Erika Di Giulio - Poesie e Racconti

Bianco

Quest’anno non ho visto la neve, lieve mi scorre questa nostalgia fittizia del bianco.
Piango, mi dimeno: sento almeno ciò che dissi, che l’estate mi appartiene, mi sovviene.
Il candido non vidi e tuttora meno che mai: non basterebbe mirarlo scendere se il bene non si riesce ad apprendere: tanto male, il collocare.
Mio fratello non riesce: perse mille lacrime in una bomba. Tomba per un fiore fanciullo.
Urla che il bianco non può acquietare, si tinge di rosso: come mosto ancora acerbo. Dello stolto trastullo.
Bimbi colorati di lillà, che sognano di avanzare, avanzare per di là: tornare a casa, tornare a casa. Non una gioia comprata bensì ciò che gli spetta per natura: una vita bella, non perfetta.
Costretta sono a mirarli stanchi, come fianchi ceduti, svenduti. Piango, ancora, e ancora, senza mora.
Perché mai e poi mai potrò sopportarlo, ma un mondo nuovo si, insieme, possiamo idearlo.

 


 

Coming soon

E parlar di te scrivendo, è come il mare con il vento: diventa forte, impenitente.
Potente.
E parlar di te dicendo, è come perdere un arto: divenire scarto.
Parto, per non dover mai ciarlar di te.
Tu per me…

 


 

Cambogia

Giro vagando piena.
Sulla schiena una morsa, appesa una borsa in pelle peruviana.
Ruffiana la sfoggio allo specchio: è vecchio il suo rendermi in difetto. Lo rigetto.
Ed esco scalza, s’innalza un sole torrido, e rido vera, come fattucchiera su un tavolo d’azzardo.
E mi guardo: son bella, son stella.
Fa caldo qui in Cambogia, orgia di sciami di vespe aspre, lastre su un pavimento ruvido, trucido.
Porto il rosso alla piazza, una gazza, come pazza farnetico nel giusto: e su di me ho magnetico di alcuni il consenso, lo risento.
Scendendo giù sciolgo i capelli, marose ciocche nere veritiere s’impigliano sul petto, rivestono il seno, in difetto.
Ho i piedi stanchi, fianchi neri dal lavoro, e la poetica sola è sonoro antidoto! Mio eterno ristoro.
Annulla la fatica materiale alla sera, come loto immerso in uno stagno imputridito, medito.
Tardi mi svesto e di bianco son coperta, fredda; esperta nel ritorcermi nel sudore: il livore del convivere con demoni parassiti, insiti nel cuore.
Però, come ogni notte, torna lui; che persi sulla strada per l’Oriente, il male lo portò via dalla gente: per questo son forte vivente, per la memoria sua latente; mi si stende, mi difende, si protende, e poi mi bacia, mi abbraccia, mi parla, mi insegna.
Guardo il medaglione, si è fatto ormai giorno: maledizione!
Ma lo sento dirmi forte: << Sono sempre con te, non mi ha con sé la morte! >>

 


 

Improvvisamente

Lavandaia lava latente la tua lana:
sii lungimirante mettici l’anima.

 


 

Sibilla

Non balla questa danza, lui avanza, mi sconquassa, mi rigetta in quella stanza; mi riporta a galla, non mi passa.
E poi si vanta, m’infanga: mi comanda; si condanna.
Non ci sto, lo mando alla malora.
E ci separiamo da quel tocco che divora.
Questo tempo, questa ora: una mora, non perdona.

 


 

Macerie

Sguainata l’ascia del cambiamento.
È che non vedo l’uscita, in una vita costruita.
E questo vento che non porta alcunché, giova l’appiccicaticcio sudore che segue un perché.
Delusa dall’ignoranza, nel bene di cui non c’è costanza; avanza ciò per cui il soldo vale: fare male, collocare.
E voglio urlare, con questa voce fioca: un qualcosa che smuova breccia nei cuori, ve n’è rimasta poca.
Sentori, quei persi valori… che lo stolto ignora, il dittatore divora.
Il rosso mi cola dagli occhi, come per voi gli inganni, vostri pidocchi.
Nell’avvenire non vedo futuro che non sia l’abbattere il vostro muro: perché so che mio fratello da miglia e miglia mi ode, queste genti devote.
E tu infima persona corrucciata, la tua osannata nazional patria non l’hai mai amata.
Sai cosa significhi esser del mondo cittadino?
Confidi nella luce di un nuovo mattino?
Ami sol le armi con cui ti difendi, ma non hai con chi ti stendi, con chi attendi.
Lento, è un sentimento.
Il confidar nel cambiamento.

