Emanuela Ingenito - Poesie

Il giorno migliore che attendevo

 

Mi hai detto di guardare

il cielo stanotte,

che mi verrai incontro

lungo la Via Lattea

ed io ti aspetterò,

non dubitarne!

E poi ti vedo arrivare …

Un miraggio incantevole,

la calma apparente

del mio essere,

la vita che dimentica

la morte,

l’amico, l’amante, il marito:

tutto questo sei tu per me,

il giorno migliore

che attendevo

per poter ricominciare.



Tu ascolti in silenzio

 

Ti sussurro i miei segreti

e tu ascolti in silenzio …

Tu non parli,

ma sento che ti muovi,

lentamente e in silenzio,

e sento il tuo odore

che mai mi abbandona.

Fai parte di me da una vita

e non me n’ero mai accorta.



Forse la polvere, forse l’ombra

 

Il tuo ultimo sospiro

è come di ieri,

ma è antico

e silenzioso,

mi riporta al glicine

della tua pergola,

a quell’acacia

che nello stesso

giorno viveva

e moriva.

 

E ora…

cosa sei?

Forse polvere

sulla testa

dei contadini,

forse l’ombra

che mi segue

la sera

nei vicoli

senza luce.



E i lividi di Alice furono viole

 

Era giovane Alice,

i sogni sepolti

da tempeste di sabbia,

spietato disincanto.

Eppure la amava,

quell’uomo che mai 

così tanto ebbe amato.

Di Alice conosceva

i lividi della pelle,

la febbre, i rimpianti.

La amava

all’ombra dei pini,

nelle steppe

della sua esistenza.

Ne ebbe cura

come di sua 

stessa ferita

e i lividi di Alice

furono viole,

la febbre

calore nuovo,

i rimpianti

le occasioni più belle

da vivere insieme.



Vetri freschi

 

Le case abbandonate, 

l’oblio degli anfratti,

gli oggetti semplici

sono vetri freschi,

aprono un ricordo

poi una ferita

infine un pianto.

 

La piaga mia 

è melagrana nuova,

si colma di sale,

brucia e guarisce,

si riapre, s’infetta

ad ogni aurora

quando ricordo

la strada dove tenevo

il tuo braccio 

e tu nel palmo

tenevi le olive.



Questo è il mio peccato

 

Il tufo disfatto,

guardo attraverso…

Ti ho negli occhi

e mi risorge l’anima,

trasuda d’incenso,

t’accarezza la nuca

sudata.

 

È come una domenica,

il vestito tuo di gigli selvatici, 

il vermiglio di un desiderio.

Questo è il mio peccato,

ma ti vorrei negli occhi,

sempre: 

questa la mia redenzione.



La libertà che mi doni

 

Non sei mio prigioniero,

ma la libertà che mi doni,

il coraggio di essere ciò

che ho paura di essere,

gli inciampi

in cui mi riconosco

e che ci fanno grandi.

Quel parlare non serve

a volte,

quando t’arrampichi

sui miei pensieri

come edera

sui muri delle case

e io ti prendo l’anima,

la assedio,

la conquisto,

la divoro

perché ho fame

del tuo coraggio.