla tua bocca della prima grande guerra mondiale che ti ha risucchiato dai diciannove ai ventitre anni meritando delle medaglie al valore militare; nulla del tuo lavoro in Eritrea, una delle  colonie dell’impero italiano, prima che io nascessi; e ancora nulla seppi del tuo lavoro in Albania sottomessa dall’Italia nel 1939 e, finita la seconda guerra mondiale, del tuo lavoro ad Intra di Verbania dove ora io vivo e scrivo.

Ricordo che amavi molto leggere e so in cuor mio che sei stato un intellettuale mancato; ricordo sempre la tenera “camerella”  denominazione familiare del nido in cui frugolina dal fuoco mi hai difesa con le tue amorevoli braccia e le tue mani intrecciate per chiudere il protettivo cerchio avvolgente e paterno.               

 

                                                                                                          Consiglia Recchia

 


 

In Provenza

Dolcemente s’incurvano colline
sul limite dell’orizzonte limpido.
Viaggiando sul margine del crepuscolo
vedere la notte che scende rapida
dal cielo di Provenza senza stelle.
Improvvisa appare la luna piena,
nel grigiore velata, enorme e pallida.
Il tempo passa e un brivido a lungo
percorre la pelle e fredda la rende.

 


 

In amore

Donna non subire mai
intermittenze imposte
al tuo pulsante cuore.
Con occhi ben aperti
devi leggere i suoi
blaterati sentimenti
purtroppo ambigui .
Con occhi ben aperti
devi interpretare
le sue parole, le vaghe
risposte e pure i vili
silenzi ingannatori.
Senza tali patologie
scegli di vivere
sovrana
in libera e serena
solitudine.

 


 

Faticoso amore

Come Garcia Lorca
potresti proclamare
la fatica infinita
patita per gestire
quel tuo profondissimo
amore lungamente
sofferto e vissuto
sempre nella lontananza.
Il tuo pigro Lui
non ha mai” comprato
il cappello” dolente
del tuo triste cuore.

 


 

Senza illusioni

Oscillano al vento
nel silenzioso chiostro
antico i tulipani
di cromatico arancione.
Risplendono nel prato
fiorito di bianche margherite
e variegate viole del pensiero.
Vaga il mio pensiero
lungo sentieri silenti di nostalgia
sterile per il suo distorto
sentimento inconsistente.
Tutto, ad occhi aperti
e senza illusioni,
era da sempre evidente.


 

Nel plenilunio

Solitaria nella nottata limpida
di luna piena fra palpiti di stelle
verso di te, che sempre sei lontano,
immagino di camminare adagio
con sandali blu, dal dorato tacco
a spillo; mi fingo di avanzare
verso di te e poi di sussurrarti adagio
alcuni lirici versi d’amore.

 


 