 


 

Diane

Portrait.
He said, one day.
I was reading my sky, he wasn’t able to fly.
“We might be husband and wife >>… in another life; he thought. It will not. Never.
High fever killed my skin, there wasn’t nothing to win…
Touches and touches, butterflies below the eyes: I must have his soul untill I will probably lose control.
Two beasts crushed by a bunch: time wouldn’t have given us our chance.
So I put my clothes down, he said: << Your body: my sound!”.
Then he left Paris but… what goes around, comes around.

 


 

Fruscio

Acqua stagnante di parole stanche che vanno leste a smuovere un cuore: conosciute non si arrendono, torturate persistono nello sperar la grazia del cambiamento.
Collocamento temporale, corale vento: il Maestrale.
Tonale, cromia micidiale vedervi cambiare.

 


 

Conchiglia

Mi piace annusare il sapore del mare.
Svalvolare.
Guardarmi andare a capofitto primordiale.
Non dover giustificare. Non poter parlare.
Sentirmi protetta da un alone che potrebbe esser mortale.
Sognare di saper nuotare… nel pozzo dell’organo vitale.
Poter chiamare la me stessa originale.
Abissare, abissale il fondo della dicitura “amare”.

 


 

Discendenza

Come mia madre, Anfitrite, le mie marose ciocche nere fluenti sballottolarono l’umano, che si ritrovò come immerso nelle correnti…
Persa negli eventi, dal disprezzarlo mi ritrovai ad amarlo.
Scontai la pena di quell’amore non riconosciuto o camuffato, come avessi commesso un indicibile peccato: lui or più non mi vuole, ma il mio cuore da un decennio ancor tanto duole.

 


 

Sfizio

Io che non sono durevole.
Io che sono bastevole.
Io che non sono capace.
Io che sono rapace.
Io che non sono potente.
Io che sono paziente.
Io che non sono razzista.
Io che sono idealista.
Io che non sono minante.
Io che sono amante.
Io che non sono gestibile.
Io che sono potabile.
Io che non sono amata.
Io che sono aggraziata.
Io che non sono felice.
Io che sono calice.
Io che non sono ridente.
Io che sono sovente.
Io che non sono piacevole.
Io che sono ingannevole.
Io che non sono precisa.
Io che sono decisa.
Io che non sono amara.
Io che sono giara.
Io che non sono desiderabile.
Io che sono vulnerabile.
Io che non sono gradita.
Io che sono sentita.
Io che non sono da definire.
Io che sono il partire.
Io che non sono lassù.
Io che sono il blu.
Io che non sono motivo.
Io che sono ulivo.
Io che non sono grande.
Io che sono gigante.
Io che non sono, lo divengo se in me vibra sonoro.

 


 

Eden

Che se trovo il mio posto nel mondo, il mare sarà il ponte per un’era piatta.
Che se trovo il mio posto nel mondo, guarderò avanzare leste le stelle di luglio.
Che se trovo il mio posto nel mondo, le lacrime saranno pane caldo.
Che se trovo il mio posto nel mondo, il viaggio mi scorrerà nei meandri della mente.
Che se trovo il mio posto nel mondo, la famiglia sarà la mia piccola societas.
Che se trovo il mio posto nel mondo, il cuore nero scalderà quello bianco.
Che se trovo il mio posto nel mondo, tu fratello danzerai con me sotto i chicchi rugosi della pioggia.
Che se trovo il mio posto nel mondo, i danari non faranno mai più la felicità di alcuno.
Che se trovo il mio posto nel mondo, l’utopia seme ridente diverrà.
Che se trovo il mio posto nel mondo, io e te diverremo liberi d’esser finalmente i numi di noi stessi.
Che se trovo il mio posto nel mondo, vorrei portarti con me.
Ma io quel posto l’ho già trovato: è la mia speranza, sono io.

