Elisa Yakoub

Poesie


Brividi di nostalgia

Un respiro,
Il vento gelido che mi fa accapponare la pelle,
Addosso tutto il freddo di una nuova stagione;

Un respiro,
Alzo lo sguardo:
Il cielo ricoperto da grandi nuvoloni,
Gli alberi che lentamente si denudano dalle foglie,
Tanta bellezza imprigionata da un cancello;

Un respiro
Mi guardo attorno:
La gioia nell’aria
Trasmessa da anime spensierate che corrono nel campetto di scuola,
Incoscienti del mondo al di fuori di questa bolla.

Un respiro,
E tutta la gioia
Con un ricordo che pare un film
Vien sostituita da nostaglia
La nostalgia di quando anche a me era concesso esser bambina.

 


 

Ultime righe

“A dopo nonna, torno tra qualche ora” fu davvero difficile dire quelle parole, sapevo di aver pronunciato questa frase milioni di volte, ma quel giorno era diverso perché sapevo che non sarei tornato davvero e che avrei lasciato mia nonna da sola a casa per sempre. Chiusi la porta di casa alle mie spalle per l’ultima volta, mi misi le cuffiette e salii sullo skate, pronto a recarmi sul luogo della mia morte.
“Mama, just killled a man, put a gun against his head, pulled my trigger, now he’s dead”
Mentre a fatica guidavo il mio skate Bohemian Rhapsody risuonava nelle mie orecchie. Trovai abbastanza ironico che fosse proprio questa canzone ad accompagnarmi durante il tragitto, d’altronde si potrebbe considerare un omicidio quello che stavo andando a fare.
Una volta arrivato al lago scesi dallo skate e mi tolsi lo zainetto che portavo in spalla. Mi sedetti a gambe incrociate sull’erba umida dal temporale della scorsa notte e tirai fuori dallo zaino carta e penna. Chiusi per qualche secondo gli occhi e sospirai. Posai la punta della penna su quel foglio di carta e con le mani tremanti cominciai a scrivere le mie ultime righe.
“Caro Noah;
Quando leggerai questa lettera io sarò già morto, ma non penso che ti importi più di tanto dato che ormai mi odi. Scusami se sto scrivendo proprio a te, immagino che non ti faccia molto piacere ricevere una lettera da parte di un frocio, ma tu non volevi parlarmi e volevo chiarire tutto prima di morire. Ci tenevo solo a dirti che nonostante tu mi detesti io non riesco ad odiarti. Fidati che ci ho provato, ho sperato di svegliarmi una mattina e di riuscire a provare rabbia nei tuoi confronti, ma non ci riesco; non riesco a smettere di amarti. Probabilmente ti avrà disgustato questa frase, ma purtroppo è un’innegabile verità.
Ho pensato molto spesso alla morte: da quando i miei mi hanno lasciato, a quando rimanevo in un angolo della classe a piangere in silenzio. Però non l’ho mai fatto perché quando piangevo in silenzio c’eri tu ad udire le mie lacrime e in seguito, ad asciugarle.
Ho sempre avuto un’anima di vetro: capace di frantumarsi in mille pezzi con una semplice caduta. Ma quando cadevo per colpa degli sgambetti c’eri tu a ricompormi a far tornare quei lucidi pezzi taglienti una fragile scultura dalle fattezze umane. A me bastava essere scaldato dalle tue possenti braccia per tornare ad esistere. A me bastavano le tue mani ad accarezzarmi la schiena per sentire di meritarmi un posto nel mondo.
Voglio essere sincero con te, le ultime parole che mi hai rivolto hanno fatto davvero male. In questi giorni d’estate ho sentito più freddo che mai, perché quando le mie lacrime mi gelavano l’anima non c’eri tu a scaldarmi, avevo solo una misera coperta che riusciva a tenere in caldo una pelle rovinata dai miei tagli autoinflitti.
Da quando non ci parliamo ciò che sono ha smesso di esistere, sono diventato un misero corpo senz’anima. Fortunatamente tu sei riuscito ad odiarmi e non dovrai subirti lo strazio che ti ho descritto. E anche se dovessi stare male ti chiedo di mantenere sempre il sorriso, di continuare ad essere lo stesso Noah che mi ha tenuto in vita per quindici anni.
E scusami se non sono “Normale”, ma ogni volta che ti vedo il mio amore nei tuoi confronti aumenta, e scusami se non mi sono sforzato a farmi piacere una ragazza, ma amarti è l’unica cosa che mi fa stare davvero bene.
Ho deciso di suicidarmi in questo luogo perché ci rifugiavamo sempre qui vicino al lago, questo è sempre stato il nostro posto; perciò ho pensato che se fossi morto qui la mia anima avrebbe potuto continuare a vivere in questo specchio d’acqua.
Quindi, mio amato quanto proibito Noah, se mai un giorno decidessi di perdonarmi sappi che io sarò qui per ascoltarti e continuare ad amare ogni parte di te.
Firmato: il tuo Max Saymoore ”