Dalla poesia alla prosa

Ecco perché ho iniziato a scrivere nel 2021 in prosa la “Storia del Mausoleo di San Marco la Catola (F G)”, dedicato a tutti i caduti delle due guerre mondiali,a militari italiani e stranieri,a civili di diversa età fra cui una bimba di otto anni e infine pure a un giovane morto, nel secondo dopoguerra, durante il servizio di leva. Non dunque un semplice monumento ai caduti come quello già esistente nel corso principale del paese con solo i nomi dei caduti delle due guerre mondiali. Si tratta infatti di una costruzione che dal cimitero condanna la mentalità bellica,l’uso delle armi e di qualunque forma di violenza. Proprio questa condanna e l’intrinseca esaltazione d ella pace, da me profondamente condivise, nonché il valore educativo della memoria per le future generazioni e l’ amore per il suo ideatore e promotore mio fratello Monsignor don Nicola Recchia, scomparso da venticinque anni, mi hanno indotta a scrivere la suddetta storia, a cui sto lavorando.
Le due guerre mondiali del Novecento hanno peraltro coinvolto la mia famiglia: mio padre Leonardo Recchia, Cavaliere di Vittorio Veneto, a 19 anni nel dicembre del 1915 fu richiamato al fronte, ferito due volte sul Piave nel 1918, tornò a casa verso la fine del 919.Fu militarizzato mentre lavorava in Eritrea nel \935; di nuovo militarizzato mentre nel 1941 lavorava ad Elbasan in Albania.
A gennaio del 1943 Giovanni, fratello primogenito, nel gennaio del 1943 a circa 19 anni fu richiamato e mandato a combattere in Grecia; tornò a casa a gennaio del 1945, partigiano malato per lungo tempo:; Nicola, fratello secondogenito, seminarista diciassettenne, dopo l’occupazione tedesca del paese e il successivo arrivo degli Americani nel ‘43/’44 s’ imbattè, fuori paese. in tredici cadaveri di soldati stranieri che, dopo la sua denuncia alle autorità, a San marco furono sepolti nel cimitero municipale.
Io, sesta di sei figli, in anni infantili ho visto i nemici Tedeschi armati e ad ottobre del 1945, in prima elementare, ogni giorno, vedendo nel corridoio della scuola un adolescente con il volto devastato dal recente scoppio di una mina, mi spaventavo a guardarlo e per anni l’ho poi visto, nel secondo dopoguerra ormai adulto, con il viso butterato da indelebili cicatrici, seppur a lungo curato con interventi di chirurgia plastica. mi ricordavo delle sue palpebre rosse e senza ciglia e quindi della guerra.
Ho narrato la mia esperienza infantile della guerra nel poemetto in 120 versi “ Endecasillabi per una guerra” (Edizioni del Leone, Spinea (V E) 1994); poi l’ho ricordata ancora nella scrittura e nella sceneggiatura del recital a tre voci “La guerra vissuta dai bambini”, rappresentato soprattutto nelle scuole medie superiori negli anni 1995/1996, ma anche per il pubblico di Verbania; infine nella comunicazione “Bambine e donne scrivono di guerre influenti sui confini degli stati europei” fatta a Pola nell‘ambito del XIX Congresso internazionale A. I. S. L. L. I.(19 – 24 settembre – 2006), organizzato dall‘Università di Trieste.
La seconda ondata della pandemia Corona-virus mi ha bloccata da ottobre 2020 a tutto febbraio 2021 nel paese natio; ho trascorso la clausura riordinando librerie di casa e carte di mio fratello don Nicola, comprese quelle relative al Mausoleo; dall‘addetta comunale alla cultura mi è stata fatta la proposta di scriverne la storia ed io l’ho accolta volentieri per amore di mio fratello, ma anche per l’interesse profondo che sento per la nostra storia del Novecento.

 


 

Da ”Endecasillabi per una guerra “, Edizioni del leone, Spinea (V E) 1994.

Prologo

Vuoto il bianco schermo panoramico
della memoria perché nessun lampo
s’accende e risplende ad illuminare
il campo;troppo infantile la mente
per conservare i fatti con le immagini
logicamente e anche senza farragini
nella successione consequenziale.
Ma ecco che affiora piano qualcosa
dall’inconscio, quasi una dissolvenza:
sfumati contorni di nebulosa
s’aggirano senza precise forme.
Senza tempo, senza colore sale
al livello della coscienza, abnorme.
Infine chiara appare una figura
nuova, quella stanza nuziale, il simbolo
di un luogo vitale, culla sicura
in cui da poco ero nata alla luce
per iniziare lì la mia infanzia
all’aura cruenta e bellica del duce
che agli italiani ordiva la pazzia
d’una guerra civile orrenda e truce.

 


 

La cicatrice

E viene per me il tempo di soffrire
per una grave ferita di guerra.
D’improvviso mi coglie un assordante
rimbombo di aerei dall’orizzonte
(mai visti tanti arrivare dal ponte)
lì sulla loggia sola e saltellante
nel silente e caldo meriggio estivo:
mi affretto, salgo sulla giara e piombo
a terra travolgendo piatti pieni
di rossi pomodori al sole, fonte
distrutta di futuri sughi, treni
fragorosi di dolore alla testa
sanguinante; corre la mamma al pianto
mio e disinfetta il taglio, la cresta
di capelli, di salsa e sangue; tanto
rade il barbiere per pulire e smetto
il pianto ai materni baci; è spesso
ancor il segno della cicatrice
dovuta alla missione distruttrice
di Foggia rasa al suolo in uno schianto.