 


 

Libertà

Vorrei uscire da queste catene.
Strapparle ferrose con morsi di brace.
Bruciare e sputarle, roventi.
E scappare, scappare, fuggire dove io comando me stessa senza giammai insegnare: lasciar fare, a ognuno nel bene come gli pare.
Perché se a te piace dovrei privartene, e perché tu di me dovresti aver paura?
Perché dovremmo sottostare, sostare, aspettare, se il mio oggi è il domani che modello con l’argilla dell’attesa?
E se tu ami agire in un modo che non capisco ma che non mi fa male, chi sono io per impedirtelo? Fallo, e fallo a più non posso.
E se io vedo il blu dove tu vedi grigio, perché non poter scorgere uniti sfumature bivalenti?
Ma facciamo ciò che ci pare, se fa bene e fa del bene è questa l’unica maniera con la quale dalle ceneri diveniamo fenici.

 


 

Riaffermarsi

Clinicamente affetta dal morbo minante.
Tal ristagno è putrido, vagante.
Meditare impotente, me piccola grande esenziente.
Fa male. Di un malore dal bene colossale.
Forse la ricerca del passato, la sorte piacente da me ha scostato.
Mutato, un sentimento innato.
È stato, e da allora solo per lo stesso vibro. Sfioro. Sfibro.
È un gioco, questo componimento piacevolmente al cantare invoco.
Inducimi, gli attimi scorsi mi cercano e io me li ripropongo li inseguo, li raggiungo e sbagliando entrambi ci scoviamo: ci amiamo.
Istanti cenere, hanno un ambiguo potere: nel giusto valere, al peccato cedere.

 


 

Finito

Gira veicolante un’elica vibrante.
Mormorio sospiro di una mente pensante: lancinante mirarti gemente, esenziente.
E questo amore rosso fragola come le notti d’autunno alla gola.
Tu, che di me sei l’eterno conoscitore: voi in un tu ormai passato.
Scartato, minato.
Temo e tremo, l’ignoto spoglio mi divora: l’abbandono mi peggiora.
Mio scrivere, ti prego, a te io mi dono: amami, proteggimi, non abbandonarmi.
Saziarmi, giammai, e non è frase fatta; è invece l’essenza mia che per te, in te è ritratta: ed è bella, mia gemella aerea, potente, amante, vincente.
Ho tremore del futuro a tre passi di bussola senza voi, vacillo un po’, nel buio sola scintillio di una perdita inaspettata di cui come sempre dovrò prendere atto nella mente, ma mai nel cuore.
Malata infamia insanità l’amore.

 


 

Step

Rimembranza,
ciò che non sai a cui dai importanza,
niente da fare, questa stesura oggi deve suonare.
Guarda lo specchio dei pensieri cupi,
le vecchie memorie di una te “ideale” con oggi sciupi.
E sono io, e sono io, mio caro stilare;
sono una io che ha imparato a digrignare.
Non stare ad indagare, nel bene e nel male: questo cambiamento vale, come tale.
E ho nostalgia, non fraintendermi, della me del passato; tuttavia squarcio il mio ventre piuttosto che arrendermi.
Quel che è andato che non scovo, il presente che non provo.
Dove sono, o dove sono.
Nella mente un tuono, questo fragoroso frastuono.
Da molto tempo i miei scritti volutamente non inducevo a parlare: oggidì questo lo devo animare.
Mirare, o mirarti.
Vorrei fermarti, vorrei stopparmi.
E un presente, assente/ avvolgente, come può rendermi stabile? È inabile.
Ma forse in fondo vorrebbe… ed è per parte maggiormente mia la colpa, questa chiusura del cuore da parte della sottoscritta è malamente sorprendente.
Rodimi, scuotimi, scuoiami, dalle paure mature e dalle insulse dicerie, porcherie.
Come vorrei ritrovarmi ad amare con quell’amore con cui idolatro il mare.