Mi accorsi solo dopo aver concluso la lettera di aver pianto tutto il tempo, il mio viso era fradicio di tristezza e su alcune parti del foglio l’inchiostro si era leggermente sbavato per causa delle mie lacrime che non riuscivano a cessare. “Scusami!” urlai in preda alla disperazione più totale mentre stringevo la lettera tra le mani “Scusami se ti amo…” e se quello di prima era un urlo per far capire la mia tristezza al mondo, questo era un sussurro; erano delle parole appena appena udibili che però avevo bisogno di pronunciare.
Chiusi gli occhi e per un tempo indefinito piansi molto rumorosamente, per la prima volta nella mia vita urlai in faccia a Dio le mie sofferenze.
Scrissi a Noah per essere sicuro lui sarebbe stato il primo a leggere la mia lettera “Sono al lago per l’ultima volta, addio Noah” con una forza che non credevo neanche di avere inviai il messaggio. Appoggiai la lettera sopra lo skate e mi preparai alla fine.
Presi dei sassi li misi nelle tasche. Faticosamente camminai fino a far toccare ai miei piedi quell’acqua tiepida. Continuai ad avvicinarmi alla morte con movimenti stanchi per via dei sassi che mi rendevano difficile perfino camminare. Mi feci scivolare addosso gli ultimi dubbi e mi convinsi che quella fosse l’unica opzione, feci gli ultimi passi e finalmente tutto il mio corpo fu immerso dall’acqua. Nei primi trenta secondi mi sentii sollevato, mi stavo liberando di un fardello che portavo avanti da fin troppo tempo ormai. Ma la vera tortura arrivò dopo, quando il mio corpo iniziò a cercare ossigeno; provai a respirare in tutti i modi ma l’unica cosa che stavo facendo era riempire i miei polmoni d’acqua. Allora il mio istinto di sopravvivenza tradì le mie intenzioni cercando di farmi aggrappare a una corda invisibile per risalire a galla, ma i sassi che io stesso avevo messo nelle tasche pochi attimi prima non me lo permisero. Spalancai gli occhi e l’unica cosa che vidi furono dei colori sfocati. Alzai la testa per cercare di guardare la superficie che ormai era troppo distante e solo allora il buio che avevo sempre temuto mi avvolse per sempre.

 


 

La pagina perduta

Un libro di emozioni
Con una pagina di felicità,

Una pagina tanto importante,
Una pagina che con tutte le forze
Cercai di tenere attaccata;

Una pagina che però
Aveva il crudele destino di spezzarsi
Proprio sul punto più coinvolgente della trama.

Dopo aver aspettato di vedere quella pagina giallastra,

Dopo aver atteso tanto il gusto di una pagina talmente invitante
Capii che quell’attesa fosse stata vana nell’istante
Che questa prelibatezza volò via.

“Come sarebbe stato?
Come mai sarebbe stato passare le proprie dita su quel pezzo di carta?

Come sarebbe stato mangiare con la mia mente
Ogni parola racchiusa in quel piccolo spazio?”

Avrei solo voluto capire
Comprendere a pieno cosa volesse dire la tanto rinomata felicità,

Ma questa mi fu strappata dalle mani
nell’attimo stesso nella quale riuscii a intavvederla.

Come potevo continuare?
Come potevo seguire la trama di un libro incompleto?

Se a questo libro mancava un pezzo
Come poteva pretendere di essere continuato?
Come poteva pretendere di avere ancora lo stesso valore?

Chiusi il libro
Un libro ormai spoglio di ogni vitalità,

Lo misi sullo scaffale,
Un libro che fu abbandonato.

Ma perchè?
Perchè iniziai a sentire la mia pelle tramutarsi in carta?
Perchè dovetti sentire l’inchiostro dell’aver vissuto?

Perchè mi sentivo un libro incompleto?
Perchè sentivo di essere stata abbandonata da me stessa
sullo scaffale di una libreria?