 


 

La fuga

Travolgono la mamma tempestivi
un vortice. Un febbrile andirivieni:
per una nostra forse lunga assenza
i preparativi di paura pieni.
Ci guida, a sera, nella nostra fuga
da casa al non distante seminario
per noi ospitale; ma presto una ruga,
una crepa nel progetto; pesante
lo stivalato passo nell’ingresso,
la camera da letto improvvisata
dove per terra coricata, presso
l’uscio , sto con mia sorella Rina.
Viene il sono, turbato da lacerti
d’incubi; di primo mattino, sciolti
gli indugi, ancora in fuga tuttavia,
noi, mamma e figli , ce ne andiamo via.

 


 

L’occupazione

Animali e vivande confiscano
i tedeschi ed uccidono i maiali
urlanti per le strade, con macelli
sanguinanti di viscere fumanti
sparse ovunque nel paese deserto.
Giorni senza fine; Michele e Mario
sulla ruota sono un gruppo statuario
proprio come su un cavallo all’aperto.
Nel vano zeppo c’è poco spazio
per ragazzi e per bambini più usi
a giochi, chiasso e corse per la via
di casa; chiusi invece nello strazio
del silenzio imposto e comunque sia
senza moto alcun da fare. Consegna:
non richiamare mai con fanciullesche
baruffe le avverse ronde tedesche.

 


 

La libertà

Neppure da papà flash di speranza
per troppo tempo; solo a guerra chiusa
una sua lettera con la notizia
che per fortuna è salvo; la letizia
è grande, senza limiti, diffusa
in tutti noi di casa, ma pur soffusa
di mestizia per la sua lontananza.
Ma dove si trova? A una distanza
enorme, nordica che ci separa.
Sul lago Maggiore, quasi al confine
svizzero per quella linea ( strano
sintagma) gotica per cui l’Italia
è scissa in due. Sta ad Intra di Verbania,
vicino all’ Ossola da cui a Milano4
giungono i partigiani vincitori.
E ritornano liberi clamori,
al crollo del fascismo, nell’Italia
ora tutt’una e senza divisioni.
Ricominciano poi, senza censura
fra Nord e Sud le comunicazioni.
Quindi è i l dopoguerra e la misura
della scuola per me, della scrittura.

 


 

Da “Rifrazioni anomale,, Cooperativa I dispari 1982

La traccia

Sempre più lontano
nel silenzio chiuso
delle tue fantasmatiche paure.
Progetto di una nostra
inedita grammatica
per un vivere autentico.
S’ammanta d’impossibile
la reinvenzione della traccia.

 


 

Da “Dove conserverò le immense lune” Il ponte italo americano, New York 1998

Madre

Spiegare madre mia
il sentimento adulto
che di te m’appassiona?

Complesse sensazioni
sfumate ma inscindibili
affollano la mente.

Mai madre io, ti sento
spesso come una figlia,
e tenera e prediletta,
in questa tua giovane
e fragile vecchiaia

 


 

Da “ Parole nel tempo”, Lineacultura, Segrate (M I) marzo 2000

 

S’alza la nebbia
dall’immobile stagno.
L’inverno incalza.

 

Questo mio haiku è stato pubblicato per la prima volta a Tokio nel 1994 in una speciale antologia del concorso internazionale indetto per il trecentesimo anniversario di Matsuo Basho (1644-1694), Haigin, massimo autore che tutto sa esprimere in un haiku, il poeta più amato dai giapponesi che
in lui sentono l’anima della loro cultura tradizionale: shinto, buddista, confuciana. taoista e Zen.

 


 

Da “Poliedrica dimensione, Gabrieli editore Roma 2001)

Domande

Affiora mai nel tuo spazio
interiore più segreto
la nostalgia del tempo
proprio mai vissuto insieme?

Puoi tu forse provare
il senso profondo e vero
di tenerezza ineffabile
che fluida dentro si espande?

Puoi tu forse rimpiangere
la suggestione di musiche
struggenti nel buio complice
di una sera mite e magica?