 


 

Ristoro

Tifo.
Questo indiscusso mito, vibrare senza invito.
Ma guardami, svogliata nell’amor cara signorina, a cosa porterà questo tuo patire? Al suo partire, al loro svanire.
O diamine, mio scrivere, queste temporali necessità come bramerei strangolare per carità.
E non vorrei far suonare il mio parlare; tuttavia mai mostrare il cuore se non si è in grado di giocare: io le regole, per mia fortuna, le conosco tutte… ma il beffardo masochismo mi induce all’amar improntato al nichilismo. E tu, ed io vane libellule: potami le ali, amo le violette in verità.

 


 

Mistura

Ristoriamoci.
Creami il pretesto, tocchiamoci.
No, non fraintendere, all’unisono deve vertere.
Guardami, le tue risa, le tue iridi, attaccami.
Dove siamo, partiamo; patiamo una sentenza: il “ti amo”.
Non deve suonare, deve sfibrare; all’atto portare.
Parlare, una rosa da potare.
Acume questo barlume, che urla, che strilla.
Brilla, scintilla.
La tua voce, mio scudo, mia noce.
Son le undici, e mi accingo convinta verso quel che mi dici, o meglio mi dicesti; mesti, persi.
Potenti, esenzienti.
Insaziabili, incurabili.
Destinati, gementi.
Malati, inabili: al professar all’unisono le tre sillabe fatali.

 


 

Mancanze

Almeno adesso sai, sai cosa mi fai.
Giro scannata fra i vani volti.
Risa, gioia, porcherie.
Sentimi: una principessa con il vestito sporco di fango più della stessa sua credenza. La tua principessa.
E guarda cosa hai fatto, per Dio. Guardami.
La scrittura è venuta sola in mio soccorso; le tue carezze mi hanno ustionata, ne porto i segni: una comprensione che non potevamo evitare; che agli altri faceva male.
Ai tuoi, ai miei, a loro, a quelli, agli amici, ai parenti, ai conoscenti, ai passanti, agli animali. Perché noi ci amavamo, ed io ti amo, ancora, di quell’amore puro.
E questi ci hanno invidiati. Tu temi il tempo, io bramo di distruggerlo: non sono più forte, sono solo mirevole della morte quando nulla più mi rende viva.
Lo stilare mi ha ripresa un istante prima del tuffo a bomba; e ora lo sai, si, ora lo sai.
Dopo tutto questo passare, ora lo sai.
Non aspettavo altro.
E non per vanto, giammai, mi conoscesti tu meglio di me stessa, allora e non adesso: io e te eravamo arte, vibravamo in un mondo che percepivamo sotto un’altra ottica.
Noi, io e te, eravamo il Mondo.

 


 

Possesso

E se l’amore non avesse il tuo volto, quale dovrebbe avere?
E se l’amore non fossimo noi: la tua imprevedibilità e la mia incostanza?
E se l’amore non stesse in me quando ti leggo a mente quel che scrivo e tu che, ignoro se per pazienza o per inclinazione, ascolti quasi ammaliato?
E se l’amore non stesse in te quando mi mostri a cosa somiglia e che sapore ha la libertà?
E se l’amore non camminasse sincronizzato in maniera naturale e spontanea come noi due?
E se l’amore non sottostasse alla realtà del mio umore altalenante e delle tue fisse un po’ superflue?
E se l’amore non constasse nell’inaspettatezza di un gesto?
E se l’amore non si vedesse nei miei occhi che brillano con te di luce propria?
E se l’amore non balzasse dall’oggi mi ti dono e domani vorrei trinciarti via per sempre dal mio organo vitale?
E se l’amore non mi creasse attorno alla vita la tua presenza possente ma mai eccessiva?
E se l’amore non ti regalasse le mie idee folli e i miei aneddoti favolistici?
E se l’amore non vivesse nella nostra quotidianità?
Perciò, se questo non è amore io non lo conosco e mi sta bene così.