Immersa tra la polvere
E spintonata da mille altre storie
Queste domande giunsero alla mia mente

Giunsero alla mente
Di un libro incompleto abbandonato da se stesso.

 


 

Un banale sentimento

Una banale poesia,
che parla d’un banale amore.

Un amore che come un uragano si è intrufolato nel mio cuore,
si è fatto spazio,
un enorme spazio di affetto che prima,
neanche immaginavo potesse esistere.

Neanche immaginavo che ľamore potesse avere una sagoma così definita,
non avevo idea che ľimperfezione potesse essere talmente perfetta
o che una risata potesse essere una musica così incantevole.

Ma come ogni uragano lei era passeggera:
è entrata nel mio cuore, si è fatta spazio,
tanto spazio,
tanto amore,
e se n’è andata
lasciando quello spazio vuoto,

un vuoto incolmabile che tutt’ora
cerco comunque di colmare.

Tanti piccoli uragani entrano nel mio cuore
e spero,
spero sul serio che riescano a riempire ciò che lei ha lasciato.

Speranza vana
speranza disperata,
d’una persona disperata per la quale ormai, ľamore
ha una forma precisa,
una forma visibile solo tramite ricordi.

Una banale poesia
che parla d’un banale amore finito.

 


 

Solitudine del deserto

Siamo solo sabbia,
piccoli granelli nella vastità del deserto.

E in questa marea di granelli tutti uguali
spesso ci bagnamo,

diventiamo dei grumi nell’immensità della sabbia
ci uniamo a nostri simili;

e lì
in quel posto e in quel momento

sembra impossibile pensare che un giorno
torneremo piccoli granelli, che vagano soli.

ci dimentichiamo di essere nel deserto
e quasi quasi, pensiamo che neanche il sole ci possa asciugare,
separare.

E solo quando il sole sorge davvero
e ľumidità che ci unisce va via

capiamo che in fondo
siamo solo sabbia
piccoli granelli nella vastità del deserto.

 


 

Affogando tra la gente

Tante persone,
lo so cosa dicono,
le sento quelle voci,
li vedo gli occhi puntati tutti su di me.

E più persone ci sono
e più il mio corpo mi abbandona.
Sento come se fossi in equilibrio su una corda
e poi giù
caduta in un mare di bisbigli.

Più tempo passa,
più ľacqua diventa alta
e la riva lontana dai miei piedi,
che vorrebbero solo sentire di nuovo il terriccio incastrato fra le dita.

Sto affogando,
non riesco a muovere le labbra.
Vorrei gridare,
chiedere aiuto,
ma so che nessuno mi sentirebbe.

E una volta uscita da quel mare di persone
mi sento vuota,
ora sono sola,
ora posso far scivolare lungo il mio viso queste lacrime salate.

Liberandomi di questo immenso oceano,
pensavo di sentirmi nuovamente leggera,
ma più tempo passa e più mi appesantisco.

Pensavo che una volta uscita dall’acqua si potesse respirare,
Ma sto soffocando ancor più di prima.

Pensavo che una volta uscita da tutta quella gente
sarei stata meglio,
ma sento solo il mio cuore fermarsi,
e la mia anima morire.

 


 

Non abito nel sole di nessuno

Il sole sorge,
gli occhi si aprono
e penso,
penso a te
che mi fai ridere seppur non voglia,
oppure a te mi sopporti nonostante la logorrea,
a te che ascolti ogni singolo e futile problema che incontro sulla mia strada,
o anche a te che sei capace di distrarmi quando la vita è troppo pesante,
penso alla fortuna di aver tutti voi.

la sera cala…
le luci si spengono,
si spengono i rumori
e penso
penso a tante persone,
persone che amo,
e penso che nessuno pensa a me.

Nessuno quando sorge il sole vede il mio volto,
nessuno si sente fortunato ad avermi accanto,
nessuno è fortunato ad avermi accanto.

 


 

La ballata della salvezza

Un uomo che corre,
per avere salva la vita.

Scappa di fronte agli spari
di un’inutile guerra contro il mondo.

Sei solo tu:
tu che corri anche per gli altri,

tu che sudi per il sorriso di coloro
che ti sputano in faccia.

Stai combattendo contro tutti,
per il paccato di esser nato in un mondo che non ti appartiene

Corri,
scappa,
ma non sparare,
non premere il grilleto,
cerca di rendere tuo il mondo
con lo sforzo delle tue misere mani.

Corri,
scappa,
muori,
ma avanza e combatti,
almeno morirai come uomo puro
puro e senza rimpianti.